La 30ª edizione della Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte di Tolentino
di Alberto Pellegrino
3 Dic 2019 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive
620 opere, 239 autori appartenenti a 46 nazioni in rappresentanza di tutti i continenti per la 30ª edizione della Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte di Tolentino (MC). Esposizione nella Sala Mari del Museo Internazionale dell’Umorismo a Palazzo Sangallo fino al 26 gennaio 2020. Primo premio ad Abele Malpiedi con l’opera Mi odio.
È dal 1961 che Tolentino è considerata a pieno titolo la capitale italiana dell’umorismo da quando il dott. Luigi Mari, personaggio di spicco della cultura cittadina, ebbe la felice intuizione di creare la prima “Biennale della Caricatura” che è subito trasformata nella “Biennale Internazionale dell’Umorismo nell’Arte”. In tutti questi anni la manifestazione è cresciuta di livello per la qualità dei partecipanti, le personali di artisti che hanno fatto la storia della satira nel mondo, per le rassegne riguardanti il fumetto, le grandi tematiche storiche o d’attualità. Per tutte queste ragioni la Biennale di Tolentino, che si appresta a celebrare i sessant’anni di vita, è diventata un appuntamento di livello internazionale per artisti provenienti da tutti i continenti e per un pubblico di appassionati che supera ormai i confini della nostra regione.
La 30ª edizione del 2019 ha registrato l’invio di 620 opere da parte 239 autori appartenenti a 46 nazioni in rappresentanza di tutti i continenti (i Paesi più rappresentati sono stati, oltre all’Italia, Belgio, Brasile, Cina, Colombia, Croazia, Francia, Indonesia, Iran, Polonia, Romania, Russia, Serbia, Spagna, Turchia, Ucraina). La giuria, presieduta dalla direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Macerata prof.ssa Rossella Ghezzi, ha proceduto a una rigorosa selezione delle opere che sono state esposte con strutture metalliche molto eleganti e funzionali nella Sala Mari del Museo Internazionale dell’Umorismo a Palazzo Sangallo.
Il Premio Internazionale “Città di Tolentino” ha scelto come tema L’odio che ha suscitato particolari stimoli creativi negli artisti partecipanti, i quali hanno fatto pervenire opere di alta qualità, fra le quali si sono distinte quelle del francese Shahrokh Heidari Sorjani, del montenegrino Luka Lagator, dei russi Marina Bundarenko e Alexander Shimidt, dell’ucraino Alexander Dubovsky, dell’italiano Giuliano Rossetti che come sempre si distingue, oltre che per l’efficacia grafica, per l’acutezza delle didascalie. Certamente è stato difficile il compito della Giuria che ha assegnato con acume critico e competenza i seguenti riconoscimenti:
Il primo premio è stato assegnato a Abele Malpiedi che ha presentato un’opera molto originale e attutale intiolata Mi odio e che raffigura un Hitler dei nostri giorni con la didascalia “Piace a 6.000.000 di persone”. Si tratta di un lavoro interattivo, per cui è possibile fare un autoritratto con lo smartphone collocando il proprio viso dietro il mezzo volto di Hitler per poi condividere la foto sulla piattaforma Instagram. L’autore ha detto che questo è un modo per “esorcizzare l’odio virtuale e non, attraverso il suo stesso mezzo di diffusione di massa. In ognuno di noi è presente quel sentimento di distruzione, sia esso latente o manifesto a livello mentale, verbale o fisico. Il personaggio rappresentato, come simbolo di quell’impulso che può portarci a commettere crimini contro l’umanità e l’ecosistema. Una sorta di “mea culpa” e di presa di coscienza per riflettere sull’impatto delle nostre azioni”.
Il secondo premio è stato assegnato al croato Mojmir Mihatov per l’opera Withour word e il terzo premio è andato al belga Constantin Sunnerberg per Hatred. Sono inoltre stati segnalati: l’italiano Pietro Gottuso per Handle with care, un lavoro inquietante e drammatico; la polacca Isabela Kowalska-Wieczorek per Racial hatred; il cinese Ning Bin con Salvation addres, un’opera di grande raffinatezza e incisività; l’italiana Francesca Leoni con Oddio, un’opera sequenziale sulla presa di coscienza della violenza che cova dentro di noi; il francese Shahrokn Heidari Sorjani con Under cover; l’italiano Andrea Simonetti con Compro odio; il colombiano con Odio persino l’insignificante, la raffigurazione di un complesso macchinario usato per schiacciare una zanzara attirata da un’esca.
Per quanto riguarda il Premio “Luigi Mari” per la caricatura, le opere esposte sono tutte di buona qualità, ma l’intera sezione dimostra, tolte anche eccezioni, come la caricatura mostri di essere un genere ancora legato alla tradizione del Novecento e che appare pertanto alquanto “storicizzato”. Manca infatti quel salto di qualità capace di rivelare una creatività innovativa capace di rifletter non tanto e non solo l’adesione al momento storico presente, ma vada alla ricerca di nuovi stilemi e di nuove forme espressive. A dimostrazione di questa nostra convinzione, consideriamo il primo premio assegnato allo spagnolo Omar Alberto Figueroa Turcios, il secondo premio e le due opere segnalate nel solco di una tradizione stilistica scarsamente innovativa. Al contrario ci sono sembrate degne di maggiore attenzione il Mahatma Gandhi del brasiliano Luciano Santos Duarte, l’Hitler del colombiano Juan Camilo Lopera Arroyave e soprattutto il Trump del colombiano Angel Ramiro Zapata Mora che ci è sembrata la più innovativa, graficamente elegante e concettualmente essenziale fra le opere comprese nella sezione caricatura.
Nel complesso si può affermare che con questa edizione della Biennale il direttore artistico Evio Hermas Ercoli ha fatto una scelta quanto mai appropriata e attuale, perché il tema dell’odio è un sentimento che purtroppo caratterizza negativamente la nostra epoca, segnando il comportamento delle nazioni e degli individui, inquinando la politica, le relazioni sociali, persino le religioni, la comunicazione sui mass media tradizionali e sui nuovi media, che spesso finiscono per essere al di fuori di ogni controllo e diffondono questo virus a livelli planetari.
Nella Rete la violenza verbale finisce per contagiare uomini e donne di ogni estrazione sociale e, grazie all’anonimato, il cyberbullismo straripa in modo esponenziale trasformando la natura stessa dei social network che sono nati come luogo di libero scambio. Al di là di una funzione catartica, ipotizzata da alcuni psicologi e psicoanalisti, l’odio finisce per sfociare nel razzismo, nella xenofobia, nell’antisemitismo, nel rinascente nazifascismo, nel culto della violenza esercitata contro pretesi nemici ideologici e soprattutto contro le donne più che mai soggette a insopportabili manifestazioni di machismo. In questa Biennale la satira si è interrogata sui sentimenti che sono alla base dell’odio senza falsi pudori e senza le ipocrisie del politicamente corretto. La satira infatti, pur con tutti i suoi limiti derivanti dal mare magnum della comunicazione, ha sempre una connotazione e una rilevanza politica, rimane un simbolo di libertà espressiva. Essa opera un rovesciamento di alcuni principi dominanti, diventa invettiva contro i potenti di turno, contro le mode, le deformazioni ideologiche e comportamentali del momento, diventa capace di rappresentare una critica e una condanna morale in questo caso dell’odio di massa; non strappa una risata ma al massimo un sorriso, perché mira a risvegliare la coscienza e la mente di quanti la osservano, costringendoli a leggere con più consapevolezza e responsabilità i messaggi che vuole trasmettere.