La Tempesta perfetta
di Davide Rivelli
11 Ago 2013 - Senza categoria
Cinema: Recensioni
Nell'autunno del 1991 l'imbarcazione da pesca Andrea Gail, con a bordo sei uomini di equipaggio, esce in mare e s'infila in un capriccio del destino, tre distinti fenomeni atmosferici che si scontrano sui cieli al largo delle coste del New England. La storia, vera, è stata narrata in un libro da Sebastian Junger (ed. tascabili Bompiani), divenuto in breve un best seller internazionale. La presenza di Junger in qualità di co-sceneggiatore del film, assieme a William D. Wittliff, dovrebbe garantire una certa coerenza tra pagina scritta e pellicola, sicuramente aiuta a marcare l'aspetto decisamente eroico del f ilm.
Per certi versi, ci troviamo di fronte all'ennesimo parto del filone catastrofista americano che, forte delle nuove tecnologie digitali, tende a mettere in scena effetti speciali a ripetizione a prescindere da una storia coerente e credibile ( vedi Vulcano, Daylight, Twister, Armagedonn, ecc.), ma l'appartenenza dei fatti narrati al mondo del reale, oltrechè del tragico, sposta l'attenzione su un livello differente. Sei uomini, partiti dal porto di Gloucester con il miraggio di un'abbondante pesca di pescespada, non hanno fatto ritorno alle loro case. Hanno lasciato le loro mogli, le fidanzate, le famiglie a piangerli a terra. L'Andrea Gail è affondata, ed il suo equipaggio con essa. Questo aspetto di cronaca lancia una luce differente sul film, che comunque cronaca non è e nulla ha a che vedere con film-verità e docu-film vari : l'eroismo. L'uomo contro la natura. Una sorta di Vecchio e il mare dove l'antagonista dell'uomo non è il Grande Kahuna, ma il mare in persona'. In questo senso trovo che La tempesta perfetta si rifaccia a quei vecchi film (molto spesso di argomento bellico e di taglio smaccatamente patriottico, incarnati nell'icona tutta americana di John Wayne), anche ingenui e sicuramente grondanti retorica, che narravano di scontri epici, di gesta titaniche, di sacrifici eroici, ancora lontani dal nichilismo che traspare ai giorni d'oggi in ogni tipo di narrazione, chiaro debito dell'estetica e della filosofia noir (genere attualmente imperante).
George Clooney pare si sia innamorato della storia leggendo il libro di Junger e fosse disposto a rivestire anche ruoli minori pur di partecipare al film – pare abbia detto di essere disposto ad accettare anche il ruolo di Diane Lane – (inizialmente il protagonista doveva essere di Mel Gibson e la regia di Barry Levinson) , forse proprio perchè si è reso conto che i tasti che venivano toccati erano profondi, atavici e capaci di toccare intimamente il pubblico ; previsione azzaccata, visto il successo planetario.
La storia è povera, il plot narrativo ridotto all'osso (dei marinai escono in mare, c'è una tempesta, muoiono), ma l'intensità delle emozioni è portata al massimo sia grazie ad un cast di solidi attori, sia grazie alla sceneggiatura che segue le vicende personali dei protagonisti e dei loro congiunti rimasti a terra ad attenderne il ritorno. Come si diceva, retorica a piene mani, sul mare, sull'uomo, sul sacrificio di quest'ultimo tra le braccia del primo, e amori eterni destinati a durare oltre la morte, progetti lasciati a metà , e sogni interrotti. Più una barcata di miliardi in effetti speciali che la Industrial Light & Magic ha reso con una tempesta da far risultare la biblica apertura del Mar Rosso ne I dieci comandamenti come uno sciabordio sul bagnasciuga (effetti destinati a scolorire d'intensità in quelli che saranno i sicuri prossimi passaggi sul piccolo schermo).
In più, in un buon cast – Mark Wahlberg, Mary Elisabeth Mastrantonio e Karen Allen sugli altri – spicca George Clooney modello capitano coraggioso, bello e burbero, rude ed eroico, cosa che non mancherà di far piacere alla platea femminile.
In poche parole : un sano e vecchio film dei bei tempi andati, più effetti a gogò, più George Clooney = incassi record.
daviderivelli@tiscalinet.it (15.10.'00)
(Davide Rivelli)