La “Butterfly” di Cento a Pesaro
di Andrea Zepponi
17 Mar 2014 - Commenti classica, Musica classica
Pesaro – Madama Butterfly è un’opera di piccole cose umili e silenziose come recita il libretto del primo atto: il contrasto tra il grandioso tessuto sinfonico dell’orchestra e la relativa semplicità della trama, è lo stesso cui si assiste tra la grandezza della protagonista e le limitate dimensioni degli altri personaggi. Nella recita di Madama Butterfly venerdì 28 febbraio, ore 21.00 al Teatro Rossini di Pesaro per il secondo appuntamento di Sinfonica 3.0 e in coproduzione con la Fondazione Teatro Borgatti di Cento, il Teatro Consorziale di Budrio, l’Associazione Ritorno all’Opera e l’Associazione Luis Mariano, l’Orchestra Sinfonica Rossini ha fornito un’interessante e profonda lettura dell’opera; le particolari condizioni dell’allestimento nel teatro pesarese, che accoglieva quello del Borgatti di Cento al momento inagibile per note cause sismiche, spiegano la versione adottata per orchestra ridotta, che tuttavia non ha limitato per nulla la pienezza sinfonica dell’insieme ed ha mantenuto intatto il portato drammatico del suddetto contrasto, anche grazie ad una interprete protagonista ben inquadrata vocalmente-scenicamente con una direzione-strumentazione, quella del M° Aldo Salvagno, eloquente e ben spazializzata. Proprio il soprano Hiroto Morita nel ruolo di Cio-cio san/Butterfly, ha retto le sorti di tutta la rappresentazione con sicurezza professionale ed ottima tenuta: non solo la sua origine orientale ne ha fatto un’interprete con vero fisique du rôle, ma anche la piena e misurata rispondenza alla regia di Giovanni Dispenza dal preciso e coerente taglio attualizzante. La dimensione della protagonista era chiaramente delineata non con la solita ambientazione floreale, ma con palesi elementi simbolici e una serie di proiezioni che restituivano il minimalismo intimamente connaturato con l’opera rendendo attuale l’immaginario di Cio-cio san con lo stile dei cartoni giapponesi manga: azzeccata scelta di rappresentare così un mondo semplice ma appassionato che si pone come mezzo di comunicazione tra due culture tanto lontane; le scene del Teatro Borgatti di Cento presentavano un fondale multimedia, composto di quinte girevoli che venivano fatte ruotare nei momenti in cui dovevano raffigurare ambienti diversi, diversi stati d’amino, l’interno schematico della casetta e il giardino con i suoi rami fioriti; diveniva poi lo schermo su cui scorrevano nel secondo atto le immagini del bambino che Cio-cio san presenta a Sharpless e poi, alla fine del secondo e all’inizio del terzo atto, sfilavano in versione manga i sogni naives di Butterfly: quelli di vivere la sua vita di sposa americana con il proprio figlioletto e il marito ufficiale di marina; che poi la regia sottolineasse la soggettività maniacale della protagonista era ben chiaro quando, prima del coro a bocca chiusa, Butterfly chiede a Suzuki di portarle il bimbo e allora in scena compariva un orsacchiotto di peluche: escludendo l’espediente di utilizzare un bambolotto, l’idea registica ha evidentemente voluto collocare solo nella mente della protagonista tutto il dramma e i suoi presupposti. L’esito tragico era comunque fedele al libretto con la scena di karakiri. Sul versante vocale la piena vocalità di soprano lirico di Hiroto Morita è stata convincente anche nei momenti di squarcio orchestrale del tipo Ei torna e m’ama! e nella conclusione dei grandi momenti solistici come Un bel dì e Tu, piccolo iddio. Una vocalità che riempiva la sala con ampie arcate di frasi ben sostenute dall’orchestra e che compensava nel duetto finale del primo atto qualche suono non proprio ortodosso del tenore Giorgio Casciarri in Pinkerton il quale ha mostrato delle buone capacità ugulari di tenore lirico tendente allo spinto: si è difeso così molto bene nell’aria del terzo atto Addio, fiorito asil, un po’ meno in quella del primo atto Dovunque al mondo. Punto di forza della rappresentazione era inoltre la Suzuki di Mariella Guarnera, ottima e ampia voce di mezzosoprano dal colore e spessore presenti in tutti registri esibiti dalla parte che, non lo dimentichiamo, dal secondo atto in poi è sempre in scena; incisiva nelle tante frasi scoperte, ha tenuto a pari merito la palma con il soprano nel duetto Spargiamo a mani piene e nelle frasi drammatiche dell’insieme Sharpless – Pinkerton – Kate – Suzuki. Giusto colore caratteriale di baritono quello di Ivan Marino nel ruolo di Sharpless al quale non è mancato il discreto successo riservato a tutti gli interpreti protagonisti dell’opera. Tra i comprimari spiccava il tenore Giampiero Cicino nel ruolo di Yamadori. Completava il cast il Coro del Bicentenario Verdiano preparato dal M° Andrea Bianchi che icasticamente ha caratterizzato gli interventi del coro dei parenti nella scena nuziale del primo atto e in quella della maledizione dello zio bonzo con delle voci corali di prim’ordine, quelle che hanno saputo poi sfumare tanto bene le dinamiche nella sognante omoritmia del celebre coro a bocca chiusa. Da non dimenticare i costumi della Sartoria Bianchi di Milano in perfetta intesa con la linea attualizzante della regia che pure non ha rinunciato, e giustamente, ad alternare per la protagonista costumi tradizionali giapponesicon quelli occidentali.