“La terra desolata” di Thomas S. Eliot compie cento anni
di Alberto Pellegrino
12 Dic 2022 - Letteratura, Libri
Ricorre quest’anno il centenario del poema La terra desolata (The Waste Land) di Thomas Stearns Eliot (1888-1965), composto nel 1921 e pubblicato nel dicembre 1922 con un apparato di note scritte dallo stesso autore. Le citazioni nel testo sono tratte dalla traduzione di Roberto Senesi (Milano, 1961).
Si tratta di un’opera divenuta un “classico” dell’epoca contemporanea, uno dei capolavori della poesia “modernista” che ha amplificato la fama del poeta anglo-americano a livello mondiale. Il poema è considerato un classico della letteratura contemporanea che ha influenzato molti autori occidentali tra cui il cantautore Francesco Guccini, il quale si è ispirato a Eliot in due delle composizioni più rappresentative: Il vecchio e il bambino e la Canzone dei dodici mesi.
“Aprile è il più crudele dei mesi: genera/Lillà dalla morta terra, mescola/Ricordo e desiderio, stimola/le sopite radici con la pioggia primaverile…. Quali radici s’abbarbicano, quali rami crescono/Su queste macerie? Figliuol d’uomo, /Tu non lo puoi dire, né immaginare, perché tu conosci soltanto/un mucchio di frante immagini dove batte il sole”. Con questi celebri versi si apre il poema La terra desolata (The Waste Land) di Thomas Stearns Eliot che nel 1922 segna definitivamente il passaggio della poesia contemporanea dal simbolismo al modernismo.
Siamo di fronte all’opera di un autore già maturo rispetto al giovane poeta che nel 1917 aveva esordito con Il Canto d’amore di J. Alfred Prufrock (1917), dove l’influsso dei simbolisti Tristan Corbière e Jules Laforgue traspare dall’uso delle immagini fortemente simboliche: “Quando la sera si stende contro il cielo/Come un paziente eterizzato su una tavola… Strade che si succedono come un tedioso arguire…La nebbia gialla che strofina la schiena contro i vetri…Il fumo giallo che strofina il muso contro i vetri…Lambì con la sua lingua gli angoli della sera”.
Lo scenario di una Londra spettrale
Con La terra desolata Eliot compone un poema complesso, di difficile lettura e interpretazione, pieno citazioni che vanno da Dante a Shakespeare, dai drammaturghi elisabettiani a Coleridge e Baudelaire; un testo infarcito d’immagini infrante che parlano di nebbia e terrore, dove la moderna Londra appare più simile a un inferno dantesco: “Città irreale, /Sotto la nebbia marrone di un alba d’inverno, /La gente si riversava su London Bridge, tanta, /ch’io non avrei mai creduto che morte tanta n‘avesse disfatta. Sospiri, corti e rari, ne esalavano, /E ognuno fissava gli davanti ai suoi piedi”.
Echi della poesia di Eliot si ritrovano anche in La Divina Mimesis, gli appunti lasciati da Pier Paolo Pasolini per scrivere una moderna Commedia sul modello dell’Alighieri: negli Appunti e frammenti per il III canto” egli immagina di essere circondato da un’anonima folla cittadina formata da “quelli che hanno eletto a proprio ideala una condizione per altro inevitabile: l’anonimato. La fatalità, la gloria, la condanna di essere qualunque…Questi hanno fatto della loro condizione di uguaglianza e di mancanza di singolarità una fede e una ragione di vita: sono stati moralisti del dovere di essere come tutti”.
Il mitico fiume Tamigi attraversa la città come una lama: “La tenda del fiume è rotta: le ultime dita delle foglie/S’aggrappano e affondano nell’umida riva. Il vento/Traversa la terra bruna, non udito. Le ninfe son partite…Dolce Tamigi, scorri lene perché il mio canto non è né alto né lungo…Il fiume suda/Olii e catrame/Le chiatte si spostano/Al volgersi della marea/Rosse vele/Ampie/Sottovento. Girano sulla pesante verga. /Le chiatte spingono/Travi alla deriva”.
Il lettore è costretto ad abbandonarsi a questo fluire d’immagini senza pretendere di capire tutto a una prima lettura, perché solo una comprensione progressiva permette di appropriaci di nuovi significati a ogni rilettura, dove le stesse note aggiunte dall’autore, invece di fornire chiarezza, hanno una limitata funzione esplicativa. Servono per esempio (nota al verso 46) a farci sapere che Eliot non ha nessuna conoscenza delle carte dei tarocchi e che esse hanno per lui una valore puramente simbolico, quando cita il Marinaio Fenicio, la Belladonna, la Donna delle Rocce, il Mercante orbo, l’Impiccato.
Questa opera è una danza macabra sulla morte dell’anima che s’impossessa di uomini ancora vivi; è una riflessione sulle scelte fatte e sulle azioni compiute dall’umanità, sulla svolta negativa impressa al futuro dopo i disastri della Prima guerra mondiale che è stata un assassinio di massa, il nuovo assetto politico nato con il Trattato di Versailles, dal quale non sono scaturite prospettive di stabilità e di pace, ma le premesse di una nuova guerra.
Eliot guarda alla decadenza culturale dell’Europa determinata dalla mancanza di fede, dall’intrigo politico e cerca rifugio nella cultura cristiana e nel mondo classico, senza tuttavia ergersi a custode retrò della tradizione, perché è consapevole che quella tradizione è passata attraverso la rivoluzione industriale, la riproduzione meccanica delle immagini, l’alienazione urbana, per cui quella civiltà, che parte dal Graal per arrivare ai sacri testi della spiritualità indiana come il Rig-Veda, ha perduto la sua unitarietà, che quella sapienza ereditata dall’uomo contemporaneo si è persa fra le nebbie della modernità, per cui la “terra desolata” si è inaridita e non produce più frutti.
I riferimenti culturali del poema
La terra desolata, insieme all’Ulisse di Joyce (1922), alla Metamorfosi e al Processo di Kafka (1915), rappresenta uno dei vertici della letteratura del Novecento per la capacità di rappresentare in modo folgorante ed emblematico la realtà e il destino dell’uomo contemporaneo. Essa si colloca tra storia e mito, tra vicende personali e destini planetari con riferimenti a vari archetipi della civiltà occidentale e orientale come i testi sacri, la mitologia, le lingue, la letteratura. Tra le principali fonti d’ispirazione di Eliot vi sono le due opere di antropologia: Il ramo d’oro di James Frozen e From Ritual to Romance di Jessie Weston. È soprattutto da questa autrice che Eliot riprende i riti legati alla ricerca del Sacro Graal e a tutta la letteratura romanza. Ai suoi studi appartengono le figure dell’indovina Madame Sosostris, che lega i misteri d’Oriente con il ciclo cristiano del Graal; il personaggio del Re Pescatore, che con la sua morte e resurrezione rievoca i miti e i riti della fecondità della terra.
Eliot parte dalla riscoperta del passato per andare alla ricerca di nuovi miti capaci di riscattare l’umanità da un mondo divenuto sterile di bellezza e di fantasia. È questo probabilmente il messaggio che chiude il poema, la cui sacralità, tra gli autori moderni, trova riscontro solo in quel “Coro dei Morti” che apre il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie di Giacomo Leopardi: “Sola nel mondo eterna, a cui si volve/Ogni creata cosa, /In te, morte, si posa/Nostra ignuda natura; /Lieta no, ma sicura/Dell’antico dolor. Profonda notte/Nella confusa mente/Il pensier grave oscura, /Alla speme, al desio, l’arido spirto/Lena mancar si sente: /Così d’affanno e di temenza è sciolto, /E l’età vote e lente/Senza tedio consuma”.
Carmen Gallo, attenta studiosa della letteratura anglosassone, per la sua nuova traduzione del poema, ha scelto come titolo La terra devastata (Il Saggiatore, 2021) per sottolineare con maggiore forza le responsabilità umane e l’attualità del messaggio di Eliot.
La terra desolata, secondo una visione tradizionale, si colloca in una dimensione astorica, metafisica che trova la sua massima espressione nella visione leopardiana del “deserto” come segno di aridità, sterilità e quindi disfacimento dell’uomo contemporaneo.
Al contrario, questa ultima traduzione adotta l’aggettivo “devastata” per evidenziare le scelte e le azioni degli uomini che incidono negativamente sul loro destino. Si vuole mettere in risalto le implicazioni storiche e autobiografiche di un’opera che ha avuto un forte impatto culturale e antropologico sul mondo contemporaneo rappresentato soprattutto da una Londra vista come City del lavoro e degli affari economici, una città-inferno, dove si vivono storie di donne e di uomini consumati dalle loro stesse esistenze.
Secondo la traduttrice, Eliot guarda alla tradizione come alla possibilità di una continuità, d’insegnamento e di fondatezza per le future scelte da fare, per cui all’attuale decadenza si contrappone un proposito di cambiamento se non addirittura di palingenesi, poiché questa traduzione tende a evidenziare come il mondo e l’anima dell’uomo siano caduti in un deserto spirituale, dal quale potrebbe ripartire un processo di riedificazione dell’umano, esaltando quella contraddizione che rappresenta il paradosso di quest’opera affascinante e misteriosa.
Come una sinfonia: i cinque movimenti del poema
Nel primo movimento, La sepoltura dei morti, l’autore fa riferimento all’Europa sconvolta da due avvenimenti storici come la prima guerra mondiale e la Rivoluzione russa per mettere in evidenza una sofferenza esistenziale e una diffusa ansia interiore. Il poeta si chiede “quali rami crescono su queste macerie?” ma è una domanda retorica, poiché egli sa che la terra sarà “un mucchio di frante immagini, dove batte il sole, e l’albero secco non dà riparo, e il canto del grillo non dà ristoro”.
Il focus si concentra sulla City, il quartiere finanziario di Londra, simbolo dell’aridità del capitalismo e di una società abitata da individui bloccati in una routine distruttiva che li rende simili agli ignavi dell’Inferno per la loro totale indifferenza nei confronti del prossimo, oppure alle anime del Limbo che sperano in una vita migliore, ma non hanno alcuna speranza di cambiare la loro statica condizione. L’individuo, vittima della propria stupidità e del peccato, ha il suo peggiore nemico nella Noia e finisce per adattarsi alla propria ignavia, aspettando l’arrivo dell’inverno coperto “di neve immemore” che diventa il simbolo di una coscienza ottenebrata e “ipocrita”.
Una partita a scacchi è un movimento che ha per protagoniste le donne; infatti vi compaiono varie figure femminili vittime della lussuria e della disonestà; le vicende di celebri amanti come Cleopatra e Antonio, Didone ed Enea; la storia di Filomela, la giovane che è stata crudelmente stuprata, a cui viene tagliata la lingua per evitare che possa dire il nome del colpevole. Segue il dialogo tra due donne della classe operaia in un pub della Londra proletaria: si parla dei rapporti tra uomo e donna divenuti sterili per mancanza di comunicazione verbale e sessuale, una sterilità che colpisce sia i ceti privilegiati sia i ceti subalterni e che in ogni caso intacca la dignità e i valori della donna.
Il sermone del fuoco contiene la descrizione idealizzata dell’amore umano collocato in un Paradiso Terrestre che è il contrario della sordida società moderna. Il Tamigi, il grande fiume londinese, è divenuto squallido, non ci sono più “testimoni delle notti d’estate” e le ninfe sono fuggite lontano dalle sue acque. La terra è piena di lamenti che ricordano il pianto degli Ebrei esuli: “Sulle rive di Babilonia, là ci sedemmo, sì, e piangemmo, quando ci ricordammo di Sion… come potremo cantare il canto del Signore in una terra straniera?”
Eliot cita l’Ulisse di Joyce, La Tempesta e il Coriolano di Shakespeare; rievoca il mondo classico con l’apparizione dell’indovino Tiresia (“Io Tiresia, benché cieco, pulsante tra due vite, /Vecchio con vizze mammelle di donna…Io che a Tebe sedei sotto le mura/E camminai tra gl’infimi dei morti”), il quale narra la squallida storia di una coppia di amanti: la donna è “stanca e annoiata”, indifferente agli approcci erotici dell’uomo e, dopo un rapido rapporto sessuale, s’addormenta. Quando si risveglia, non si preoccupa per l’assenza dell’amante, ma “mette al grammofono un’aria di danza” per anestetizzare i suoi sentimenti. La musica da ballo pervade la città e diventa il simbolo dell’insensibilità umana che si contrappone a L’oro del Reno di Wagner, il quale diventa un ammonimento contro quella depravazione umana capace di annullare l’intera civiltà.
Con il Sermone del fuoco Buddha si rivolge agli umani: “I sensi umani e tutto ciò che riescono a percepire stanno bruciando. Con quale fuoco? Vi dichiaro che stanno bruciando con il fuoco della lussuria, con il fuoco della rabbia, con il fuoco dell’ignoranza, con tutto ciò che concerne la nascita, la decadenza, la morte, il dolore, il lamento, l’avidità e la disperazione”. Ad esso segue una citazione di Agostino deciso a cambiare vita: “A Cartagine poscia io venni…Ardendo…O Signore tu mi cogli”.
Nel quarto movimento, La morte per acqua, il fuoco è un simbolo di lussuria e di depravazione, una rappresentazione della morte, mentre l’acqua si pone come simbolo di purezza e di rinascita. Fleba il Fenicio, un marinaio morto in mare che ricorda il Vecchio Marinaio di Coleridge, racconta la sua tragedia che si collega al viaggio dell’Ulisse dantesco che muore spinto dalla sua insaziabile curiosità, per cui da questi versi si ricava un ammonimento per il lettore: chiunque cada nella tentazione si perde in quei gorghi che spolpano le ossa, ponendo fine alla sua futile vita. Nell’ultimo movimento, Ciò che disse il tuono, l’elemento centrale è il tuono che nella Bibbia è spesso usato per indicare la voce di Dio, ma che è anche un riferimento alla morte di Gesù e alla sua agonia nel giardino del Getsemani. Gli abitanti della terra desolata accettano una vita minimale senza la speranza di una resurrezione: sono uomini vuoti, ai quali solo il lontano brontolio del tuono suggerisce la primavera. Dopo avere usato toni surrealistici e apocalittici, Eliot ammonisce l’uomo occidentale a uscire dai suoi schemi mentali per ritrovare se stesso, rivolgendosi alla spiritualità orientale. Una volta raggiunto il risveglio di una coscienza consapevole (“Noi che eravamo viventi stiamo ora morendo”), affiora la consapevolezza che, per uscire dalla terra desolata, l’umanità deve abbandonare l’arido e roccioso deserto per ritornare all’acqua, segno di rinascita umana, intraprendendo un percorso al cui termine l’uomo si chiede: “Riuscirò alla fine a mettere in sesto le mie terre? …Con questi frammenti io ho puntellato le mie rovine” e con questi versi sospesi tra pessimismo e speranza si chiude definitivamente il poema.