“Libràrsi” di Adriana Argalia
di Alberto Pellegrino
8 Gen 2015 - Libri
Adriana Argalia è una delle più importanti fotografe italiane che per molti anni ha affrontato in una serie di notevoli pubblicazioni i generi fotografici più diversi e impegnativi. Nel 2012 ha pubblicato Trac, un volume con il quale ha magistralmente fatto il suo esordio nel difficile campo della fotografia teatrale (v. la nostra recensione alla pagina www.musiculturaonline.it/trac-lo-spettacolo-cominci/). L’autrice esce ora con un volume di 156 pagine intitolato Libràrsi, nel quale ha raccolto un’ampia selezione delle immagini scattate tra il 2005 e il 2014 all’interno del Teatro Pergolesi di Jesi e dei teatri di Maiolati Spontini, San Marcello, Montecarotto e Monte San Vito, gestiti dalla Fondazione Pergolesi Spontini che ha coordinato la pubblicazione finanziata dalla Banca Popolare di Ancona sempre attenta alla promozione culturale del territorio jesino. “Ho scelto – ha dichiarato Adriana Argalia – come titolo la parola Libràrsi perché prima di tutto è un Suono, un bel suono, poi perché si estende gradualmente e poi si eleva. Un suono musicale lento graduale in ascesa. E poi, dentro, Libro, Arsi, Libe, anche Libbra, perché la leggerezza si distilla dalla pesantezza. Una folla di parole e di significati tutti insieme. Una folla pesante dentro un suono leggero”.
L’autrice ha fatto sotto il profilo artistico un’altra scelta di fondamentale importanza, perché, a differenza del precedente volume dove erano presenti immagini a colori, ha preferito usare il linguaggio del Bianco e Nero, che ha conferito a questo suo lavoro una maggiore unità stilistica e l’intensità poetica propria di un linguaggio che si adatta perfettamente a questo affascinante racconto fotografico nato sulle tavole del palcoscenico. L’Argalia va oltre la pura documentazione propria della “foto di scena”, in quanto è riuscita a tradurre in immagini la magia del teatro con le sue scene che lievitano nello spazio, con i suoi personaggi che acquistano nuova vita nonostante la fissità dell’inquadratura.
L’autrice con i suoi scatti ha la capacità di “raccontare” l’evento teatrale, di fissare quel momento effimero della rappresentazione destinata a nascere e a morire sulla scena nello spazio temporale di due ore, conferendole il dono della continuità e della visibilità. Questo è possibile, perché Adriana Argalia possiede quella dote, propria del fotografo di razza, di saper individuare, scegliere e fissare nella frazione di un secondo un gesto, uno sguardo, un movimento, il volto di un personaggio, un particolare o l’insieme di una scena appartenente a qualunque genere teatrale rappresentato: la prosa, la lirica, la musica classica, la canzone d’autore, la danza, il cabaret, il musical, il teatro delle marionette.
In questo modo la fotografia diventa a sua volta spettacolo, perché nel passare da un’immagine all’altra si ha la sensazione di trovarsi all’interno dell’evento teatrale, di partecipare a una serie di sequenze narrative separate da una punteggiatura iconica che Adriana sa usare con grande padronanza linguistica, quando inquadra una parte dell’orchestra, il dettaglio di uno o più ottoni, uno spartito, una sezione di palchi, una platea vuota, gli attori in attesa di entrare in scena. Tra un siparietto e l’altro ecco materializzarsi sul palcoscenico grandi personaggi come Don Giovanni e Leporello, Romeo e Giulietta, Lady Macbeth, Lucia di Lammermoor, Tosca, Rigoletto, la piccola Butterfly, oppure importanti interpreti della scena teatrale come Gabriele Lavia, Sandro Lombardi, Ottavia Piccolo, Maddalena Crippa, Franca Valeri, Carlo Giuffrè, Alessio Boni, Vinicio Capossela. Sfilano poi i grandi classici della lirica e del balletto (Traviata, Trovatore, Werther, Il flauto magico, Viaggio a Reims, Les contes d’Hoffmann, Lo schiaccianoci, La bayadere), le opere rare dei compositori jesini (Il prigioniero superbo, Adriano in Siria, L’Olimpiade, La Vestale). Non possono infine mancare i classici della prosa (Gli uccelli, La scuola delle mogli, Decamerone, Un tram che si chiama desiderio) con una particolare predilezione per Samuel Beckett (Aspettando Godot, Giorni felici, Atto senza parole); né vengono trascurate determinate proposte del nuovo teatro italiano: Le ceneri di Gramsci di Pasolini, MPalermu di Emma Dante, Italiani cingali di Mario Perrotta, La commedia di Candido di Stefano Massini.
Adriana Argalia non rinuncia mai al suo stile personale caratterizzato dalla costante cura della inquadratura, dal sapiente uso dei vari piani che vanno dal dettaglio alla figura intera, dal piano medio ai primi e primissimi piani, dall’impiego sempre misurato di effetti particolari come il “mosso”, lo “sfocato”, il controluce. Da questo insieme di elementi emerge un continuo gioco di ombre e di luci, un sempre equilibrato rapporto tra la profondità dei neri e lo splendore dei bianchi, passando attraverso tutte le gradazioni dei grigi. In questo modo il teatro, altrimenti destinato a perdersi nelle nebbie della memoria, si rianima, torna a riprendere il suo posto sulla scena, fa rinascere nella mente di chi osserva le emozioni e le sensazioni vissute nel corso delle varie rappresentazioni. Una particolare funzione di questo libro sta nel ricordare a tutti che il teatro è ancora straordinariamente ed eternamente vivo nonostante sia la più antica delle arti sceniche, che esso continua a trasmettere i suoi messaggi attraverso le generazioni proprio perché non ha la rigida fissità della pagina letteraria, ma ritorna ogni sera a essere vita all’aprirsi del sipario, al di là del quale l’attende l’obiettivo vigile e sensibile di Adriana Argalia.