“La tragédie de Carmen” al Teatro delle Muse


di Roberta Rocchetti

16 Ott 2023 - Commenti classica

Al Teatro delle Muse di Ancona successo per “La tragédie de Carmen”di Marius Constant, Jean-Claude Carriere e Peter Brook. Ottime le voci di Gianluca Margheri e Lucrezia Drei.

(Foto di Giorgio Pergolini, Claudio Penna e Danilo Antolini)

La stagione lirica del Teatro delle Muse “Franco Corelli” ha portato sul palco nella serata di venerdì 13 ottobre il suo secondo titolo in cartellone ovvero La tragédie de Carmen opera di Marius Constant, Jean-Claude Carriere e Peter Brook che attingendo all’opera lirica di Georges Bizet Carmen tratta dalla novella di Prosper Mérimée crea una forma espressiva a se stante e multidisciplinare che unisce opera e danza.

Spettacolo nato nel 1981 e debuttato a Parigi vuole nelle intenzioni del suo ideatore presentarsi in una dimensione più intima ed archetipica rispetto alla debordante energia dionisiaca della fonte primigenia; quindi, una Carmen “scarnificata” per dirla con le parole di Brook, il quale riteneva per esempio i cori presenti nell’opera di Bizet un semplice accessorio.

Ecco, quindi, l’idea di limitarsi alle sole parti che esprimono le dinamiche interpersonali tra i protagonisti per rendere il succo delle forze unite e contrapposte che creano il dramma, simboli da inconscio collettivo che si incontrano e si scontrano.

La danza in questo contesto si incastra come elemento aggiuntivo in una messa in scena che limitandosi all’essenziale sia nella forma che nella sostanza le consente di essere fondamentale per il nucleo narrativo.

Nella nuova produzione del Teatro delle Muse la regia è stata affidata a Francesca Lattuada regista e coreografa, la quale coadiuvata nel suo disegno anche dai costumi di Bruno Fatalot e dalle scene e luci di Lucio Diana ha presentato una Carmen algida, bionda, nivea, accompagnata da due alter ego (le brave Lise Pauton e Elodie Richard Regnard) che si pongono a metà tra la Samara di The Ring e la Regan MacNail de L’Esorcista, e ci fanno chiedere quale sia dunque la vera natura di Carmen, un demonio? Ma quale demonio? Una personificazione di un Daemon greco, dunque il Pan generatore, che usa il sesso come manifestazione di una Natura che sa essere ad un tempo vitale, sanguigna, generatrice e mortale e che forse è l’archetipo che ha ispirato Bizet, o il demone dei cristiani che possiede corpi per il solo gusto di distruggerli capace di trasmettere unicamente buio e morte magari dopo aver camminato per un po’ a ritroso con movimenti scomposti?  Propenderemmo per questa seconda ipotesi, almeno per quello che riguarda questa messa in scena, perché dobbiamo dire che purtroppo in questa narrazione che dovrebbe bilanciare Eros e Thanatos, di Eros, (o meglio per citare il programma di sala, di “odore del caprone”) non ne è trapelato, e non basta l’accenno di bacio tra Don José ed Escamillo per accendere la miccia, neanche le danzatrici a seno nudo, o Escamillo che compare in scena con i bicipiti e la tartaruga bene in vista fasciato in un costume da Teatro del NȎ.

Certo è necessario contestualizzare l’epoca teatrale nella quale quest’opera vede la luce, siamo agli albori degli anni ’80 quando il desiderio di rendere tutto più raffinato ha già preso piede da un po’ e di lì a poco lo tsunami dell’alleggerimento scenico e concettuale in gestazione già da almeno un decennio investirà completamente i palcoscenici e non solo (pensiamo ad esempio alla nouvelle cuisine o all’arredamento minimalista), e ogni ripresa di spettacolo non può emanciparsi completamente dalla sua matrice,  presa nella sua giusta dimensione dunque questa opera è il germe embrionale di un’epoca, della quale però da qualche tempo si sentono forti e chiari i gemiti di agonia almeno in ambito teatrale e si sa, si apprezzano di più le epoche morte che quelle morenti.

Il tempo distrugge o nobilita e forse il destino finale dell’opera di Brook, Carriere e Constant non è ancora scritto.

Una Carmen ctonia senza essere infernale, dunque, che alla fine trascina con sé il povero José nell’oltretomba senza neanche il bisogno di essere prima ammazzata, perché il sangue è morte ma è anche vita e qui tutto è sublimato in una dimensione fiabesca che cela il terrificante dietro simboli spesso neutri.

Sotto il profilo delle voci la Carmen di Martiniana Antonie è stata piuttosto corretta, sotto l’aspetto interpretativo anche considerando la Non-Carmen portata in scena.

Lo stesso dicasi per il Don José di Diego Godoy che ha offerto al pubblico un La fleur que tu m’avai jetée molto apprezzato dal numeroso pubblico presente.

Grande presenza scenica dicevamo per l’Escamillo di Gianluca Margheri, unita ad una voce sonora e di impatto, con un perfezionamento del fraseggio potrebbe diventare un Escamillo di riferimento, certo bisogna dire che cantare e ballare contemporaneamente, e questo vale per tutti gli interpreti, non aiuta il controllo del fiato.

Ottima la Micaela di Lucrezia Drei, bellissima voce con perfette modulazioni interpretative, esente dai cinguettii a volte appiccicati a questo personaggio, se in questa messa in scena è scorso un po’ di fluido vitale è scorso lì.

Filippo Gonnella ha dato corpo e voce a Zuniga, Lilas Pastia e Garcia.

L’Orchestra Sinfonica “G. Rossini” è stata guidata dalla bacchetta di Natalia Salinas. Applausi finali per tutti a suggello di una stagione bella, innovativa e coraggiosa, la replica di La tragédie de Carmen ha replicato domenica 15 ottobre.

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