La bellezza del Giffoni
di Elena Bartolucci
30 Lug 2015 - Commenti cinema
Dal 17 al 26 luglio 2015 ha avuto luogo la 45ᵃ edizione del Giffoni Film Festival dal tema “Carpe Diem”, in cui 3.600 giurati provenienti da circa 50 Paesi di tutto il mondo, ovvero il cuore e l’anima di questo festival, sono stati chiamati a giudicare ben 98 film.
Personalmente ho avuto la fortuna di vederne solo tre e se gli altri che ho perso erano all’altezza di quelli che ho visto, sono davvero dispiaciuta di non aver avuto la possibilità di sedermi di nuovo in sala e godermi lo spettacolo.
L’unico mio più grande rammarico sarebbe scoprire che i cortometraggi, documentari o lungometraggi presentati non vengano poi distribuiti in sala o almeno nelle scuole, perché la vera ricompensa per queste pellicole sarebbe proprio farle arrivare al cuore di tutti e non solo di chi aveva la possibilità di essere a Giffoni.
Di seguito la recensione dei film visti nelle categorie Elements +10, Generator +13 e Generator +16.
Si resta sospesi tra fantasia e realtà nella sezione ELEMENTS +10. Labyrinthus (Belgio, 2014) è il primo lungometraggio da regista di Douglas Boswell, che ha già diretto episodi di diverse serie televisive e alcuni cortometraggi.
Il film, già presentato al Festival di Toronto 2015, si focalizza su come realtà e mondo virtuale si incontrano e si scontrano. Frikke (un talentuoso Spencer Bogaert), un ragazzo di quattordici anni, conosce molto bene l’universo dei videogiochi, ma un giorno ne trova uno davvero strano, in cui i protagonisti sono dei ragazzi e animali in carne e ossa, le cui esistenze e i cui corpi, caricati da una particolare macchina fotografica, sono stati trasportati in un labirinto virtuale.
Non appena inizia il gioco, infatti, Frikke incontra Nola (Emma Verlinden), una ragazzina intrappolata che non ricorda più chi è e che rischia di essere uccisa dal cattivo del videogame se lui abbandonerà o perderà il gioco.
In una frenetica e concitata corsa contro il tempo, Nola riceverà altra compagnia come il migliore amico di Frikke, Marko e un’altra ragazzina. Frikke cercherà di salvarli trovando la via d’uscita dal labirinto, ma allo tempo stesso dovrà trovare il malvagio creatore del terribile videogame in modo da evitare che nessun altro possa essere trasportato in quella trappola infernale.
La computer grafica che è riuscita a dare forma allo spettacolare mondo di fantasia del videogioco è davvero molto curata, ma anche la fotografia e gli esterni sono davvero belli. Una storia perfetta per bambini di età compresa fra i 9 e i 13 anni ma amabile anche per un pubblico più adulto, perché la storia è molto ben scritta e ricca di umorismo, avventura e tensione al punto giusto.
Labyrinthus si è aggiudicato il primo premio nella sezione ELEMENTS +10.
La sezione Generator +13 segue un filo conduttore tra musica, sogni adolescenziali, sentimenti e temi molto più delicati tipo l’elaborazione del lutto proprio come in You’re Ugly Too (Irlanda, 2014) di Mark Noonan, che è al suo primo lungometraggio di finzione (già presentato al Festival di Berlino 2015 nella sezione Generation Kplus).
Viene raccontata una toccante storia fatta di dolore, amore e fiducia, in cui Will (Aidan Gillen, noto al grande pubblico per Il Trono di Spade), un uomo dall’oscuro passato criminale, ottiene un rilascio straordinario dal carcere per prendersi cura di sua nipote Stacey (Lauren Kinsella) in seguito alla morte di sua sorella, la madre di lei. La bambina parte con lo zio per le Midland irlandesi con la speranza di cogliere l’occasione di un nuovo inizio, l’opportunità per entrambi di formare una vera famiglia. Ma le attese di Stacey vengono subito deluse: le viene negata l’ammissione a scuola a causa della narcolessia che ha sviluppato di recente e Will dimostra di avere dei seri problemi di alcool e droga oltre al fatto di non riuscire a trovare un lavoro serio e a essere una vera figura paterna per la piccola.
Nonostante i numerosi ostacoli e una terribile verità che viene a galla, il rapporto di Will e Stacey non sarà destinato a naufragare e in qualche modo riusciranno a diventare una famiglia.
Un film profondo e intenso dal finale agrodolce ma pieno di speranza che regala molti spunti di riflessione. Lo stesso regista Noonan ha dichiarato: “Mi interessava fare un film su personaggi che custodiscono i loro pensieri e le loro emozioni nel cuore. I due protagonisti vengono messi insieme e costretti a diventare una famiglia elettiva. Non sempre sono in grado di esprimere se stessi. Condividono una caratteristica tipicamente irlandese: il rifiuto di parlare delle proprie emozioni, e la scelta di utilizzare l’umorismo e lo scherno irriverente come mezzi di espressione. Le loro parole non dicono tutto. Così, molti film sono determinati da ciò che i personaggi fanno, e dalle trasformazioni a 180 gradi che i personaggi subiscono. La mia intenzione era quella di fare un film definito in maggior parte da ciò che i personaggi non fanno, e in cui le trasformazioni dei personaggi alla fine sono piccole ma profonde. Sentiamo il cambiamento di questi due personaggi come uno stacco in nero, anche se probabilmente loro non lo ammetterebbero neanche a se stessi”.
La sezione Generator +16, invece, descrive l’inquietudine e la difficoltà di una generazione, che dall’adolescenza passa all’età adulta. All The Wilderness (Usa, 2014) è il primo lungometraggio di Micheal Johnson e racconta la storia di James (un bravissimo Kodi Smit-McPhee capace di regalare una forte espressività), un adolescente inquieto che, dopo la morte del padre, si è perso nelle lande selvagge della sua mente, in un mondo di sua creazione fatto di libri, poesie e immagini dark.
James appare strano agli altri ragazzi e non fa nulla per cercare di essere simpatico e instaurare un qualsiasi rapporto sociale. Vista anche la sua insana attrazione nei confronti della morte, la madre Abigail (Virginia Madsen) lo fa seguire dallo strambo psicologo Walter (Danny DeVito), il quale non sembra però riuscire a toccare le corde giuste del suo cuore per farlo aprire.
James, infatti, è un personaggio assai criptico: non è il solito adolescente preso solo dai problemi di scuola o primi amori, ma i suoi turbamenti sono celati molto più in profondità e non sembrano volersi palesare all’esterno. Sarà solo l’incontro fortuito con dei coetanei a sbloccare la sua timidezza, portandolo a fare nuove esperienze, a riflettere e ad affrontare la verità che lo tormenta.
Solo nel finale tutto verrà rivelato e James riuscirà a capire che la natura selvaggia da cui è attratto non gli appartiene, riuscendo così a fuggire dagli angoli bui della sua mente.
Il film è molto potente e poetico e lo si percepisce sin da subito da come è girato. È romantico e intensamente dark allo stesso tempo, racchiudendo un’infinità di sentimenti come inquietudine, amore, tristezza e perdita.
Stupendo l’uso per tutto il corso del film del poema ‘Wilderness’ di Carl Sandburg, che si accosta perfettamente all’uso molto intimo della macchina da presa, che ricorda in diversi momenti la tecnica di Terrence Malick.
Anche All The Wilderness si è aggiudicato il primo premio nella sezione Generator +16.