“La Cenerentola” di Rossini a Roma
di Alberto Pellegrino
9 Feb 2016 - Commenti classica, Musica classica
Per celebrare il bicentenario creativo di Giacomo Rossini, il Teatro dell’Opera di Roma ha allestito una particolare edizione della Cenerentola, il dramma giocoso che ha debuttato nel 1816 al Teatro Valle di Roma. Lo spettacolo è andato in scena con successo il 22 gennaio (per continuare fino al 19 febbraio) sotto l’ineccepibile direzione del M° Alejo Pérez e con un cast d’interpreti di grande valore formato da Serena Malfi (una superlativa Cenerentola-Angelina), Alessandro Corbelli (un convincente Don Ramiro), Vito Priante (un divertente Dandini) Juan Francisco Gattel (un efficace Principe). Alla sua riuscita hanno contribuito le eleganti scenografie di Carmine Maringola, i fantasiosi costumi disegnati da Vanessa Sannino, le luci di Cristina Zucaro e i movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco. Secondo un progetto messo in atto dalla Scala e dal Teatro dell’Opera, lo spettacolo è stato trasmesso in diretta in 64 sale cinematografiche italiane, in alcune sale europee, in Australia, Corea, Giappone e Stati Uniti.
La regia dell’opera è stata affidata a Emma Dante, una delle interpreti più sensibili del nostro teatro, sempre motivata da un’intensa voglia di sperimentare una lettura innovativa delle opere a lei affidate. La Dante ha voluto per prima cosa avvertire gli spettatori: «La mia Cenerentola non raccontatela ai vostri figli, è miracolosa e favolistica, ma nasconde qualcosa di disturbante, che non fa dormire», ma subito dopo ha voluto precisare che il suo progetto tende restituire al pubblico il fascino intramontabile del capolavoro rossiniano con un allestimento immerso in un mondo fiabesco ma “contaminato” con elementi ispirato al teatro meccanico, al Surrealismo, ai cartoni animati, ad atmosfere farsesche commiste a particolari inquietanti in continuo gioco, dove il gioco della fantasia è filtrato attraverso una serie di apparenze ed evocazioni (“Tutto è giocato – dice la Dante – tra il dentro e il fuori di un paravento che definisce i luoghi dove si svolge l’azione. Ciò che non si vede è magico, ciò che è alla portata degli occhi è invece reale”).
La regia ha messo in secondo piano, senza tuttavia sacrificarli, gli aspetti melodici per dare maggiore rilievo ai pezzi d’insieme che sprigionano una dirompente vitalità, ha eliminato la figura della matrigna per sostituirla con quella del patrigno (Don Magnifico), ha voluto che siano le donne a dominare un universo che appare agli inizi decisamente maschile. La Dante lavora soprattutto nello strutturare il personaggio di Cenerentola che inizialmente non fa nulla per nascondere la sua condizione di emarginata: pur avendo un’indole nobile, la ragazza non ha una precisa identità e vive sottomessa al patrigno e alle sorellastre che sono degli arrampicatori sociali aridi e crudeli, accettando di soffrire in solitudine e di rifugiarsi nel sogno. Quando, attraverso le sue pulsioni oniriche, trova la forza di liberarsi dall’oppressione e dalla violenza familiare, Cenerentola prenderà il sopravvento sui propri carnefici e sul mondo che la circonda: le sue ancelle si muovono come delle bambole meccaniche caricate come dei carillon; il patrigno e le sorellastre si trasformano in automi meccanici e alla mercé della giovane per un effetto contagio che ricorda (dice la regista) quanto avviene nel Rinoceronte di Ionesco, tanto che i suoi familiari finiscono per essere duramente puniti, eliminando quel lieto fine che la Dante dice di non amare. La regia ha proposto uno spettacolo innovativo e ricco di spunti teatrali, eliminato ogni riferimento agli aspetti più sdolcinati delle fiabe per imboccare la strada della “crudeltà” finalizzata a esaltare i “buoni” e a colpire spietatamente i “cattivi”: la celebre tempesta diventa la rappresentazione dell’odio e del furore dei “cattivi; la scena della magica carrozza, con le sue atmosfere oniriche, mantiene un sottofondo inquietante e allucinato; è tuttavia nella scena del ballo che si tocca il vertice della crudeltà con le aspiranti spose che sono in realtà dei mostri assassini, perché nascondono sotto gli abiti bianchi delle armi pericolose, per cui la stessa festa si risolve in un’orgia di violenza collettiva, mitigata nel finale dalle nozze principesche.
Questa opera entra a far parte del progetto romano per le celebrazioni rossiniane che comprende un Barbiere di Siviglia diretto da Donato Renzetti con la regia di Davide Livermore che andrà in scena al Teatro Costanzi dall’11 al 22 febbraio; un altro Barbiere, con la regia di Lorenzo Mariani, sarà rappresentato nelle Terme di Caracalla dal 16 luglio al 10 agosto; infine è previsto uno spettacolo itinerante ideato dal regista Fabio Cherstich, allestito in collaborazione con il Teatro Massimo di Palermo e intitolato Figaro! Opera Camion, una rappresentazione che, come un moderno Carro di Tespi, circolerà in primavera nelle piazze e in altri spazi idonei a ospitare questa particolare forma di teatro musicale.