L’Autunno Caldo del ‘69 nei mass media


di Alberto Pellegrino

18 Dic 2019 - Approfondimenti cinema, Arti Visive, Fumetti

Nel saggio di Alberto Pellegrino viene puntualmente analizzato l’impatto che ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa l’Autunno Caldo del 1969: dalla letteratura industriale al cinema, dalla fotografia al fumetto e alla canzone politica.

Relativamente poco è stato ricordato l’Autunno caldo, un evento storico che nel 1969 ha segnato una stagione di lotte operaie e studentesche condotte nelle università e nelle fabbriche con una mobilitazione di massa che ha favorito una maturazione della coscienza di classe e che ha portato a chiedere nuovi diritti sociali e politici, doverosi aumenti salariali uguali per tutti, una riduzione dell’orario di lavoro, una completa parificazione normativa tra operai e impiegati, un rafforzamento del diritto di sciopero. Questo periodo di lotte ha trovato la sua significativa conclusione nello “Statuto dei lavoratori” (1970), voluto dal ministro del lavoro il socialista Giacomo Brodolini e redatto dal giuslavorista Gino Giugni, una legge assolutamente innovativa in Europa che fissava i diritti civili, economici e politici dei lavoratori e che oggi è stata purtroppo annullata dal neoliberismo imperante. Per meglio comprendere l’importanza socio-politica di questo fenomeno storico, cerchiamo di analizzarlo attraverso l’impatto che ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa.

La letteratura industriale

Il rapporto tra letteratura e mondo del lavoro nasce tra gli anni Cinquanta e Sessanta nel corso della nuova rivoluzione industriale che incide profondamente sulla vita sociale e individuale dei lavoratori. La fabbrica, che oggi appare uno sbiadito fenomeno storico, acquista una forte centralità politica e diventa un argomento che investe il mondo di narratori e poeti, dando vita a un genere letterario che ha le sue origini nel romanzo di Carlo Bernari Tre operai (1934). Negli anni Sessanta questo tipo di letteratura “impegnata” vede il suo inizio con i romanzi di Ottiero Ottieri Donnarumma all’assalto (1959) e La linea gotica. Taccuino industriale (1963), con i romanzi di Paolo Volponi Memoriale (1962), La macchina mondiale (1965) e Corporale (1974), opere che presentano la fabbrica come un mondo alienante e devastato dalla nevrosi, difficile da penetrare e da comprendere per gli intellettuali come riconosce lo stesso Ottieri: “Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso …Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione…I pochi che ci lavorano dentro diventano muti, per ragioni di tempo, di opportunità…Gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta, bensì dall’assimilazione”.

Lo scrittore Luciano Bianciardi, con il suo capolavoro La vita agra (1963), crea un “controcanto” al boom economico italiano e agli pseudo-valori che si diffondono nella società di massa: “Sembra che tutti ci credano, a quest’altro miracolo balordo: quelli che lo dicono già compiuto e anche gli altri, quelli che affermano non è vero, ma lasciate fare a noi e il miracolo ve lo montiamo sul serio, noi. È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia”.

Altri autori affrontano il tema del lavoro, della emancipazione socio-politica della classe operaia, dello scontro tra borghesia e proletariato: Vasco Pratolini con la trilogia Metello (1955), Lo scialo (1960) e Allegoria e derisione (1966); Elio Pagliarani con La ragazza Carla (1962) e Romano Bilenchi con Il Capofabbrica (1972) ; Lucio Mastronardi con la trilogia Il calzolaio di Vigevano (1959), Il maestro di Vigevano (1962) e Il meridionale di Vigevano (1964).

Molti poeti traggono ispirazione dal mondo del lavoro, basti pensare a Nanni Balestrini, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Giorgio Caproni, Giovanni Giudici. Un particolare valore testimoniale hanno le raccolte del poeta-operaio marchigiano Luigi Di Ruscio: Non possiamo abituarci a morire (1953), Le streghe s’arrotano le dentiere (1966), Istruzioni per l’uso della repressione(1980, Poesie Operaie (2007). Uguale importanza hanno le raccolte Vogliono cacciarci sotto (1975), Dobbiamo volere (1976), Il silenzio non regge (1978) di Ferruccio Brugnaro, un altro poeta-operaio, nei cui versi si avvertono le sofferenze della nuova classe operaia segnata dalla fatica, dall’alienazione e dalla solitudine, ma anche animata da un nuovo umanesimo fondato sulla fraternità e sull’amore, sulla contrapposizione tra il mondo dell’officina e la bellezza della natura: “Nelle tane dei reparti, tra le macchine/ci urla la vita dentro/con ferocia…È entrata/in reparto/una rondine…Come ognuno di noi, proprio come/ognuno di noi/ora cerca di riprendersi/i giorni”.

Una citazione a parte merita il poema Sirena operaia. Un racconto in versi di Alberto Bellocchio (2000), che caratterizza con i suoi versi l’autunno caldo dei metalmeccanici segnato dalla contestazione contro gli imprenditori, dalla lotta per creare una nuova identità della classe operaia, dal riconoscimento del ruolo del sindacato all’interno della fabbrica. Il poeta, attore e testimone di queste lotte, porta sulla scena i grandi e piccoli protagonisti dagli organizzatori dei picchetti agli stati maggiori del sindacato e della Confindustria. Bellocchio fa continui riferimenti ai classici greci e latini, per cui i fermenti della piazza, la nascita dei consigli di fabbrica, la conquista del contratto di lavoro si alternano ad episodi della guerra di Troia o alle lotte del tribuno Tiberio Gracco, per cui Sirena operaia è un poema epico che guarda non solo all’impegno dell’attivista e del sindacalista, ma anche agli aspetti umani della lotta politica.

Il cinema

Il cinema italiano non si è occupato della fabbrica fino a quando nel 1963 escono due film:  I Compagni di Mario Monicelli (1963), ambientato a Torino durante le lotte operaie del primo Novecento; Omicron di Ugo Gregoretti (1963), una commedia comico-satirica di genere fantascientifico che narra la storia di un extraterrestre, il quale s’incarna nel corpo di un operaio  e finisce per maturare una coscienza di classe, decidendo di dare l’avvio all’invasione del mondo da parte degli extraterrestri per dare avvio alla rivoluzione. Bisogna attendere il 1970 per trovare un film che rifletta quella stagione di lotta dei gruppi extraparlamentari: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri è una forte denuncia dell’impunità di quanti esercitano il potere, facendosi beffe della legge. Malgrado i numerosi riferimenti culturali (Bertolt Brecht, Karl Marx, Kafka), si tratta di thriller politico con risvolti satirico-grotteschi che ha per protagonista un poliziotto corrotto e assassino (uno straordinario Gian Maria Volonté), il quale sarà scagionato da ogni colpa. Nel 1971 ancora Elio Petri è l’autore di La classe operaia va in paradiso, un film che racconta la storia di un operaio stakanovista e cottimista, che sostiene ritmi infernali per permettersi un buon livello di vita. Amato dai padroni e odiato dai colleghi che lo accusano di servilismo, egli è ormai vittima di una totale alienazione fino a quando un incidente sul lavoro gli fa scoprire di vivere una misera esistenza; allora comincia a battersi contro il lavoro a cottimo, aderisce alle istanze politiche di studenti e operai, critica le posizioni più moderate del sindacato, ma questo radicale cambiamento ha conseguenze drammatiche: è lasciato dalla sua compagna, è licenziato dalla fabbrica, è abbandonato dai compagni. Quando il sindacato riesce a farlo riassumere alla catena di montaggio, nonostante il rumore dei macchinari, racconta ai compagni che ha visto in sogno un vecchio amico rinchiuso in manicomio, il quale tenta di abbattere a testate un muro al di là del quale vi è solo una fitta nebbia, spietata metafora della futura sconfitta della classe operaia.   

Sempre nel 1970 Liliana Cavani realizza il film I cannibali liberamente ispirato all’Antigone di Sofocle e ambientato a Milano governata da un regime totalitario. Le strade della città sono coperte dai cadaveri di ribelli che nessuno può toccare pena la morte, ma Antigone vuole seppellire il fratello nonostante l’opposizione della sua famiglia borghese e riceve l’aiuto di un misterioso straniero di nome Tiresia. I due giovani sono arrestati e torturati, riescono a fuggire e sono uccisi dalla polizia, ma diventano un simbolo per altri giovani che cominciano a seppellire i cadaveri dei ribelli. La Cavani ha attualizzato il mito di Antigone vista come simbolo di rivolta contro ogni dittatura di tipo fascista, per trasmettere un messaggio di amore per la libertà e per combattere l’indifferenza di una comunità che ha smarrito i suoi valori fondamentali e non ha più alcun rispetto per l’individuo imprigionato entro rigidi e alienanti modelli culturali e leggi spesso disumane. La Cavani ha detto che “i cannibali sono giovani o tutti coloro che, a qualsiasi età, aspirano a riconquistare la propria vera natura di uomini, il senso religioso della vita, rifiutando certi condizionamenti della cosiddetta società civile”.

Nel 1973 il tema della fabbrica ritorna nel film Trevico-Torino. Viaggio nel Fiat-Nam di Ettore Scola che racconta la storia di un giovane operaio arrivato dal Sud e catapultato nel mondo di una metropoli industriale. Nel 1976 Bernardo Bertolucci dirige Novecento, un dramma storico d’ispirazione marxista, nel quale si raccontano le vite e l’amicizia di due uomini profondamente diversi: il possidente terriero Alfredo Berlinghieri (Roberto De Niro) e il contadino Olmo Dalcò (Gérard Depardieu). L’opera, ambientata in Emilia e di forte ispirazione politica, mette in evidenza i conflitti sociali e politici che hanno luogo in Italia dagli inizi del secolo fino alla Resistenza e alla Liberazione. Il film viene sequestrato per oscenità e blasfemia, ma è rimesso in circolazione da una sentenza del tribunale che lo giudica un’opera di assoluto valore artistico.

La fotografia e il fumetto

Nel secondo dopoguerra la fotografia neorealista comincia a occuparsi del mondo del lavoro per merito di alcuni fotoreporter che documentano la vita nelle fabbriche, le lotte sindacali, le manifestazioni operaie, le occupazioni delle terre da parte dei contadini, le battaglie contro la disoccupazione, il lavoro minorile e femminile, l’emigrazione interna ed estera, gli scontri con le forze dell’ordine. Tra i fotografi più impegnati si distinguono Cesare Colombo, Tano D’Amico, Letizia Battaglia, Tonino Conti, Gian Butturini, Paolo Agosti, Luciano D’Alessandro. Un ruolo particolare ha Uliano Lucas, un fotografo free lance il cui archivio raccoglie immagini che costituiscono un patrimonio per la storia del nostro Paese e che riflettono la sua idea di una fotografia da usare soprattutto per fini sociali. Lucas riesce a riprendere lavoratori e luoghi di lavoro di difficile accesso, perché la proprietà teme che possano emergere aspetti controproducenti, ma riesce ugualmente a realizzare delle immagini che sono una testimonianza riguardante gli ambienti, i gesti, le strutture economiche e organizzative del mondo del lavoro, che sono un materiale storico prezioso, ma anche un racconto riguardante la fatica, la dignità, la dedizione e l’alienazione, la socialità e dell’impegno politico della classe operaia.

Nel fumetto la “rivoluzione” degli anni Settanta fa salire alla ribalta degli autori che si caratterizzano per il rigore ideologico e per la denuncia delle prepotenze e delle ipocrisie del potere politico, economico e religioso. Un fumetto decisamente operaista è Gasparazzo, realizzato nel 1973 da Roberto Zamarin e pubblicato sulle pagine di Lotta continua. Il nome del personaggio si rifà al carbonaio Calogero Gasparazzo che nel 1860 ha guidato a Bronte la rivolta dei contadini siciliani contro i ricchi proprietari terrieri. Gli anni sono passati ma il Sud d’Italia non è molto cambiato: Gasparazzo, non avendo un lavoro, si piega a fare il rapinatore, il portaborse di un onorevole, il picchiatore di operai. Quando decide di emigrare al Nord, si ritrova legato alla linea di montaggio della FIAT e diventa un operaio-massa sradicato dal proprio ambiente, fino a quando non scopre il valore della lotta politica e della solidarietà di classe.   

Sergio Staino, Vincino, Callegaro, Lunari, Pericoli/Pirella sono autori che scelgono l’impegno nella sinistra militante e producono significative opere di satira politica. In questo folto gruppo si distingue Alfredo Chiappori, il creatore del personaggio di Up il sovversivo, un uomo che vuole realizzare se stesso passando da oggetto a soggetto della Storia. Nonostante apprezzi i piaceri della vita, Up si oppone al sistema e vive capovolto a testa in giù per manifestare il suo rifiuto nei confronti della società, di cui non accetta le contraddizioni per superarle e creare un nuovo modo di concepire la vita. Dopo essersi battuto contro uomini d’ordine, intellettuali integrati, burocrati di partito, magistrati, riformisti e opportunisti, Up capisce di essere uno sconfitto, ma il suo posto sarà preso da Elisabetta, una ex campionessa del sesso e del consumismo che si è convertita alla politica.

Francesco Tullio Altan è forse la personalità di maggiore rilievo per aver creato nel 1976 il personaggio di Cipputi, l’operaio metalmeccanico che in tutti questi anni ha rappresentato la storia del nostro Paese, perché è riuscito a rappresentare la classe operaia e l’intera società italiana. Cipputi è diventato il simbolo di alcuni valori permanenti, l’immagine di tanti lavoratori del taylorismo e la meccanizzazione, dell’alienazione e della disoccupazione. Con i suoi dialoghi frizzanti e le sue battute fulminanti, Cipputi ha creato un profondo rapporto tra il lavoro e la famiglia, il tempo libero e la politica e per questo continua ad essere l’immagine-simbolo di tutti i lavori e di tutti i lavoratori.

La canzone politica

Paolo Pietrangeli l’autore di “Contessa”

A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, tra Genova e Milano, nasce la canzone politica legata alla “scuola dei cantautori” che affonda le sue radici nella Parigi dell’esistenzialismo, di Jean Paul Sartre, di Jacque Prevert e di una schiera di “chansonniers” come Boris Vian, Leo Ferré, George Brassens, Jacques Brel e Georges Moustaki. Al primo posto troviamo Enzo Jannacci, il cantore con il suo particolare stile comico-tragico dei poer Crist, dei terroni che vengono dal sud per finire nelle fabbriche, dei barboni e altri personaggi del triangolo industriale; le sue canzoni più note sono il Soldato Nencini, Ho visto un re e Vengo anch’io, no tu no (scritte con Dario Fo), La mia gente, La disperazione della pietà, Quelli che, Vincenzina e la fabbrica. Un giovane Lucio Dalla compone Piazza Grande e Luigi Tenco si afferma con canzoni che sono un segno di quegli anni come Cara maestra, Ognuno è libero, Ragazzo mio. Sergio Endrigo mostra un insospettato impegno politico con La guerra, Tango rosso, Se il primo maggio a Mosca, Filastrocca vietnamita. Poi arrivano i grandi cantautori: Fabrizio D’André con canzoni come Cantico dei drogati, Ballata dell’impiccato, La guerra di Piero, La ballata dell’eroe, Canzone del maggio, Storia di un impiegato. Francesco Guccini occupa la scena con Dio è morto, Auschwitz, L’antisociale, L’avvelenata, La primavera di Praga, La locomotiva. Claudio Lolli compone Borghesia, Piazza bella piazza, Il primo maggio, mentre Giorgio Gaber porta sul palco il suo teatro-canzone con brani ormai storici come La libertà, L’ingranaggio, I borghesi, Gli operai, La presa del potere, La nave, I partiti, Le elezioni, Chissà nel socialismo, Io se fossi Dio. Poi irrompe sulla scena il Sessantotto e la canzone diviene ancora più impegnata e Paolo Pietrangeli scrive Valle Giulia, Mio caro padrone domani ti sparo e soprattutto Contessa, destinata a diventare un inno dei gruppi estraparlamentari, riflettendo una chiara matrice rivoluzionaria: “Compagni dai campi e dalle officine/prendete la falce e portate il martello/scendete giù in piazza e picchiate con quello/scendete giù in piazza e affossate il sistema”. Altri autori politicamente impegnati sono Fausto Amodei (Per i morti di Reggio Emilia, Canzone della marcia della pace), Ivan Della Mea (O cara moglie, Il mondo è diventato rosso, Proclama di Camillo Torres, Lettera aMichele), Gualtiero Bertelli (Suona la sirena, Ingranaggi, Vedrai com’è bello, Da quest’autunno giorno per giorno).

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