“L’eco della Sibilla” di Galliani risuona ad Ascoli Piceno
di Flavia Orsati
22 Gen 2024 - Arti Visive
Abbiamo visitato la bella Mostra antologica di Omar Galliani, intitolata “Omar Galliani. L’eco della Sibilla”, nel Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno. 40 splendide opere articolate in sette sezioni. L’esposizione è stata promossa dall’Associazione culturale Zoomart, in collaborazione con la Galleria 2019 di Ascoli Piceno e a cura di Stefano Papetti.
(In calce all’articolo le didascalie delle immagini)
Sibylla dicitur omnis puella cuius pectus numen recipit. Servio, Commentario all’Eneide
Un omaggio alla tradizione, al viaggio e alle radici: così potrebbe definirsi l’antologica di Omar Galliani, inaugurata presso il Palazzo dei Capitani di Ascoli Piceno il 14 gennaio 2024 e visitabile sino al prossimo 25 aprile. La mostra, intitolata “Omar Galliani. L’eco della Sibilla”, promossa dall’Associazione culturale Zoomart in collaborazione con la Galleria 2019 di Ascoli Piceno e a cura di Stefano Papetti, comprende circa 40 opere dell’artista articolate in 7 sezioni, di cui una si configura come un vero e proprio omaggio al territorio piceno come luogo mitopoietico e metafisico, più che geografico.
Osservando le opere presenti nelle varie sale dell’esposizione (“L’eco della Sibilla”, “Raffaellesca e altro. Il disegno è sempre in viaggio”, “Paesaggi interiori”, “De rerum natura”, “Blu oltremare”, “Baci rubati” e “Traiettorie dell’essere”), ci si trova davanti a un composito mosaico, del quale il visitatore ha l’onore di ricomporre, mentalmente e nel proprio io, le varie tessere.
Omar Galliani fa, da tempo, proprie le tematiche e le tecniche dell’anacronismo, tendenza artistica teorizzata, negli anni Ottanta, dai critici Maurizio Calvesi ed Italo Tomassoni; si tratta di una sorta di eclettismo pittorico, che consiste nella libera citazione e nel recupero di temi provenienti dall’arte del passato, riassemblandoli in base alla volontà creatrice dell’io.
Se, quindi, nell’opera di Galliani, è palese la volontà di recupero e dialogo con i grandi del passato, come Caravaggio, Raffaello o Leonardo, sicuramente è altrettanto manifesto il legame con una tradizione più ampia, con un inconscio collettivo che si esprime, sin dall’alba dei tempi, simbolicamente, per mano degli artisti, e con un immaginario poetico ed allusivo.
Ecco allora che la leggenda della Sibilla Appenninica si rivela un mitema da scoprire, sondare ed eviscerare, anche tramite la conoscenza diretta, empirica delle sue terre, e, poi, tramite un excursus mentale delle suggestioni che il genius loci sibillino sussurra all’orecchio di chi lo sa ancora ascoltare. La Sibilla Picena rappresenta, infatti, sul piano immateriale, oltre che un collante demoantropologico ed identitario per il sud delle Marche, un ponte sospeso tra cielo e terra, tra luce ed ombra e tra tutte le coppie antitetiche e dicotomiche che suggeriscono il tema della complementarità e dell’opposizione, dell’altro, del doppio, incarnazione del femminile non come attributo ma come simbolo latore di vita e, allo stesso tempo, di morte. In altre parole, archetipo della veggenza e della preveggenza, della fine e dell’inizio.
Figura mistica ed enigmatica, sulla quale da decenni ormai gli studiosi si dibattono senza mai poter dire l’ultima parola, nei disegni di Galliani si consustanzia in una elegante e raffinata bellezza femminile, che cela tuttavia un aspetto antico, conturbante e siderale, che esclude il chiassoso clamore mondano odierno. Donna marchiata a fuoco, inizio di tutto con il sacrificio del sangue, impastata di silenzio e di vento, è rappresentata in un universo segnico costituito da campi di energia, costantemente con gli occhi chiusi ma con il terzo occhio, quello che genera la conoscenza noetica ed intuitiva, estremamente vigile. Assorte nel vaticinio, le donne della sezione “L’Eco della Sibilla” sembrano proiettarci direttamente in un’altra ala della mostra, quella del “Blu oltremare”, il blu della sacralità della Vergine e della Divina Sophia, insieme alla ieraticità dell’oro e della tradizione delle icone, che connettono all’infinito e all’ascesi mistica, ad una dimensione catartica ed iniziatica del vuoto, come avviene in un altro cultore del colore blu, Yves Klein, non solo nelle sue Antropometrie ma anche nel celebre Ex voto per Santa Rita da Cascia: il blu, l’oro, il rosa, l’immateriale, il vuoto.
In Galliani, dunque, il contingente si esprime tramite una simbolizzazione artistica collegata all’essenzialità del segno, del carboncino o della grafite, entrambi medium di elezione per conferire corpo materico al dolore e alla bellezza del legame dell’uomo con la natura e con quanto lo circonda, a livello spirituale e materiale. Proprio l’arte, infatti, permette il contatto con il dominio simbolico ultratemporale dell’umano, contatto che purtuttavia resta sempre come sospeso, non si pone mai come appagante e definitivo, dato una volta per tutte, ma è soggetto a una continua ricreazione e rimodulazione, incarnandosi in una spinta uguale o contraria allo Zeitgeist che la manifesta.
Nell’universo teofanico di Galliani, la dualità è anche quella tra rimandi culturali occidentali ed orientali, tra antico e moderno, in un movimento sincronico e diacronico che crea una assoluta liricità nei disegni, come espressioni di sopiti moti emozionali che, spesso, sfuggono alla comprensione anche di chi li prova. Non esiste infatti solo il bianco e nero, nel raffinato cosmo dell’artista, ma ci sono dei grigi, ebbri e nebulosi, indistinti, che rappresentano quell’insolubile e, a volte, infinitesimale enigma che separa l’uomo dalla verità: questo terribile fatto, indicibile a parole, lo si concepisce con il disegno e le sue nebbie.
La riflessione di Galliani parrebbe essere anche quella sul vuoto: considerando alcune opere, è inevitabile percepire come la bellezza, il suo puro ideale, si situi altrove, non faccia parte della caducità del nostro mondo, generando un conflitto fecondo che porta ad una tensione dialettica tra l’abbagliante nitore della luce e il rassicurante tormento della nebbia. In questo senso, il percorso artistico non può che essere paragonato ad un iter iniziatico, che punta ad estrarre il bello eterno, a scoprire il lato nascosto delle segrete cose.
La mano di Galliani è segnica e sinestetica, incisiva ma leggera, dall’immaginario saturnino ed afrodisiaco, seducente e fascinosa ma, allo stesso tempo, spiritualmente profonda ed esistenziale. Come nelle donne del maestro del mistero Fernand Knopf, gli occhi delle Sibille di Galliani sono socchiusi, sprigionano un profondo silenzio. Ragazze, donne, apparentemente normali: ma ricordiamo che Servio, nel suo Commentario all’Eneide di Virgilio, descrive come Sibilla “qualsiasi ragazza che riceve il Dio nel proprio petto”. Un sottile inframondo, ammantato da una coltre impalpabile come un velo, impossibile da comprendere con il raziocinio, che lascia presagire un universo ctonio, oscuro, in ultima analisi sibillino. Proprio a questo mira il ductus dell’artista: la spazialità che si crea non è mai definita una volta per tutte e trasmette all’osservatore un senso di sospesa attesa, di inquietudine, come se il prodigio fosse sempre sul punto di arrivare ma come se l’arte, consapevole, di ciò, espandesse e procrastinasse questo tempo all’infinito, creando un diaframma in cui, metafisicamente, si intrecciano ed inanellano diversi piani del reale. In questo mondo allegorico, i segni si confondono con i sogni ed i sogni con i segni: l’abilità dell’artista è mimetica e, al contempo, evocativa. E si tratta di un anacronismo apparente: si è al cospetto di un’aporia solo se si dà per scontato che il dominio della realtà sia limitato alla sfera del percepibile alla vista, e che l’aderenza al reale implichi la mimesi o l’esegesi del mero dato fisico – e non di quello metafisico o, ancor meglio, della loro unione.
Inevitabile allora l’avere, nei disegni, una anastomosi tra le figure umane e l’atmosfera che le circonda, che si parli della Sibilla o di Berenice: il catasterismo è espresso dal disegno siderale che, se lo si analizza a fondo, porta ad una elusione, in chiave predicativa, di tempo ed oblio, trascinando l’osservatore in un ambito non coscienziale, dalla complessa simbologia mistica.
In Sui tuoi passi e Blu oltremare, i fogli o le foglie si perdono al vento come gli antichi vaticini della Sibilla: ecco che il contemporaneo viene calato nel flusso eterno, ayant l’expansion des choses infinies, e che il mondo tutto si rispecchia e si ricrea nello sguardo – mentale – della donna, fino ad identificarsi in essa, e fino a quando non intercorrono più differenze semantiche tra i due elementi. Niente, comunque, è idilliaco e determinato: ci sono Ancora macchie sulla bellezza, nessun ideale di perfezione classica, ma un senso di inquietudine tutto moderno, pregna di screziature e veli che la nascondono o la inquinano.
Nel suo dialogo con il doppio, non stupisce perciò la scelta di Galliani per le Marche, una terra plurale, dalle mille contraddizioni, e per i luoghi della Sibilla: entroterra dall’ambiguità simbolica suprema, dove un essere può al contempo configurarsi come custode di sacri e salvifici segreti sapienziali e come ammaliatrice fatale, in grado di condurre il prossimo alla perdizione e alla dannazione. Uno specchio in cui l’uomo, e l’artista, può riflettere la propria immagine, analizzare i propri irrisolti, i propri demoni e i propri abissi. Ma anche innalzarsi alla sublimità e alla catarsi di una natura che fa spaziare lo spazio dalla montagna al mare, allargando l’orizzonte, anche figurato, più di quanto si possa immaginare.
Marche. Terra di anime, di fuochi fatui e di visioni. Piceno. Terra della Sibilla, essere proteiforme e cangiante, dall’infinità di volti. Arte. Unica pulsione che può attutire la caduta, ma non evitarla.
DIDASCALIE DELLE IMMAGINI
Fig. 1 Omar Galliani, L’ECO DELLA SIBILLA, matita nera e pigmento rosso su tavola, cm 100x100, 2023 Fig. 2 - Omar Galliani, L’ECO DELLA SIBILLA, matita nera su tavola, cm 100x100, 2023 Fig. 3 - Omar Galliani, L’ECO DELLA SIBILLA, matita nera e pigmento rosso su tavola, cm 100x100, 2023 Fig. 4 - Omar Galliani, DA E PER RAFFAELLO, carboncino su carta antica, cristallo e foglia d’ oro, cm 70x100, 1977 Fig. 5 - Omar Galliani, ANCORA MACCHIE SULLA BELLEZZA, tecnica mista su carta, cm 54x54, 2008 Fig. 6 - Omar Galliani, RURI PULCHRA, n. 40 disegni a carboncino su carta artigianale, cm 33x50, Patù, Lecce, 2007 Fig. 7 - Omar Galliani, FIFTEEN SOULS, matita su tavola, cm 40x40, 2023 Fig. 8 - Omar Galliani, DE RERUM NATURA, matita nera su tavola e pastello, cm 80x80, 2020 Fig. 9 - Omar Galliani, BLU OLTREMARE, pastello blu e tempera su tavola, cm 50x180, 2019 Fig. 10 - Omar Galliani, BACI RUBATI / COVID 19, grafite su tela e carboncino, cm 140x140, 2020 Fig. 11 - Omar Galliani, BLU OLTREMARE, dittico, pastello, oro in foglia e tempera su tavola, 186x162 cm, 2003 Fig. 12 - Omar Galliani, BLU OLTREMARE, dittico, pastello, oro in foglia e tempera su tavola, 186x162 cm, 2003