La Stagione Lirica di Jesi 2009
6 Ott 2009 - News classica
di Albero Pellegrino
La stagione lirica del 2009 si apre nel segno di un grande ritorno, perchè nei giorni 23-24-25 ottobre il Teatro Pergolesi ospiterà una Traviata di Verdi ormai leggendaria. Si tratta infatti di quella edizione degli specchi andata in scena per la prima volta nel 1992 sul palcoscenico dello Sferisterio di Macerata con la regia di Henning Brockhaus e le scene di Josef Svoboda, un maestro della scenografia contemporanea. L'opera, prodotta insieme ai Teatri S.p.A. di Treviso, al Teatro dell'Aquila di Fermo e dalla Fondazione Nuovo Teatro Verdi di Brindisi, andrà in scena con un adattamento in scala ridotta dell'allestimento originale, con la direzione del M Giampaolo Maria Bisanti alla guida dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana e del Coro Bellini. I ruoli dei protagonisti saranno affidati a Uni Lee/Lana Kos (Violetta), Piero Pretti/Salvatore Cordella (Alfredo), Simone Piazzola/Filippo Bettoschi (Gerard padre).
Questa ormai mitica edizione del capolavoro verdiano, vincitrice del Premio Abbiati della critica 1996, si avvale della geniale invenzione di Svoboda che, fedele alla sua concezione del teatro come metafora, ha inventato il grande specchio dentro il quale inizia, si riflette e si conclude drammaticamente la vicenda terrena di Violetta Valery, straordinaria eroina creata da Alessandro Dumas figlio e resa ancora più grande dal genio musicale verdiano. Lo spettacolo esalta in modo esplicitamente dichiarato l'uso della metafora scenica, attraverso la quale con una estrema semplicità di mezzi si creano atmosfere e sensazioni di fronte alle quali è difficile non essere catturati e coinvolti. Del resto quando nel finale il grande specchio, che domina la scena, accoglie e trasporta sul palcoscenico anche il pubblico, per partecipare insieme ad Alfredo all'ultimo, straziante respiro di Violetta, come è possibile reprimere quel brivido di commozione che ci afferra dentro?
La coppia Svoboda-Brockhaus presenta l'intera vicenda come una fiera delle illusioni , che accompagna lo spettatore dall'inizio al termine di una spettacolo dotato di una straordinaria carica romantica, capace di afferrare il pubblico dall'aprirsi di un mitico sipario in avvio di rappresentazione per passare, attraverso un incalzante susseguirsi di scene, alla festa in casa di Violetta, all'idillio dei due innamorati nella casa di campagna che diventa poi il luogo del tragico incontro tra Violetta e Germont, tra Alfredo e il padre, allo splendore rutilante della seconda festa in casa di Flora, per culminare nel momento più alto del quarto atto così fortemente emotivo e drammatico.
Tutta la messa in scena guida lo spettatore a leggere in chiave teatrale quanto espresso attraverso la musica e il canto, proprio perchè viene esaltato l'innato senso del teatro verdiano capace di costruire, con la sua straordinaria forza drammatica, una macchina scenica così perfetta da rendere credibile una vicenda con tutte le sue implicazioni moralistiche e la sua dilagante passionalità . Senza contare che in questo allestimento non solo viene citata l'iconografia della seconda metà dell'Ottocento, ma si avverte la presenza di Baudelaire e si respira già aria di Fleurs du mal, dialetticamente contrapposta sia all'ipocrita mondo piccolo-borghese di Germont padre, sia all'anticonformismo di maniera di quel mondo sfavillante dove Violetta conduce e consuma la sua esistenza.
Ritorna finalmente sul palcoscenico jesino, dopo un'assenza fin troppo lunga, Il barbiere di Siviglia, il capolavoro di Gioacchino Rossini che andrà in scena nei giorni 12-13-15 novembre sotto la direzione sempre del M Bisanti, mentre la regia e le scene sono di Damiano Michieletto. Si tratta di un allestimento della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino in coproduzione con la Fondazione Pergolesi Spontini, il Teatro dell'Aquila di Fermo, il Teatro Comunale Dante Alighieri Fondazione Ravenna Manifestazioni, il Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Ad interpretare l'opera sono stati chiamati con una scelta intelligente i giovani cantanti dell'Accademia Rossiniana del Rossini Opera Festival e della Scuola dell'Opera Italiana di Bologna, rinnovando una tradizione che vuole i palcoscenici marchigiani dei trampolini di lancio per i futuri protagonisti del melodramma italiano.
Pierre Augustin Caron de Beuamarchais (1732-1799) è l'inventore del personaggio di Figaro, creando un capolavoro teatrale in cui per la prima volta l'autore vuole rappresentare il doppio volto dell'emergente borghesia e di una classe aristocratica ormai avviata ad un lento ma inesorabile tramonto. Nella commedia viene pertanto esaltato lo spirito d'indipendenza e d'intraprendenza della piccola borghesia composta da artigiani e commercianti (uniti nella figura di Figaro), portando sulla scena anche lo scontro e la vittoria delle nuove generazioni sugli anziani, la volontà della donna di difendere la propria dignità e la propria libertà nel fare le sue scelte di vita.
Gioacchino Rossini, anche per i meriti teatrali che ha il libretto di Cesare Sterbini (1784-1831), ha composto nel 1816 questo capolavoro assoluto in soli 20 giorni, creando con il suo Barbiere di Siviglia un'opera che non è solamente una delle più grandi gioie musicali che siano mai state scritte come dice Roman Vlad – ma contiene anche audacie interne alla scrittura che, considerate le circostanze della sua composizione, soltanto una mostruosa musicalità naturale riesce a spiegare . Rossini è culturalmente e psicologicamente diverso dai compositori in auge nel suo tempo ed è consapevole che questa sua composizione rappresenta il vertice dell'opera buffa italiana per la perfetta coincidenza tra l'immaginazione musicale e le regole del melodramma, tra le esigenze dell'azione teatrale e la perfetta resa drammaturgica del libretto.
L'opera, senza discostarsi troppo dallo spirito del testo e dalla psicologia dei personaggi di Beaumarchais, ruota introno alla figura di Figaro che ricopre il ruolo di protagonista assoluto, dotato di un'intelligenza e di una forza vitale, tanto da apparire come un deus ex machina capace di manovrare tutti gli altri personaggi (fatta forse eccezione per Rosina), affermando la sua personalità di intellettuale e di uomo libero.
Il cartellone è completato dalla messa in scena dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e a cui viene affiancata, con felice intuizione, La voix humaine composta da Francis Poulenc (1899-1963) su libretto di Jean Cocteau (1889-1963). Le due opere, prodotte dalla Fondazione Pergolesi Spontini e dai Teatri del Circuito Lirico Lombardo, andranno in scena il 27 e il 29 novembre con la direzione del M Matteo Beltrami che sarà alla guida dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana, mentre il Coro sarà quello del Circuito Lirico Lombardo. La regia è stata affidata a Leo Muscato, le scene sono di Antonio Panzuto e i costumi di Monica Iacuzzo; gli interpreti sono Esther Andaloro (Nadia), Mickael Spadacini (Canio), Ivan Inverardi (Tonio), Giulio Pelligra (Peppe) e Enrico Maria Marabelli (Silvio), mentre l'interprete de La voix humaine, opera rappresentata per la prima volta al Teatro Pergolesi, sarà il soprano Tiziana Fabbricini.
Ruggero Leoncavallo (1857-1919) agli inizi della sua carriera vive scrivendo canzoni, impartendo lezioni di pianoforte e suonando nei locali pubblici di Parigi, di Londra e del Cairo. Finalmente a trentaquattro anni, nel 1892 compone lo spartito e scrive il libretto dell'opera Paglicci, un dramma in un prologo e due atti, che si afferma con straordinaria rapidità in Italia e all'estero, diventando la maggiore espressione del Verismo musicale nell'ultimo decennio dell'Ottocento italiano.
Accolta con eccezionale favore dal pubblico, l'opera riceve giudizi negativi da parte della critica che la definisce priva di gusto , un fattaccio di cronaca nera la cui partitura dilettantesca e superficiale ridonda di un lirismo facilone , un lavoro che contiene detriti di un passato logoro per esaurimento ed espressione di una cultura senza nerbo . Si tratta di giudizi sicuramente ingenerosi, che sono stati rivisti nella seconda metà del Novecento, quando Pagliacci, pur con i suoi difetti, viene giudicata un'opera possente, di rara intensità espressiva , un manifesto del Verismo meritevole di quel successo che ancora oggi non accenna a diminuire e che purtroppo il compositore non riuscirà a ripetere con le sue opere successive La Bohème (1897) e Zazà (1900).
Leoncavallo è un uomo di elevato livello culturale (si era laureato in lettere nell'Università di Bologna sotto la scuola di Carducci), dotato di una solida preparazione musicale (si era diplomato presso il Conservatorio di Napoli dove aveva studiato composizione con il maceratese Lauro Rossi), che si distingue fra i compositori della Giovane Scuola Italiana per la sua conclamata ammirazione nei confronti di Wagner. Contro la tradizione del melodramma italiano, egli rifiuta ogni riferimento letterario e scrive personalmente il libretto, portando sulla scena, secondo le teorie veriste, un fatto di cronaca reale a cui da ragazzo ha personalmente assistito. A Montalto Uffugo in Calabria, durante uno spettacolo di saltimbanchi nella piazza del paese nel corso di una festa di agosto, il pagliaccio della compagnia, al termine della rappresentazione, uccide a coltellate la moglie e l'amante di lei, per poi essere condannato a venti anni di carcere dal padre del compositore che era il magistrato del luogo.
Leoncavallo, scavando nei suoi ricordi personali ( un nido di memorie in fondo all'anima/cantava un giorno ), scrive questo dramma chiaramente antiromantico e impregnato di materialità , ispirato al Vero come annuncia il Prologo, l'artista-uomo che scrive per gli uomini, riportando sulla scena gli aspetti più crudi della vita stessa secondo i dettami di un vero manifesto verista . Lo stesso gioco del teatro nel teatro mescola sulla scena la Commedia e la Tragedia, per ritrovare una sintesi tra finzione scenica e realtà esistenziale nel celebre brano Recitar , dove il protagonista Canio rivela la propria umanità nascosta sotto le vesti del pagliaccio, anticipando quella soluzione finale dove tre nature diverse (quella passionale di Nedda, quella irruente di Canio e quella ambigua di Tonio) arrivano a scontrarsi drammaticamente. Naturalmente l'opera non si risolve tutta nel Prologo e nella celebre romanza di Canio, ma contiene anche altri brani suggestivi come la gavotta di Colombina Suvvia , così terribile , la serenata di Arlecchino O Colombina , la ballata di Nedda Stridono lassù , il duetto amoroso tra Nedda e Silvio, l'appassionato brano di Canio Un tal gioco credetemi , fino alla tumultuosa scena finale quando il canto si trasforma in un urlo disperato e l'opera si chiude sulle parole di Tonio La commedia è finita.
La voix humaine, atto unico della durata di circa quaranta minuti, rappresenta la novità assoluta della stagione lirica 2009 composta da Poulenc nel 1959 rimanendo rigorosamente fedele al testo teatrale. Jean Cocteau è stato uno degli intellettuali del Novecento più completi e complessi, in quanto romanziere e commediografo, poeta e regista cinematografico, sceneggiatore e ideatore di balletti, autore di libretti d'opera, disegnatore e incisore. Nel teatro egli ha rivisitato gli antichi miti del mondo classico (Orfeo, Antigone, La macchina infernale, Bacco), ha rappresentato gli aspetti tragici del nostro tempo (I parenti terribili) ed ha affrontato il tema dell'amore inteso come abbandono, incomunicabilità e insensibilità maschile nei due monologhi La voix humaine (1930) e Le bel indiffèrent (scritto nel 1940 e musicato da Marco Tutino nel 2005).
Ne La voix humaine affronta il tema dell'Amore con la massima semplicità in un continuo alternarsi di parole anche banali e di silenzi assoluti che hanno come protagonista una donna aggrappata a un telefono nel disperato tentativo di stabilire un contatto e aprire un dialogo con un interlocutore che si suppone stia all'altro capo del telefono, la cui presenza si può immaginare attraverso i silenzi della donna e le risposte ai suoi intuibili interventi. agganciare. Dice Cocteau: Era necessario puntare sulla massima semplicità , un atto, una camera, un personaggio: l'Amore e il comune accessorio ai drammi moderni, il telefono . Questo oggetto così comune diventa tuttavia il centro che catalizza le azioni corporee e i sentimenti della donna, si manifesta come lo strumento concreto e il simbolo della sua impotenza, della sue scontatissime parole e dei suoi silenzi, per arrivare allo straziante momento finale, quando la protagonista decide di interrompere il colloquio con un disperato Forza, taglia svelto! , ripetendo per cinque volte ti amo prima di lasciar cadere a terra il ricevitore, essendo ormai consapevole che il rapporto con l'uomo che sta dall'altra parte del filo è ormai finito.
Poulenc, che è uno compositori più rappresentativi del Novecento, in un primo momento ha alternato una vena comica (Le mammelle di Tiresia da Apollinaire, 1947) con una vena drammatica (I dialoghi delle carmelitane da Bernanos, 1957), quando nel 1959 decide di comporre La voix humaine che rimane una delle sue opere più riuscite. Egli affida il testo teatrale alla voce di un soprano lirico e compone una partitura per orchestra che gli permette di condurre con estremo rigore una sua analisi psicologica di questo personaggio femminile, sottolineando tutti i passaggi patetici e drammatici che il testo di Cocteau suggerisce con risultati estremamente suggestivi.
INFO:
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