La battaglia di Pian Perduto
di Alberto Pellegrino
8 Gen 2014 - Libri
“Giorro gualdese da bisogno mosso/Di Cànetra nel bosco taglia un legno:/Di Norcia il guardian gli corre addosso/Ma bravo Giorro lo fa stare a segno:/Ogni norcin da questo fatto scosso/D’armarsi contro Visso fa disegno: /Norcia che ha più di forze vincer crede,/Ma vince Visso che nei Santi ha fede”. Con questi versi ha inizio un antico poema popolare intitolato La battaglia di Pian Perduto che secondo la tradizione sarebbe stato composto in ottave agli inizi del Seicento da Berrettaccia di Castelsantangelo, uno di quei pastori-poeti celebri per la loro capacità di comporre versi e di recitare a memoria interi poemi come Guerrin Meschino, Orlando furioso e La Gerusalemme liberata. Questo poema, composto inizialmente da 94 ottave, sarebbe stato poi completato nel Settecento arrivando a 116 ottave come lascia pensare una prima parte animata da una certavis comica e basata su una metrica semplice e scorrevole e su un linguaggio con forti inflessioni dialettali, mentre la seconda parte risulta più legata alla lingua italiana. Lo scontro avviene in un territorio montano ricco di pascoli e di boschi, un tempo dominio dell’Imperio romano e successivamente sede dei Comuni di Visso e Norcia, la quale prima combatte contro Cascia per poi provocare una serie di scontri e di diatribe con Visso per la definizione dei confini a delimitazione dei due territori comunali. Questo episodio è realmente accaduto il 20 luglio 1522 e si tratta di una battaglia provocata dalla contesa di un pascolo perduto da Norcia e conquistato da Visso e dalle sue Guaite di Ussita e Castelsantangelo. Secondo il poema il casus belli causa sarebbe stato un certo Giorro che un giorno si recò in bosco per abbattere un faggio e impadronirsi del tronco. Sorpreso da un guardiano di Norcia che esige il pagamento di uno scudo altrimenti lo metterà in prigione. Giorro reagisce a suon di bastonate, per cui l’uomo fa ritorno a Norcia coperto di ferite, provocando l’ira e la sete di vendetta dei suoi concittadini che si armarono e decisero di marciare contro i Vissani, ma questi anche se inferiori di numero risposero con le armi in pugno, misero in fuga i Norcini e li costrinsero a rinchiudersi nel castello. Dopo questa prima scaramuccia, i Vissani chiesero di portare indietro i loro feriti, ma furono maltrattati e bastonati dai Norcini. Ritornati indietro, essi fecero suonare a stormo le campane per chiamare alle armi il popolo impegnato nei lavori agresti; per mettersi agli ordini del Governatore, accorsero al suono dei tamburi, per unirsi ai militi di Visso, gli uomini del Castelsantangelo che avevano per condottiero “bello e di feroce aspetto” Buzio il figlio del Conte che aveva sull’insegna l’Arcangelo San Michele; seguivano quelli di Ussita che avevano una volpe sulla loro insegna, quelli di Montemonaco e Montefortino. A sua volta Norcia chiamò a raccolta gli uomini dalle sue contrade guidati dal capitano Arbillo; i due eserciti si scontrarono nell’altopiano con grande violenza e spargimento di sangue e Norcini, che volevano sottomettere Visso e che avevano mangiato e bevuto abbondantemente prima dello scontro, furono sconfitti, perdendo e le armi e il loro vessillo, mentre i Vissani ringraziarono i loro Santi protettori per la vittoria conseguita. Il poema è stato pubblicato a cura di Fabio Santilli con il patrocinio dei Comuni di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera; esso inoltre è arricchito dalle belle illustrazioni di Mauro Cicarè che con il suo segno forte e sanguigno commenta i vari passaggi del poema con immagini di grande impatto drammatico e di notevole forza cinetica.