LIVORNO: Cent'anni dopo Le Maschere fanno ancora discutere
Athos Tromboni
29 Nov 2001 - Commenti classica
LIVORNO
Siamo andati alla prima livornese di Le Maschere, realizzata dal Cel-Teatro di Livorno nel Centenario della prima rappresentazione assoluta, con la curiosità di reagire in maniera vergine ad un'opera mai udita precedentemente (a parte l'aria Quella è una strada interpretata da Renato Capecchi in una vecchia edizione discografica Fonit Cetra-Fontana, diretta da Molinari Pradelli), nè ovviamente sbirciata in partitura o in saggi musicologici, che pur abbondano nella letteratura curata dai teatri italiani. Era una scelta. Nostra. Abbiamo ascoltato la sinfonia iniziale e tutta l'opera soffermandoci, negli intervalli, a commentare a caldo le nostre impressioni nel confronto con il parere di altri colleghi. Abbiamo incassato il giudizio di chi ci diceva che eravamo sprovveduti quando candidamente annunciavamo che ci sembravano, Le Maschere, episodi ed accostamenti che citavano Rossini, Verdi, Wagner, lo stesso Mascagni ripetutamente. Abbiamo incassato anche qualche sorriso di sufficienza quando dicevamo che il libretto di Luigi Illica ci sembrava debole, poco drammatizzato, molto di routine. Poi abbiamo letto, la mattina successiva alla prima livornese del Centenario, il bel volume realizzato da Alessandro Rizzacasa e Fulvio Venturi ( Le Maschere 1901-2001: il Centenario Edito dal Circolo Galliano Masini col contributo di sponsor locali) e abbiamo trovato il giudizio del critico e musicologo Giovanni Pozza espresso a caldo sul Corriere della Sera, dopo la prima scaligera del 17 gennaio 1901 (un giudizio che sintetizza in sè anche quello degli altri critici di Genova, Napoli, Venezia, Verona, Roma, dove l'opera era rappresentata in contemporanea: unica eccezione, il giudizio più conciliante della critica di Torino) molto in sintonia con quanto la nostra verginità ci aveva dettato: à questa – scriveva Pozza – la vecchia o la nuova commedia lirica nazionale? Eh via, non riempiamoci la bocca e gli orecchi di parole insensate. Non parliamo di ritorni all'antico o peggio ancora di risurrezioni'. Parliamo tutt'al più di imitazione e di plagio . E sulla poesia: Ogni cosa nel libretto dell'Illica è cosa morta: l'azione, i personaggi, la maschera, gli artifizi, la comicità . Tutto questo non significa che l'opera di Mascagni, tanto contestata al suo apparire e poi gradatamente accettata anche dalla critica più ostile, sia ciò che sosteneva il Pozza. Ma non c'è dubbio che elementi di mancata originalità (o, se vogliamo, di più mestiere che cuore e inventiva ) si mischiano ad elementi di assoluta originalità , sopravanzandoli però. Questo non è il giudizio di un musicologo, ma l'impressione di un ascoltatore attento. Al di là di questa e altre disquisizioni, conviene dire subito che l'allestimento livornese di quest'anno è però operazione meritoria, realizzata con il necessario impiego di mezzi e affidata ad una vivace e godibilissima mano di Lindsay Kemp, una regia che ci è veramente piaciuta, dopo le delusioni da noi patite per le sue precedenti regie livornesi (Iris e Il flauto magico). Kemp mostra stavolta un senso quasi labronico dell'ironia, un gusto per il colore finalmente equilibrato, non da istrione delle luci e dei costumi, una misura del gesto scenico che allieta lo spirito, soprattutto nei bellissimi quadri d'assieme. Crediamo sia merito principalmente suo se questa produzione è stata accolta con un grande e sincero calore dal pubblico che gremiva il teatro. Poche note sui cantanti, per dire che tutti hanno onorato con bravura il loro impegno: Raffaella Angeletti (Rosaura), Eleonora Contucci (Colombina), Graziano Polidori (Pantalone), Maurizio Comencini (Florindo), Carmine Monaco (Balanzone), Carlo Bosi (Brighella), Carlo Morini (Capitan Spavento), Alessandro Cosentino (Arlecchino), Giorgio Caoduro (Tartaglia) e l'attore Emanuele Barresi (Giocadio). Ottima la direzione di Bruno Aprea a capo dell'orchestra e coro Città Lirica . Ottimo anche il lavoro di Marco Bargagna, direttore del coro.
(Athos Tromboni)