“L’Africaine” di Meyerbeer inaugura la stagione a Venezia


Giosetta Guerra

19 Dic 2013 - Commenti classica, Musica classica

Venezia. L’Africaine, Kunde - Simeonigrand-opéra in cinque atti con libretto di Eugène Scribe e musica di Giacomo Meyerbeer, debuttò nel 1865 all’Opéra di Parigi, dopo la morte del compositore.
Per l’allestimento veneziano in lingua originale di quest’opera che, nonostante il titolo, si svolge in Portogallo, in mare aperto e in India, il regista Leo Muscato e lo scenografo Massimo Checchetto creano sia ambienti realistici che ambientazioni di fantasia, arricchiti dai bellissimi costumi di Carlos Tieppo e compLa naveletati dalle suggestive luci di Alessandro Verazzi (che usa anche l’occhio di bue puntato sui protagonisti) e dai video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii proiettati all’inizio di ogni atto per ripercorrere la storia del colonialismo e delle scoperte fino allo sbarco sulla luna.
L’aspetto visivo è molto affascinante e accattivante, il lavoro d’équipe ha curato quasi tutti i dettagli. All’inizio il planisferio dei navigatori mostra il viaggio di Vasco de Gama (meglio Dom Vasco da Gama), protagonista maschile, noto navigatore ed esploratore portoghese, primo europeo a raggiungere l’India doppiando Capo di Buona Speranza, poi la scena si apre sulla maestosa sala del Consiglio reale del Portogallo; nel secondo atto troviamo una vera prigione con inferriate a scacchi dove si trova Vasco prima addormentato poi vagheggiante insieme a numerosi prigionieri; nel terzo è perfetta la ricostruzione della nave di don Pedro su due piani con scale in legno e in corda, sartie, cordame vario e tutto l’equipaggio al suo posto impegnato anche a fronteggiare l’assalto del nemico durante l’uragano, bellissima la scena d’azione dell’attacco degli indiani guidati da Nélusko che faceva il doppio gioco; nel quarto una poetica pioggia di petali rosa crea l’esotismo dell’isola di Paradiso che accoglie Vasco (adoro la pioggia di fiori, la faccio sempre nel momento clou del Premio Tiberini) e una fantasmagoria di luci e di colori accompagna l’ingresso della regina Sélika con un abito strabiliante  e del suo seguito con splendidi costumi indiani; nel quinto atto un romantico e crepuscolare angolo vicino al mare azzurro increspato, con una passerella traballante da un lato e la chioma verde che si punteggia di rosso del manzaniglio dall’altro, accoglie l’ultimo respiro di Sélika, avvelenata dal profumo venefico dei fiori di quell’albero. Certo le luci hanno un ruolo molto importante e completano la cura certosina del regista che ha guidato ogni gesto, ogni movimento, ogni figura, ogni espressione dei personaggi e il magnifico lavoro dello scenografo e del costumista. Artistica la distribuzione delle masse e attiva la loro presenza.
Ma allora perché prima ho scritto “quasi”? Perché in un allestimento così d’effetto le danze dovevano avere maggior rilievo, inoltre non amo essere distolta dall’ascolto per decifrare il significato delle immagini proiettate durante l’Ouverture e gli entr’acts, che hanno una musica di grande bellezza. Anche se queste immagini sono una denuncia al colonialismo, allo sfruttamento dei neri, agli interessi delle multinazionali, sinceramente possiamo farne a meno, ci basta la mannaia che Scribe abbatte sull’inquisizione, autrice di efferati delitti in nome di Dio.
Gli artisti sono tutti bravi cantanti, bravi interpreti e bravi attori.
Le danzeLa voce melodiosa di Jessica Pratt si addice al carattere romantico e sognante di Inès, innamorata di Vasco e figlia di don Diego che l’ha promessa in sposa a don Pédro, il profilo frastagliato della linea vocale del personaggio è adatto alle sue doti di soprano lirico-leggero d’agilità.
Nel dialogo iniziale con Anna, il soprano trasmette l’accorato lirismo della Romance Adieu rive du Tage con una morbida linea di canto intessuta di suoni a fior di labbra che con la tecnica della messa di voce si espandono in acuti sfavillanti e tenuti o si sciolgono in struggenti filati arricchiti di trilli e di gorgheggi.
Nel canto disperato di Inès che restituisce a Vasco la libertà, sottolineato dalle note del corno, alla fine del secondo atto, gli acuti della Pratt emergono su un insieme di sette voci in una scena estatica e fissa con luci bianche.  L’armoniosità della sua voce inonda poi la platea, dove Inès compare nel quarto atto per cantare la canzone di Vasco durante le danze delle nozze di lui con la regina. Peccato che si stata tagliato il suo duetto con Sélika del quinto atto.
Il mezzosoprano chiaro Veronica Simeoni presenta Sélika, regina indiana resa schiava da Vasco, con canto delicato, emissione corretta e buoni slanci acuti.
Nella tetra galera del secondo atto la voce è intensa e la pronuncia francese è buona (Toujours son sommeil agité); il suono è fresco, pieno, rotondo e morbido nell’aria del sonno (air du sommeil “Sur mes jenoux”), dove la cantante passa agevolmente da un registro all’altro, perché ha il controllo del fiato. Canta molto bene. Di grande impatto visivo ed emotivo è la scena finale della morte che la regina si dà col veleno dei fiori del manzaniglio. Tutti i suoni sono rotondi, calibrati e ben proiettati, la linea di canto denota una bella gestione del mezzo vocale e l’interpretazione carica di pathos comunica la rassegnata disperazione della regina. Meravigliosi i suoi abiti regali.
Gregory Kunde,  fantastico nel ruolo del bell’ufficiale di marina Vasco de Gama,Le nozze s’impone fin dal suo ingresso (J’ai vu, nobles seigneurs) per la bellezza del timbro, la robustezza del suono e la sicurezza dello squillo, vocalmente e scenicamente imponente sfoga l’indignazione contro gli inquisitori (Insensés!…dites-vous. C’est ainsi que naguère) con fiati lunghissimi e acuti che emergono sul coro e sulle alte sonorità dell’orchestra. L’arrivo sulla nave di Pedro è caratterizzato da un canto lanciato con acuti pieni e scolpiti, slanci acuti e acutissimi; nella notissima aria Ô Paradis la voce, gestita sulla tessitura acuta con estatiche sfumature, è straordinaria e densa di lirismo; nel canto d’amore per la sposa nel quarto atto il suono è squillante e sostenuto e questa voce possente e brunita, grazie ad un’emissione morbida e all’uso della messa di voce, snocciola fantastici sovracuti.
Nei dialoghi tra Vasco e Sélika le due voci si accomunano per spessore e bel modo di porgere.
Luca Dall’Amico (Don Pédro  presidente del Consiglio del re del Portogallo), oltre ad un’imponente presenza scenica, possiede una bellissima voce di basso, ampia, ferma e corposa, con suoni gravi tenuti e bel modo di porgere.
Davide Ruberti (l’ammiraglio Don Diego) ha voce di basso autorevole ed ampia ma poco ferma.
Mattia Denti nelle bianche vesti del Grand inquisiteur de Lisbonne ha un bel colore vocale e un buon sostegno del fiato.
Il basso Ruben Amoretti nei panni del grand-prêtre de Brahma ha buone sonorità.
In un’opera che dà largo spazio alle voci scure il ruolo predominante di Nélusko  richiede una vocalità rigogliosa e sonora, il baritono Angelo Veccia, bravissimo interprete e attore versatile, canta bene, ma la voce, seppur ampia e sostenuta, è impastata e il suono è opaco.
Don Alvar è appannaggio del tenore leggero acuto Emanuele Giannino e Anna dama di Inès è interpretata da Anna Bordignon.
Completano il cast Giovanni Deriu (un usciere), Carlo Agostini (un marinaio), Dionigi D’Ostuni (un marinaio di vedetta), Cosimo D’Adamo (un sacerdote).
Il coro, preparato molto bene da Claudio Marino Moretti, tiene alto il prestigio del teatro:  magnifiche le sonorità della sezione maschile nella preghiera dei vescovi del Consiglio dell’inquisizione (preghiere poco ascoltate se si pensa ai soprusi dell’inquisizione); pastosità del suono e morbidezza del canto nel choeur des matelots dalle tinte ecclesiastiche all’inizio del secondo atto, “Ô grand saint Dominique”,  un’accorata preghiera a San Domenico, primo inquisitore della storia (e ce l’han fatto anche santo…), introdotta da un rullar di tamburi e da cupi rintocchi di campana, cui fa seguito un delicato coro femminile fuori campo sul quale emerge la voce sublime della Pratt.
La partitura, ultimata l’1 maggio 1864, il giorno prima della morte del compositore e revisionata dal musicologo belga François-Joseph Fétis, è ricca di bella musica, che annuncia o descrive atmosfere, colore locale e immagini poetiche con una finissima filigrana orchestrale e lascia spesso scoperte le voci solistiche dei singoli strumenti per tracciare accattivanti figure musicali. I preludi sono bellissimi.
Il maestro Emmanuel Villaume, che avevo ascoltato in quella magnifica Thaïs di Massenet allestita alla Fenice da Pier Luigi Pizzi, dirige l’Orchestra del Teatro La Fenice con gesto preciso e sensibilità musicale, facendo apprezzare la sublime bellezza della musica di Meyerbeer. J’adore la musique française!

L'ingresso della reginaMuscato e PrattPratt e BordignonPratt e Kunde nella prigione

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