Le opere dello Sferisterio 2009
Alberto Pellegrino
7 Ago 2009 - Commenti classica
Il Don Giovanni di Mozart
Pier Luigi Pizzi ha dedicato l'edizione 2009 al tema dell'inganno che passa attraverso la seduzione, la menzogna o l'imbroglio abusando della buona fede L'apparenza può essere ingannevole come la memoria traditrice. Le infedeltà e le delusioni sofferte o inflitte possono avere conseguenze mortali. C'è il tradimento in amore e nell'amicizia, la fede tradita, la frode. Si inganna il tempo per ingannare la noia, le speranze sono vanificate da promesse ingannatrici . Queste le motivazioni di fondo della scelta del Maestro Pizzi che vede concentrarsi molti di questi aspetti nel personaggio di Don Giovanni che si prende gioco consapevolmente della morte, ma non può sfuggire alla dannazione che la morte stessa gli ha destinato . A proposito del Don Giovanni di Mozart, Pizzi dice che è da una vita che studio questo personaggio e questa opera con la quale ha debuttato come scenografo a Genova nel 1952, per poi riprenderla come regista nel 1977 a Bologna con la celebre interpretazione di Ruggero Raimondi. Per l'edizione di Macerata Pizzi ha voluto puntare sulla chiave interpretativa della giovinezza sia per quanto riguarda gli interpreti, sia per la direzione d'orchestra, perchè essa corrisponde alla vitalità e alla freschezza della musica di Mozart.
Il mito di Don Giovanni è tra i più popolari e prolifici dell'età moderna, se si pensa che questo personaggio è stato il soggetto (cfr. il saggio sulla figura di Don Giovanni nella rubrica Musica e teatro . n.d.r.) di oltre cinquecento fra commedie, tragedie, canovacci della Commedia dell'arte, drammi musicali, opere liriche, film, poemi, racconti e romanzi, costituendo un elemento fondamentale dell'immaginario collettivo, tanto da entrare nel nostro linguaggio quotidiano, dove il termine dongiovanni serve a definire un seduttore di donne, corteggiatore irresistibile , oppure chi si atteggia a grande corteggiatore di donne, spesso con scarsa fortuna . Nato nel Seicento come il libertino destinato alla dannazione eterna, prima con Molière poi con l'Illuminismo, Don Giovanni non è più l'ateista fulminato, il dissoluto punito, il profanatore di fanciulle virtuose, il tentatore della sacralità del matrimonio, ma il libero pensatore che non piega la fronte dinanzi all'autorità paterna, politica e religiosa, un uomo che non conosce viltà e sperpera il suo coraggio, la sua giovinezza e vuole solo soddisfare il suo prepotente, inestinguibile bisogno di amare (Giovanni Macchia).
Wolfango Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte nel creare il loro Don Giovanni (1787), giustamente definito il capolavoro dei capolavori , danno vita a un personaggio sanguigno, pieno di fuoco e di gioia di vivere, la cui forza tutta terrena si fonda su ciò che è reale, materiale, credibile e per questo non arretra e non cede di fronte al sovrannaturale, conservando la sua tragica grandezza. La geniale intuizione di Mozart consiste nell'aver posto il libertino impenitente sullo stesso piano del Commendatore, in uno scontro senza pietà che ha come posta la vita stessa. In questa lotta feroce Don Giovanni esce sconfitto, ma con l'onore delle armi: assassino a causa delle circostanze, ingannatore e seduttore, egli non appare mai un personaggio odioso o ripugnante, ma diventa l'emblema della straordinaria creatività drammatica di un Mozart che sa conciliare il sorriso e il pianto, la gioia di vivere e il terrore della morte in un'opera dove il comico e il tragico sono fusi in un perfetto e inimitabile equilibrio, aprendo una nuova stagione del melodramma.
Su questa linea il maestro Pier Luigi Pizzi ha creato nel Teatro Lauro Rossi il suo Don Giovanni, approfittando della limpidezza e fluidità del libretto di Da Ponte e della splendida partitura mozartiana, in cui si fondono in un perfetto amalgama i registri del giocoso e del patetico, del burlesco e del tragico. à nata così un'edizione dell'opera irriguardosa pur nella tradizione, giovanile e briosa pur nelle sue aperture drammatiche, attraversata da una sottile vena erotica che parte dalla reale seduzione di Donna Anna, passa attraverso il gioco dell'inganno e del travestimento nella reale seduzione di Donna Elvira da parte di Leporello, per finire con i nudi demoni che nel finale sbranano Don Giovanni. Alla sostanziale solitudine che caratterizza il personaggio, Pizzi ha voluto contrapporre le sue donne, che sono davvero terribili e scatenate! Donna Anna mi pare una mentitrice spudorata: cosa sarà successo nella sua stanza? Donna Elvira sembra una mitomane: davvero crede che Don Giovanni possa essere fedele? Non parliamo di Zerlina, una terribile fraschetta . Questa connotazione erotica, che tanto rumore per nulla ha suscitato prima, durante e dopo le rappresentazioni dell'opera, ci è apparsa persino troppo soft e non certamente tale da far gridare allo scandalo una parte del pubblico benpensante . La lettura al femminile di questa opera giustifica in pieno la presenza dominante sulla scena di due giovani cantanti molto brave e molto belle come Myrtò Papatanasiu (Donna Anna) e Carmela Remigio (Donna Elvira). Da parte sua il basso Ildebrando D'Arcangelo tratteggia un Don Giovanni carico di vitalistica energia giovanile, spavaldo e astuto, amante della vita fino al momento della morte, certamente un grande seduttore, tuttavia non sempre all'altezza delle situazioni estreme dice Pizzi – in cui si viene a trovare con queste donne terribili e piene di foia . Andrea Concetti, ormai interprete di caratura internazionale per potenza di voce e doti tecniche, è uno straordinario Leporello pieno di ironia, spavalderia, intensità , capace di condurre il suo gioco dell'inganno e del travestimento al pari del suo padrone.
Efficace nella sua essenzialità appare la scena che ruota intorno al grande letto come luogo deputato di eventi fondamentali e quanto mai ingegnosa risulta la soluzione della botola che immette in un sottopalco, luogo del nascondimento, dell'intrigo e del tragico finale. Pizzi per questa opera, legata al Secolo dei lumi e del libertinaggio, ha voluto lasciare l'ambientazione nel suo tempo: Certo il mito è universale, ma io credo che l'attualizzazione, se avverrà , sarà per confronto con i tempi attuali . Coerenti con questa impostazione sono risultati anche i costumi, come sempre molto eleganti e cromaticamente perfetti (unico neo il camicione finale del Commendatore/statua per il quale avremmo preferito un costume più tradizionale ), usati in senso dinamico e creativo nel corso dell'opera come aveva annunciato il maestro: I costumi saranno, ovviamente d'epoca, e molto curati, ma non voglio trasformare l'opera in una galleria: i costumi saranno pertanto trattati come abiti. Del resto a portarli sono personaggi che, nel corso della vicenda, si vestiranno e si spoglieranno con grande disinvoltura per cedere al richiamo dei sensi, molto forte in quest'opera . Obiettivo pienamente raggiunto, Maestro Pizzi!
Le Malentendu di Camus e D'Amico
Le Malentendu, che il compositore Matteo D'Amico ha realizzato con l'adattamento della omonima commedia di Albert Camus, costituisce la novità assoluta di Sferisterio Opera Festival 2009. Si tratta di una prima mondiale assoluta in quanto l'opera è stata commissionata appositamente dal direttore artistico Pier Luigi Pizzi in quanto ritenuta perfettamente aderente al tema dell'Inganno, a causa del vicendevole occultamento della realtà che spinge i personaggi di questa tragedia verso il loro drammatico destino. D'Amico si è avvicinato da poco tempo alla lirica e dalla sua esigenza di accostare la musica alla parola è partita egli dice – la mia personale voglia di opera, da intendersi come ennesimo tentativo di comunicare emozioni attraverso la musica e il teatro, ancora meglio, attraverso il canto che si fa teatro .
L'opera teatrale di Albert Camus (1913-1960) rimane l'esempio più nobile di teatro politico-filosofico, anche se il suo primo lavoro Le Malentendu (1944) va letto in chiave decisamente esistenzialista, perchè affronta il tema del vivere quotidiano dilaniato dall'alienazione e dall'incomunicabilità dei sentimenti. Si tratta di un apologo sul destino dell'individuo costretto a vivere in un mondo assurdo, irragionevole e privo di qualunque luce trascendente, dove la lotta per la ricerca della felicità e della conoscenza è continuamente inficiata dalla presenza del dolore e della morte, che negano all'uomo la possibilità di dare un significato all'esistenza. Sul modello della tragedia greca, Camus adotta l'unità di luogo e di tempo, ambientando la vicenda in uno sperduto villaggio della Boemia, dove Marta e sua Madre con un vecchio servitore gestiscono un piccolo albergo quasi sempre deserto: l'anziana donna è stanca di vivere, mentre la giovane è ossessionata dalla voglia di abbandonare queste terre senza orizzonte e dimenticare questo paese di ombra per vivere in un paese di fronte al mare , nel quale poter trovare la libertà e la felicità . Per accumulare il denaro necessario alla fuga , le due donne uccidono tutti i rari clienti che capitano nel loro albergo, facendoli addormentare e annegandoli nottetempo nel fiume. Mentre la Madre mostra segni di una crisi morale, la figlia sostiene che il delitto è delitto. Bisogna sapere quel che si vuole , perchè esso è lo strumento per arrivare fino al paese dove il sole soffoca qualsiasi interrogativo . Jan giunge in albergo senza rivelare la sua identità e prega sua moglie Maria di lasciarlo solo, malgrado l'istintiva paura che lei nutre per questo inganno. Le due donne non riconoscono quest'uomo che fa troppe domande sulla loro vita. Il destino del cliente è deciso: sarà trattato come tutti gli altri, perchè dice Marta che diventerebbe il mondo se i condannati cominciassero a confidare al boia le pene del loro cuore? . Dopo aver bevuto il tè, Jan si addormenta e le due donne lo gettano nel fiume. Il vecchio servitore porge loro il passaporto dell'ospite, per cui si scopre la sua vera identità : Marta reagisce con freddezza, mentre la vecchia afferma che quando una madre non è più capace di riconoscere il proprio figlio, vuol dire che ha terminato di recitare la sua parte sulla terra e non le resta che uccidersi. Marta capisce che resterà sola e per sempre lontana da quel suo mitico paese, allora per manifestare tutto il suo odio verso il mondo decide di togliersi la vita: Priva del mio posto su questa terra, respinta da mia madre, sola in mezzo ai miei delitti, lascerò questo mondo senza essermi riconciliata . Prima però rivela l'assassinio del fratello/marito a Maria che, sconvolta dal dolore e da questa assurda follia, rivolge la sua preghiera a Dio e chiede aiuto al vecchio servitore che le risponde con un secco no .
L'autore ha sostanzialmente rispettato l'alta qualità del testo teatrale, scegliendo una formazione orchestrale (ben diretta dal M Guillaume Tournaire) composta solo da cinque archi, una fisarmonica e un clarinetto. D'Amico ha composto delle musiche che creano come un velo di ghiaccio sopra il quale scorre il canto, un canto che quasi sempre è autentico messaggio della parola . Egli ha avvertito il bisogno di dare il maggiore rilievo possibile alle battute asciutte e taglienti dei personaggi, inserendo dei momenti di accensione lirica che servono a collegare i vari passaggi della commedia come brevi esplosioni, tensioni estreme per riuscire a dire ciò che non si riesce a comunicare . L'autore, pur mantenendo intatta la struttura del testo, è stato costretto ad alleggerirlo in alcuni passaggi per ragioni di durata e per esigenze specificatamente musicali. Tuttavia qualche taglio troppo robusto ha finito per sacrificare soprattutto il personaggio di Marta, privata di una parte delle sue motivazioni esistenziali per cui si è corso il rischio di ridurla a un mostro privo di qualsiasi pulsione umana. Citiamo, per esempio, la soppressione dell'incontro tra Jan e Marta, quando l'uomo parla del mare, delle primavere, dello sbocciare dei fiori nel suo paese, mentre la donna parla dell'odore della miseria, della pioggia che affoga tutte le cose, della sua solitudine, della sua irresistibile voglia di evasione.
Nell'affrontare l'impegnativa regia Saverio Marconi ha detto che Le Malentendu è un'opera molto particolare, una specie di tragedia greca contemporanea. I personaggi sono una Madre stanca che si lascia trascinare dagli eventi. Una Figlia che non è riuscita ad ottenere quello che voleva, una di quelle tragiche figure che danno la colpa dei propri insuccessi a qualcun altro. Ci sono poi un Figliol Prodigo e la Moglie, e poi c'è un Vecchio . Per questa messa in scena, certamente ricca di suggestioni e ben sostenuta dalla bravura degli interpreti Elena Zilio, Sofia Solovij, Mark Milhofer, Savinia Rodrìguez e Marco Iacomelli, Marconi ha puntato ad evidenziare l'intimità e la interiorità della vicenda, rigorosamente ambientata negli anni Trenta, la sostanziale incomunicabilità dei personaggi, il dramma delle due donne condannate ad ingannare e ad essere ingannate da un invincibile gioco dei sentimenti guidato da un impassibile deus ex machina. Marconi tiene presente la lezione di Antonin Artaud, contemporaneo di Camus che, come lui, affronterà in un suo romanzo il tema della peste. Aurtaud sostiene che come la peste, il teatro è un formidabile appello a forze che riportano con l'esempio dello spirito la fonte dei suoi conflitti Il teatro essenziale è come la peste, non perchè è contagioso, ma perchè come la peste è la rivelazione, la trasposizione in primo piano, la spinta verso l'esterno di un fondo di crudeltà latente, attraverso il quale si localizzano in un individuo o in un popolo tutte le possibilità perverse dello spirito. Come la peste, è il momento del male, il trionfo delle forze oscure, che una forza ancora più profonda alimenta sino all'estinzione . Ancora Artaud ritiene che la messa in scena debba avere una sua valenza metafisica e poetica, debba esprimere la misteriosa identità che esiste tra il principio del teatro e il principio dell'alchimia.
Secondo questa visione, lo stesso allestimento acquista un'importanza fondamentale, per cui lo spettacolo deve contenere elementi fisici e oggettivi percepibili da tutti, basandosi sulle luci, i colori, gli oggetti, il ritmo fisico dei movimenti. La stessa scena, che Marconi ha posto al centro della sala con il pubblico tutto intorno, richiama la teoria di Artaud che propone di sopprimere la sala teatrale per sostituirla con un luogo unico che diventerà il teatro stesso dell'azione , perchè solo in questo modo sarà possibile ristabilire una comunicazione diretta fra spettatore e spettacolo, fra spettatore e attore, perchè lo spettatore, situato al centro dell'azione, sarà da essa circondato e in essa coinvolto .
La Traviata di Verdi
Il capolavoro verdiano, che ritorna dopo diversi anni nello Sferisterio di Macerata e dopo la trionfale apparizione della Traviata di Svoboda, è certamente l'opera più popolare dell'intero universo lirico e questo termine va inteso, a dispetto di coloro che si ritengono dei sofisticati intenditori, come sinonimo di Universale, in quanto essa è in grado di soddisfare le attese e dare emozioni a qualsiasi tipo di pubblico indipendentemente dal livello culturale, dallo status sociale o dalla nazionalità . Questo accade non solo perchè Verdi compie un gesto rivoluzionario, portando sulla scena la signora delle camelie inventata da Alessandro Dumas figlio e colorandolo di chiari riferimenti autobiografici, ma perchè con Violetta Verdi supera di slancio il tema della passione amorosa violenta, assoluta, senza sfaccettature per entrare nella sfera del sentimento, ricca di zone d'ombra e di molteplici sfaccettature: dalla Violetta quasi edonistica del primo atto alla Violetta che ama e che alla fine muore consunta dalla malattia e dal dolore passano tutta una serie di sentimenti che fanno di questo personaggio uno dei più belli e complessi di tutta la produzione operistica mondiale, proprio perchè Violetta ha una superiorità morale e sentimentale che sfiora e scalfisce appena gli altri due protagonisti. Mariella Devia ha messo in mostra un quasi assoluto dominio tecnico dei propri mezzi vocali e una capacità interpretativa affinata nel corso degli anni grazie alla lunga frequentazione con il personaggio, arrivando a una raffinata rappresentazione dei sentimenti soprattutto nel terzo atto. Alejandro Roy, pur avendo notevoli mezzi vocali, è ancora troppo giovane per affrontare un personaggio come Alfredo che richiede l'uso di un fraseggio elegante e nello stesso tempo appassionato, per cui la sua interpretazione è risultata alquanto ingenua . Stesso discorso vale per il giovane baritono Gabriele Viviani, dotato di grandi mezzi vocali, ma non ancora in grado di conferire al personaggio quel nobile alternarsi di autorità familiare, di amore paterno e, alla fine, di sincera ammirazione che fanno di Germont una delle parti baritonali tra le più belle del repertorio verdiano. Il giovane maestro Michele Mariotti ha scelto giustamente la strada della tradizione secondo la quale il direttore deve agire con grande discrezione, mettendo se stesso e l'orchestra al servizio dei cantanti, anche se questo suo atteggiamento di umiltà non deve essere confuso per mancanza di personalità e di professionalità . Nel complesso quindi una buona edizione di Traviata sotto il profilo del canto e dello spessore musicale.
Una nota negativa è rappresentata invece dalla messa in scena di Massimo Gasparon, che in passato aveva offerto prove registiche di qualità , ma in questo caso è apparso in grave difficoltà di fronte all'interpretazione di un testo operistico come la Traviata con una regia piatta, con una scenografia di maniera, con scelte cromatiche almeno discutibili per quanto riguarda i costumi, con una insufficiente gestione delle masse e delle parti danzate. Tutto questo non è giustificabile con la sola scarsità di mezzi finanziari, poichè si tratta di un problema attinente l'intera progettualità dello spettacolo, tanto è vero che l'opera acquista spessore registico solo nel terzo atto, quando tutto viene giocato su efficaci atmosfere intimistiche sottolineate dai monocromatismi dei bianchi e dei neri (disturbate per un momento dall'infelice ingresso in scena delle maschere carnevalesche).
A giustificare queste scelte registiche non valgono certo le motivazioni addotte da Gasparron (anzi peggiorano le cose), quando afferma di essersi ispirato sia alla Recherche di Marcel Proust per evitare falsi moralismi o cadute nel grottesco , sia alla teatralità di Pirandello. A parte che è meglio sorvolare sul richiamo a Pirandello mille miglia lontano dalla teatralità verdiana, ci limitiamo a definire almeno discutibile l'accostamento fra la Odette di Proust e la Violetta di Verdi: la prima, mito consacrato del Decadentismo di fine secolo, ha secondo Gasparron lo stesso sguardo disincantato sulla carriera e sulla sua vita che ha Violetta. Quando mai questa eroina assoluta del romanticismo verdiano guarda con disincanto alla sua vita vissuta nel segno della passione, del dolore e del generoso sacrificio di se stessa? Si è forse dimenticato che il personaggio verdiano è stato filtrato attraverso il romanticismo di Alessandro Dumas figlio, per il quale Margherita Gautier è soltanto (e non è poco) la Dama delle Camelie e non certo una sospirosa e decadente eroina del salotto proustiano. Sta di fatto che l'addurre riferimenti e motivazioni, che poi non si riesce a far affiorare nel corso dello spettacolo, equivale ad arrampicarsi sul grande specchio che inutilmente troneggia al centro della scena per due terzi della rappresentazione.
La Madama Butterfly di Puccini
Madama Butterfly, a detta dello stesso Puccini, rappresenta l'opera più sentita e più suggestiva tra quelle da lui composte, quella anche più tormentata visto che di questo lavoro l'autore ha realizzato tre diverse partiture, dopo quella iniziale andata in scena a Milano il 17 febbraio 1904 e segnata da un solenne fiasco. Reduce dagli straordinari successi di Manon Lescaut (1893), Bohème (1896) e soprattutto del capolavoro assoluto di Tosca (1900), Puccini è alla ricerca di una fonte d'ispirazione diversa dalle precedenti, ma tale da rinnovare il favore del pubblico, per cui comincia a studiare la musica, i riti, la cultura del Giappone, affascinato dalla popolarità che gode l'Oriente in Europa, consapevole nello stesso tempo di dover evitare l'esotismo cartolinesco e la banalizzazione della cultura orientale allora in gran voga. In Occidente l'interesse per l'estremo Oriente e in particolare per il Giappone ha inizio con l'Esposizione Internazionale di Parigi del 1867, dove per la prima volta fa la sua apparizione l'arte giapponese, un interesse rafforzato fra gli intellettuali dall'arrivo in Italia e in Europa delle fotografie realizzate dal grande fotografo esploratore Felice Beato, che compie il suo viaggio in Giappone tra il 1863 e il 1877. Per completare il quadro bisogna infine ricordare che nel 1887 viene pubblicato il romanzo Madame Chrysanthème di Pierre Loti, opera in parte autobiografica dove un ufficiale di marina francese sposa una musume a Nagasaki per poi lasciarla, dopo averla regolarmente pagata. Siamo nella fase della politica delle cannoniere iniziata nel 1868 con l'apertura dei porti giapponesi agli occidentali, che considerano il Giappone una specie di colonia ed è appunto un costume colonialista quello di molti ufficiali di sposare (a pagamento e a termine) giovani donne che non sempre sono delle prostitute, sfruttando le norme previste dalle leggi giapponesi.
Nel 1878 l'americano John Luther Long pubblica la novella Madame Butterfly, alla quale s'ispira David Belasco (1854-1931) per scrivere nel 1900 una commedia che mantiene lo stesso titolo e che ottiene uno straordinario successo presso il pubblico americano, affascinato da questa storia strappalacrime: la giovanissima Butterfly si illude di essere amata da un ufficiale di marina americano e di essere diventata la sua vera moglie; ben presto però, dopo aver dato alla luce un bambino, è costretta a fare i conti con la realtà . Quando scopre che l'ufficiale l'ha abbandonata per sempre ed ha sposato una donna americana alla quale dovrà cedere il proprio figlio, la giovane decide di uccidersi secondo il rituale seppuku. Nel quadro del teatro americano del secondo Ottocento, Belasco rappresenta il teatro popolare e di consumo che servirà a riempire le sale teatrali proprio con le sue opere, essendo divenuto anche impresario di se stesso. Egli continuerà a mietere successi in particolare con la messa in scena de La fanciulla del West (1905), poi ripresa nel 1910 da Puccini che compone il primo melodramma scritto su un tema americano .
Puccini, che nel 1900 aveva assistito al dramma di Belasco, rappresentato nel Duke of York's Theater di Londra, decide di ritornare all'opera intimista, al dramma psicologico, alla poesia delle piccole cose, affascinato come spesso gli accade dalla protagonista femminile della vicenda e, mentre approfondisce gli studi sulla musica e sui costumi del Giappone, mette al lavoro la coppia ormai collaudata dei suoi librettisti Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. Puccini, grazie anche all'influenza di Debussy e Massenet, si allontana decisamente dal tradizionale melodramma ottocentesco a forma chiusa caratterizzato da una successione di arie indipendenti, ma compone un'opera a forma aperta contrassegnata da un flusso musicale ininterrotto e da una declamazione che richiede forti capacità interpretative, riuscendo a concepire una partitura particolarmente raffinata e segnata da atmosfere personalissime con citazioni di tipo cameristico, nella quale spiccano brani come il duetto Viene la sera, Un bel dì vedremo, il Coro a bocca chiusa e l'Intermezzo, Tu, tu? Piccolo Iddio. Giustamente il M Daniele Calegari, che ha diretto con intensa umiltà l'edizione maceratese, ha affermato che questa opera ha una partitura di grandissimo spessore sinfonico dove Puccini elabora una tavolozza di colori ineguagliabile che appartiene più al repertorio sinfonico che lirico. Ho cercato di rendere merito alla scrittura del grande compositore, cercando di far emergere al meglio i sentimenti e i colori, nella convinzione che l'orchestrazione è l'elemento collante tra la drammaturgia e la musica stessa .
Puccini riesce infatti come drammaturgo ad esprimere con questa opera non solo il proprio tempo legato al decadentismo liberty, ma anche le pulsioni e le nevrosi novecentesche, facendo risultare l'esotismo come una proiezione del desiderio erotico occidentale (oggi caratterizzato da aberranti forme di turismo sessuale minorile), che prende corpo nel personaggio dell'ufficiale americano, il quale guarda con disprezzo le altre culture e si limita a sfruttarne gli aspetti a lui vantaggiosi. Si tratta di una figura talmente sgradevole, per cui lo stesso autore cerca di alleggerirne il cinismo e lo spietato edonismo con l'aria Addio fiorito asil e con quel tardivo recupero dei sentimenti ( Mi struggo dal rimorso Tutto in un istante/vedo il mio fallo e sento/che di questo tormento/tregua mai non avrò! ), quando l'uomo comprende che il giocattolo sessuale si è spezzato fra le sue mani.
Assecondato dalla direzione di Daniele Callegari e dalla bravura dei cantanti, tra i quali spicca per la sua raffinata interpretazione Raffaella Angeletti (un soprano ormai ampiamente collaudato nel ricoprire il ruolo di Butterfly), Pier Luigi Pizzi nella sua messa in scena libera l'opera da tutte le incrostazioni lacrimose del sentimentalismo piccolo borghese (un tempo si usciva dal teatro dicendo che bello, ho pianto tanto ), privilegia sentimenti veri e vere emozioni, per cui anche la piccola gheisha sedotta e abbandonata può assurgere alla dignità di un grande personaggio tragico. Pizzi colloca la vicenda in un Giappone degli anni Venti, depurandola da ogni aspetto oleografico e folkloristico, creando atmosfere luministiche e cromatiche che evocano una malinconia di fondo e che sottolineano una carica di poesia tale da suscitare emozioni profonde anche in un incallito spettatore di melliflue Butterfly piene di giapponeserie .
La scena minimalista, costituita da un povero giardino, da una piccola casa e da un grande albero di ciliegio, elementi che sanno animarsi di una poetica luminosità , serve ad accogliere l'arrogante presenza di Pinkerton e la lieve, quasi aerea presenza di Butterfly che passa sulla scena come una bianca farfalla vestita di veli. In seguito lei si trasformerà in una occidentale che ha abbandonato le tradizioni del suo popolo ed è stata ripudiata dagli stessi familiari. Nel finale, a causa delle tragiche circostanze della sua vita, la quindicenne farfalla si trasforma in una donna che torna a indossare il bianco abito del dolore e del lutto per sfidare con il suicidio l'ottusità moralistica, il conformismo, l'ipocrisia del proprio ambiente sociale e del mondo occidentale.
Lo spettacolo ha vissuto momenti particolarmente toccanti: il canto d'amore di Butterfly, solitamente eseguito fuori scena, in questo caso è interpretato dalla giovane gheisha che incede lentamente, seguita da un coro femminile il cui canto giunge come l'eco lontana di un mondo sentimentale misterioso e incomprensibile per il rozzo pretendente americano; il duetto Bimba dagli occhi pieni di malia Ah! Dolce notte! Quante stelle! ; il celebre coro a bocca chiusa eseguito in scena con una promenade di donne velate che attraversano il palcoscenico come segno premonitore di una incombente tragedia; il suggestivo intermezzo che riserva un colpo di teatro con l'ingresso di un ufficiale americano e di una gheisha che danzano questo andante sostenuto come l'idealizzazione o la proiezione onirica di una nobile e impossibile passione amorosa; la centralità assoluta della scena del suicidio che giustamente conclude il dramma con la soppressione da parte del regista della presenza del bambino e dell'azione conclusiva che nel libretto è così descritta: Pinkerton e Sharpless si precipitano nella stanza, accorrendo presso Butterfly che con debole gesto indica il bambino e muore. Pinkerton s'inginocchia, mentre Sharpless prende il bimbo e lo bacia singhiozzando . Molte lacrime e tardivi pentimenti in meno, ma molto pathos in più a suggellare questo dramma che vuole restituire piena dignità al ruolo della protagonista femminile.
(Alberto Pellegrino)