“Le Troiane” di Seneca per il TAU 2018
di Alberto Pellegrino
17 Lug 2018 - Commenti teatro
La stagione 2018 del TAU prevede due importanti appuntamenti nell’Anfiteatro Romano di Urbisaglia. Il 31 luglio andrà in scena per prima la tragedia Troiane di Seneca per la regia di Alessandro Machìa e per l’interpretazione di Eduardo Siravo, Paolo Bonacelli, Valeria Ciangottini, Alessandra Fallucchi e Silvia Siravo.
Si tratta di uno dei testi teatrali più importanti del drammaturgo latino Seneca che trae ispirazione da due tragedie Le troiane e L’Ecuba di Euripide, per cui l’azione vede la presenza di personaggi come Ecuba, Taltibio, Pirro, Agamennone, Calcante, Elena, Andromaca, Astianatte e Ulisse e si disputa intorno al sacrificio delle vite di Polissena e Astianatte.
Per Seneca il tema fondamentale rimane la violenza subita e il profondo dolore vissuto dalle donne dei vinti, ma anche la dignità con cui affrontano la sconfitta e la schiavitù, mentre fa da controcanto la mancanza di pietà dei Greci. L’autore usa, inoltre, i cori delle Troiane e dei Greci per esporre alcune sue considerazioni filosofiche sulla mortalità dell’anima e sulla relatività della sofferenza.
Di fronte a Troia ancora in preda alle fiamme, l’azione drammatica si svolge nell’accampamento greco, dove compare per prima Ecuba che intreccia un dialogo con il Coro che diventa un appassionato lamento funebre per Troia, Ettore e Priamo. La regina rievoca i momenti più tragici dell’ultima fase della guerra, l’inganno di Ulisse, le inascoltate profezie di Cassandra, la crudeltà di Pirro uccisore del re. Ecuba compiange le sue concittadine destinate a diventare schiave dei vincitori e, anche se deve accettare il suo destino di esule-schiava, invoca per sé la morte vista come una liberazione (“L’unico mio desiderio è la morte.”).
L’araldo greco Taltibio racconta alle Troiane la prodigiosa apparizione dello spettro di Achille che ha ordinato di sacrificare sulla sua tomba Polissena, figlia di Priamo e di Ecuba (“Ve ne andate, vigliacchi, andate via togliendomi la preda che mi spetta. Vi imbarcate ingrati, per andare in un mare che è mio. La Grecia ha sofferto non poco per l’ira di Achille, e molto soffrirà ancora. Polissena è promessa alle mie ceneri: sia sacrificata per mano di Pirro e bagni il mio sepolcro con il suo sangue”). Pirro ricorda ad Agamennone le imprese del padre Achille che aderì alla guerra pur conoscendo il suo destino, che uccise Ettore e tanti fortissimi avversari. Per questo Pirro esorta Agamennone a esaudire la richiesta dello spettro paterno.
Il re invita Pirro a moderare il suo giovanile ardore e afferma che il vincitore deve comportarsi con saggezza considerando quanto sia mutevole la fortuna dei potenti e quindi si rifiuta di sacrificare Polissena. Agamennone è il prototipo del re saggio e rappresenta quelle virtutes imperatoriae che comprendono anche la clementia.
Egli ricorda che la moderazione vieta di commettere quelle azioni che la legge non vieta, perché nessuno è riuscito a conservare a lungo il potere con la violenza e quanto è grande può crollare in un attimo. Si oppone pertanto all’uccisione di Polissena, ritenendo che: “Colui che non impedisce un delitto, potendolo, è come se ordinasse lui stesso di commetterlo”. Pirro non accetta questa decisione e dichiara che ucciderà personalmente la fanciulla.
Per porre fine alla disputa, Agamennone chiama Calcante perché indichi il volere degli dei in merito al sacrificio. L’indovino conferma che Polissena dovrà morire e dichiara che è necessario uccidere anche Astianatte, il piccolo figlio di Ettore.
Appare Andromaca, che ha sognato l’ombra di Ettore e che l’ha pregata di nascondere il piccolo Astianatte per salvargli la vita, per cui nasconde il piccolo fra le sepolture dei caduti e annuncia la sua morte. Sopraggiunge Ulisse con l’ordine di prelevare il fanciullo per precipitarlo dall’unica torre superstite di Troia. La stirpe di Ettore, spiega Ulisse, è troppo pericolosa per i Greci, per cui non possono permettere che Astianatte, una volta divenuto adulto, voglia vendicare la morte del padre e la rovina di Troia.
Andromaca giura che il bambino è morto, ma Ulisse è troppo astuto per crederle e, quando le sue minacce di tortura e morte non ottengono alcun effetto, dice che farà disperdere al vento le ceneri di Ettore. Di fronte a questa minaccia la donna prova a dissuadere Ulisse con le preghiere, ma il Greco si mostra inflessibile. Allora Andromaca consegna Astianatte e prega Ulisse di essere pietoso, ma l’eroe greco giustifica il proprio operato con l’ordine di Calcante e con il dovere di proteggere il futuro dei Greci, quindi concede ad Andromaca soltanto il tempo di dare un breve e straziante addio al figlio.
Elena ha il compito di preparare Polissena al sacrificio facendole credere di prepararsi alle nozze con Pirro. Seneca la colloca dalla parte dei Greci e non appare come una divinità anzi è rappresentata con tutte le sue lacerazioni interiori. La regina non rinnega il suo amore per Paride, ma rimane complice dei vincitori, attenuando i suoi sensi di colpa con l’alibi giuridico dell’esecuzione degli ordini.
Il suo inganno nei confronti di Polissena è smascherato da Andromaca e da Ecuba, per cui si scusa con le Troiane, pur sapendo di essere identificata come nemica. Elena cerca di consolare Andromaca e Polissena, dicendo che la prima diverrà la sposa di Pirro, mentre la seconda con la sua morte sarà la sposa del grande Achille, due destini che dovrebbero essere considerati due grandi onori. Andromaca l’accusa di aver provocato la guerra ed Elena si lamenta della sua lunga prigionia e dell’incerta sorte che l’attende. Entra Ecuba alla quale Elena spiega cosa accadrà a Polissena, mentre la regina sarà la schiava di Ulisse. Ecuba, ormai vinta dal dolore, appare rassegnata a subire ciò che il fato le riserva, pronuncia un nuovo lamento per la morte imminente della figlia e prega Pirro di ucciderla.
Un nunzio racconta come sia avvenuta la morte di Polissena e di Astianatte. Ulisse ha accompagnato il fanciullo in cima alla torre alla presenza di una grande folla che è stata commossa dalla dignità e dal coraggio del piccolo, il quale si è gettato volontariamente nel vuoto: “Così il fanciullo, trattenuto per mano dal suo nemico, con il suo portamento fiero e orgoglioso ha commosso la gente, i comandanti, persino Ulisse. Non piange, lui che nella folla piangono tutti; poi mentre Ulisse pronuncia le preghiere, ripete le parole dette dal vate, invoca gli dei della morte ad assistere al rito, lui salta giù di sua iniziativa, e cade nel centro del regno di Priamo.”
Non meno dignitosa è stata la fine di Polissena che, trafitta senza pietà dalla spada di Pirro ha indotto al pianto sia i Troiani sia i Greci. Polissena, che è un personaggio muto, affronta la morte con il coraggio di una principessa, secondo la descrizione fatta del messaggero: “Lei non si ritrae, è una vergine guerriera, fiera, con il suo volto deciso, pronta a ricevere il colpo. La trafigge in profondità, e dalla larga ferita, mortale, esce improvviso un fiotto di sangue. Anche in punto di morte non viene meno il coraggio: cade distesa con un moto di rabbia, quasi volesse rendere più pesante la terra su Achille…Il sangue versato non ristagnò sul terreno, non fluì via, lo assorbì e lo bevve tutta la tomba crudele”.