La 42 Stagione lirica del Teatro Pergolesi


Alberto Pellegrino

26 Dic 2009 - Commenti classica

La ripresa della mitica Traviata di Svoboda non sempre convincente per i costumi

La 42^ Stagione lirica di Jesi si è aperta nel Teatro Pergolesi con la ormai leggendaria Traviata di Verdi nella della celebre edizione degli specchi , andata in scena nel 1992 nello Sferisterio di Macerata con la regia di Henning Brockhaus e le scene di Josef Svoboda, riconosciuto maestro della scenografia contemporanea. L'edizione jesina è stata diretta dal M Giampaolo Maria Bisanti, mentre il ruolo della protagonista è stato affidato al soprano Valeria Esposito, costretta inaspettatamente a salire sulla scena per la malattia delle due cantanti in cartellone, ma come sempre capace di dare spessore al personaggio di Violetta con la sua sensibilità interpretativa e le solide basi tecniche; al suo fianco il tenore Salvatore Cordella si è mosso agevolmente nelle vesti di Alfredo, al pari del baritono Filippo Bettoschi che ha ricoperto il non facile ruolo di Gerard padre.
Questa messa in scena del capolavoro verdiano è entrata nella storia della lirica per le geniali invenzioni di Svoboda che, fedele alla sua concezione del teatro come metafora, ha usato come base scenica un grande specchio dentro il quale inizia, si riflette e si conclude la drammatica vicenda terrena di Violetta Valery, il personaggio creato da Alessandro Dumas figlio e reso immortale dal genio verdiano. Lo spettacolo è esaltante per la sua capacità di creare, con estrema semplicità di mezzi, atmosfere e sensazioni che catturano e coinvolgono lo spettatore. Del resto, quando nel finale, il grande specchio si alza per accogliere e trasportare sul palcoscenico l'intero teatro e il pubblico in modo do poter partecipare agli ultimi strazianti momenti di vita di Violetta, come è possibile reprimere quel brivido di commozione che ci afferra dentro? L'intera vicenda di Violetta e Alfredo inizia con l'aprirsi di un ottocentesco sipario che dà l'avvio a un susseguirsi di scene, dalla festa in casa di Violetta all'idillio nella casa di campagna, dallo splendore rutilante della seconda festa al momento più alto e commovente dell'Addio del passato, l'improvviso ritorno di Alfredo e la morte di Violetta. Si tratta di una lettura in chiave teatrale di un'opera che come poche altre esalta quello straordinario senso del teatro che ha sempre guidato il Verdi compositore.
Nell'adattamento in scala ridotta dell'allestimento originale, concepito per il grande palcoscenico dello Sferisterio, è stata adottata una variante temporale, spostando la vicenda agli inizi del Novecento, un'epoca ritenuta da Brockhaus più sensuale e dove l'opulenza e la decadenza sociali sono storicamente delineate con chiarezza . Nel primo atto il salotto di Violetta ha assunto la configurazione di una maison de plaisir con la raffigurazione di figure femminili molto pesanti e con una certa abbondanza di giovani discinte, di calze nere e di giarrettiere, che è andata a discapito di un più raffinato erotismo. Meglio la scena di campagna del secondo atto e quella della festa nel terzo atto tutta segnata dalle cifre cromatiche del rosso e del nero (perchè la stonatura di otto comparse in grigio e di Alfredo che indossa gli abiti di campagna invece di un più consono abito da sera?). L'ultimo atto ha invece lasciato integre le suggestive atmosfere dell'originale con le sue tonalità in bianco e in nero, mantenendo la necessaria intimità al drammatico finale.

Finalmente ritorna sul palcoscenico del Teatro Pergolesi un giovane e divertente Barbiere di Siviglia

Dopo lunga assenza è ritornato sul palcoscenico jesino Il barbiere di Siviglia, il capolavoro di Gioachino Rossini andato in scena il 12-13-15 novembre sotto la direzione del M Giampaolo Maria Bisanti che ha guidato l'Orchestra Filarmonica Marchigiana. L'opera è stata allestita in coproduzione con la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino ed è stata interpretata dai giovani cantanti dell'Accademia Rossiniana del Rossini Opera Festival e della Scuola dell'Opera Italiana di Bologna, che hanno affrontato la difficile prova con professionalità e intelligenza, rendendo con efficacia i vari personaggi grazie ad una recitazione spigliata e ironicamente misurata.
Il capolavoro rossiniano, composto nel 1816, rappresenta la svolta e il vertice dell'opera buffa e introduce nel mondo del melodramma lo straordinario personaggio teatrale di Figaro inventato da Pierre Augustin Caron de Beuamarchais per esaltare lo spirito d'intraprendenza della nuova borghesia e la voglia d'indipendenza delle giovani generazioni (soprattutto delle giovani donne) nei confronti degli anziani conservatori. Rossini, grazie anche al bel libretto di Cesare Sterbini, riesce a creare in soli venti giorni un'opera che non è solamente una delle più grandi gioie musicali che siano mai state scritte, ma contiene audacie interne alla scrittura che soltanto una mostruosa musicalità naturale riesce a spiegare (Roman Vlad).
Il giovane regista Damiano Michieletto, che si è già cimentato con Rossini con le regie di La gazza ladra e di La scala di seta nel ROF di Pesaro, ha affrontato questa nuova messa in scena partendo proprio dalla gioia musicale che questa opera riesce a sprigionare. Egli ha pertanto voluto esaltare da un lato i valori musicali dello spartito rossiniano, dall'altro lato quelle suggestioni e quelle idee che vengono dal teatro di prosa, sfruttando al massimo le capacità attoriali dei giovani interpreti anche sotto il profilo della gestualità e del movimento. Si sono avuti sulla scena cantanti vivi e partecipi dell'azione e non monumenti del grande canto legato alla tradizione con il risultato di assistere a un teatro in musica capace di rinnovare con freschezza e intelligenza un grande testo musicale senza tradirne lo spirito. Michieletto ha voluto sollecitare la fantasia dello spettatore, scegliendo del minimalismo scenografico, per cui dei semplici e normali oggetti della vita quotidiana, costituiti da una ventina di serie rosse, una scala a libretto blu, alcuni ombrelli rossi e degli enormi palloni bianchi, sono stati sufficienti a collocare i vari personaggi nei vari momenti e ambianti della storia. Gli stessi costumi di pura fantasia, disegnati da Carla Teti, sono stati caratterizzati da tratti caricaturali per esprimere una comicità surreale che non ha rinunciato nemmeno a marcati riferimenti animaleschi come nel caso di Don Basilio splendidamente raffigurato come una grande lucertola verde.
Scene e costumi sono risultati pertanto coerenti con la chiave di lettura adottata dal regista che è partito dalla Commedia dell'Arte per arrivare fino al teatro grottesco contemporaneo (viene da pensare a un certo Jonesco o alla Forza dell'abitudine di Thomas Bernhard), con invenzioni sceniche che assumono una dimensione circense, sia nel rapporto spazio-azione con passaggi che ricordano i ritmi del balletto, sia nella recitazione finalizzata a dare una forte connotazione ai vari personaggi. L'idea, che apre e chiude l'opera, è quella di un viaggio in treno sul tratto Jesi-Siviglia, dove gli interpreti si preparano a diventare personaggi e a proiettarsi in una mondo surreale dove può accadere di tutto, ma dove molto è lasciato all'immaginazione dello spettatore, per poi ritornare ad assumere una dimensione umana, scendendo da quel fantastico mezzo di trasporto che li ha riportati da Siviglia e a Jesi.

La Stagione lirica si conclude con La voix humaine e Pagliacci

La 42 Stagione lirica del Teatro Pergolesi si è conclusa con la messa in scena di un'opera che raramente appare nei cartelloni italiani: La voix humaine di Francis Poulenc (1899-1963) su libretto di Jean Cocteau (1889-1963). Composta nel 1959, la partitura segue fedelmente il monologo di Cocteau del 1930 che affronta il tema dell'Amore infelice, avendo come protagonista una donna aggrappata al telefono nel disperato tentativo di stabilire un contatto e aprire un dialogo con un interlocutore che si intuisce stare all'altro capo del filo. Poulenc ha composto una partitura che gli permette di condurre con estremo rigore un'analisi psicologica dell'unico personaggio femminile, ben interpretato dal soprano olandese Charlotte Riediijk che ha saputo sottolineare tutti i passaggi patetici e drammatici del testo teatrale. Il regista Leo Muscato, con le scene di Antonio Panzuto, ha trasportato la vicenda dal chiuso di una stanza in una strada della periferia parigina: pareti grigie e scrostate, manifesti strappati, un telefono pubblico a parete, un lampione contro il quale è ferma un'automobile bianca con interni rossi. In questo clima di nebbie e solitudini alla Simenon dall'auto esce una giovane donna fasciata da un impermiabile rosso, che si aggrappata al cellulare (usato in alternanza con il telefono a filo quando il campo viene a mancare) nel più assoluto abbandono, spezzato solo dal passaggio fugace di una donna con un bambino e della breve e comprensiva presenza di una prostituta. Prigioniera della sua impotenza, la donna parla sotto la finestra di una casa dove passa l'ombra di un uomo che parla e agisce, metafora di impossibile dialogo della protagonista con i propri fantasmi, l'angoscia cresce fino al ritorno della giovane nella sua stanza, quando interrompe la comunicazione ormai consapevole di un rapporto che non ha più futuro.
Seconda opera della serata <b<Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, ben diretta dal M Matteo Beltrami ed efficacemente interpretata Esther Andaloro (Nadia), Mickael Spadacini (Canio), Ivan Inverardi (Tonio), Giulio Pelligra (Peppe) e Enrico Maria Marabelli (Silvio). Scritta e composta nel 1892, l'opera con la sua intensità espressiva rappresenta il manifesto del Verismo. Leoncavallo, scavando nei suoi ricordi personali ( un nido di memorie in fondo all'anima/cantava un giorno ), porta sulla scena un dramma antiromantico, ispirato al Vero che presenta gli aspetti più crudi della vita mescolando, attraverso il gioco del teatro nel teatro , Commedia e Tragedia in una perfetta sintesi tra finzione scenica e realtà esistenziale. Sempre Leo Muscato ha trasportato la vicenda ai nostri giorni ed ha usato la precedente scena di Antonio Panzuto per l'arrivo in piazza della compagnia dei guitti; poi ha chiesto allo scenografo la realizzazione di un unico ambiente capace di rappresentare il palcoscenico e la platea, nonchè lo spaccato dei camerini, luoghi deputati dove si gioca l'intera vicenda fatta di passione e tradimento, di gelosia e violenza assassina: Canio scopre il tradimento della moglie grazie alla soffiata di Tonio, un piccolo Jago di provincia respinto dalla donna che lo disprezza. Una volta sorpresi gli amanti, il momento della rappresentazione diventa l'occasione per uccidere la donna e l'uomo che si è mescolato fra gli spettatori, in un continuo e affascinante intreccio tra testo recitato e realtà vissuta. Veramente splendidi e suggestivi sono stati i tre costumi disegnati da Monica Iacuzzo per Canio-Pagliaccio, Peppe-Arlecchino e Nedda-Colombina; in essi l'iperbole fantastica si mescola efficacemente con le citazioni tratte dalla Commedia dell'Arte. La regia di Muscato, da un lato, ha raggiunto losco di realizzare una sorta di reinvenzione contemporanea della Commedia dell'Arte, vicina allo spirito estremamente goliardico e anche un po' volgare insito nel genere stesso; dall'altro, ha ben sottolineato l'esplodere della passione e della violenza, facendo emergere il privato di questa compagnia, e scegliendo mostrare il dietro le quinte del loro spettacolo, solitamente precluso allo spettatore seduto in platea, che questa avrà più informazioni di quante ne abbiano i personaggi rappresentati sul palcoscenico.
(Alberto Pellegrino)


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