“Les Contes d’Hoffmann” all’Opéra de Paris-Bastille


di Alma Torretta

11 Dic 2023 - Commenti classica

All’Opéra de Paris-Bastille tornano “Les Contes d’Hoffmann” firmate da Robert Carsen. Eccellente il tenore Benjamin Bernheim nel ruolo del poeta Hoffmann.

(Foto @Emilie Brouchon)

Creata dal regista Robert Carsen nel 2000, questa versione de Les Contes d’Hoffmann di Offenbach è già stata ripresa otto volte, sempre con successo, ed è stata scelta nuovamente per concludere in bellezza il 2023 all’Opéra de Paris – Bastille.

Se la messa in scena è nota, sempre piacevole, elemento forte di tale ripresa è senza dubbio il cast che vede come protagonista Benjamin Bernheim nel ruolo del poeta Hoffmann, una parte che sembra essergli tagliata su misura, e che nelle ultime recite sarà sostituto dall’altrettanto perfetto per il ruolo Dmitry Korchak (21- 27 dicembre) che si è pure già distinto con la sua bella voce morbida ed il suo impeto giovanile nel repertorio romantico.

Le tre diverse donne amate dal poeta sono affidate ciascuno ad una differente cantante, così godendo di un più ampio spettro di voci e di stili interpretativi: Pretty Yende indossa con humour i panni della bambola Olympia; il soprano americano Rachel Willis-Sorensen mette il suo bel timbro particolare al servizio della cantante che non può cantare Antonia; il mezzosoprano Antoinette Dennefeld è, come deve essere, una cortigiana Giulietta, seducente ma di poco spessore perché senza scrupoli. E di alto livello anche tutti gli altri interpreti, dal mezzosoprano americano Angela Brower nel ruolo della Musa che veste i panni pure del giovane amico Nicklausse, al basso-baritono Christian Van Horn che interpreta con autorevolezza il politico Lindorf e le sue tre versioni cattive (Coppelius, Dapertutto, dottor Miracle).

Non entusiasma invece la direzione musicale affidata alla coreana Eun Sun Kim che ha il sapore del compitino ben fatto ma un po’ senz’anima, squadrato, perfettino, pulito di suono, ma freddo.

La regia di Carsen, ben ripresa da Marguerite Borie, ha contestualizzato all’oggi la vicenda, in un set cinematografico contemporaneo in cui si stanno girando diverse scene, con la taverna che diventa il bar della produzione dove di ritrovano tutto gli artisti. Bar che è visto dalla parte dei camerieri con il lungo bancone in primo piano che alla lunga annoia nella sua staticità, forse unico neo della messa in scena, e crea distanza con il coro disposto dall’altra parte e le cui voci a tratti un po’ pure si perdono nei grandi spazi vuoti.

Anche l’episodio di Antonia all’inizio sembra debba portare alla stessa insofferenza per un visuale molto statico, ma presentare Antonia nello spazio angusto e scuro della fossa dell’Orchestra finisce invece per sublimare il contrasto con lo splendore effimero del palcoscenico sovrastante ed è quindi una soluzione che mantiene tutta la sua efficacia.

Meravigliosa poi la barcarolle “Belle nuit, ô nuit d’amour” immaginata facendo ondeggiare non il mare ma le file di una sala cinematografica che si riempie di amanti.

Scene e costumi sono di Michael Levine e sono ancora, dopo vent’anni, freschi come dei classici senza tempo. In più, in questa produzione, si arricchiscono anche della versione di Olympia appositamente studiata per rappresentare le forme morbide di Pretty Yende che si presta al gioco con molta ironia ed intelligenza. Una Yende che entusiasma la sala essendo riuscita a trovare nella sua famosa aria “Les oiseaux dans la charmille” quel giusto equilibrio tra coloratura perfetta e un tocco di meccanicità che qui fa parte del personaggio. Così come entusiasma l’interpretazione naturale di Hoffmann, con Benjamin Bernheim che si regala senza risparmio ad ogni atto e fa soffrire le pene del giovane amante sfortunato, tutta la sala insieme a lui, con la sua bella voce ricca di colori struggenti e malinconici.

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