Intervista all’attore e regista Giulio Pizzirani


a cura di Francesca Bruni

13 Dic 2023 - Approfondimenti cinema, Interviste

La nostra collaboratrice Francesca Bruni ha intervistato per noi Giulio Pizzirani, attore e regista teatrale, figura icona dei film di Pupi Avati e non solo.

Proponiamo l’intervista a Giulio Pizzirani, attore e regista teatrale, figura simbolo del cinema di Pupi Avati, che ha saputo dare al nostro paese grande lustro ed ancora, tutt’oggi, continua a regalare grandi emozioni con le sue straordinarie interpretazioni.

Avvertiamo i nostri lettori che il testo è stato trascritto dall’intervista effettuata telefonicamente e adattata senza revisione dell’intervistato.

INTERVISTA

D. Quando ha scoperto la passione per la recitazione? E il suo primo incontro con Pupi Avati?

R. Andiamo indietro nel tempo, ho iniziato molto presto, sì, proprio a 20 anni. Con il teatro universitario, poi c’era a Bologna il teatro sperimentale, per cui eravamo io, la Piera degli Esposti, non so se ricordi il nome, e Il Dani Carina, purtroppo non ci sono più. Sono entrato presto nella professione con un mio primo spettacolo che era “Il Passatore”, un bandito romagnolo. Che era fatto da Gino Quecker, l’aiuto regista del Piccolo Teatro di Milano, assistente di Giorgio Strehler. Quindi con questo spettacolo debuttammo a La Fenice di Venezia. Da lì sono andato avanti, insomma in professione ho sempre lavorato con tutti i teatri stabili italiani. Nel cinema quasi sempre con Avati. Anche perché abbiamo iniziato assieme proprio quando facemmo il nostro primo film (“Thomas e gli indemoniati” n.rd.r.). Mi ricordo Avati, poi faceva il Jazzista, clarinettista. Ci incontrammo perché in questo primo spettacolo che feci appunto debuttando a La Fenice di Venezia, c’era bisogno di musicisti. Tra questi tre musicisti, c’era pure Avati che suonava il clarino nello spettacolo, poi da lì in poi siamo sempre rimasti amici e così ci ritrovammo e pensò di fare un film. Naturalmente io lo assecondai e da lì poi nei suoi primi film nel casting ci sono sempre stato io perché lui non conosceva nessuno.

D. Come è nato il personaggio di Antonio Mazza nel film “La casa dalle finestre che ridono”?

R. Sì, i personaggi non è che nascono, sono scritti in una sceneggiatura e quindi si interpretano. Poi la nascita del personaggio la crea lo sceneggiatore, il regista. Un attore interpreta il personaggio, non sta a me dire come è nato. In quei film io finivo, eccetto i primi, in “andata e fuga” proprio perché ero sempre impegnato in teatro. Mi ricordo anche che quando facemmo credo sì, forse “La casa dalle finestre che ridono”, in quella scena in cui siamo sotto il portico, dove stiamo mangiando, forse io e il Lino Capolicchio, ecco, io ero a Roma che stavo recitando, nel “Giulio Cesare” di Shakespeare e per poter fare quelle 2, 3 pose, andavo avanti e indietro da Roma a Bologna. Quindi dovevo fare queste andate e indietro abbastanza frettolose. Io dicevo comunque di darmi poco da fare, perché non ero disponibile. Ecco perché la morte, la morte nei personaggi che facevo io c’è sempre. “Fammi morire perché non ho tempo…!! Perché purtroppo sono impegnato”. Il teatro poi, non è che ti impegni a pezzi, il teatro ti impegna tutti i giorni, per mesi. La disponibilità che davo era sempre il lunedì, ché di solito il lunedì in teatro non si lavora. Allora dicevo mettimi un lunedì che io faccio un’andata e ritorno.

D. Quanti giorni sono durate le riprese e se può raccontarmi qualche aneddoto significativo?

R. Dunque, i giorni di ripresa di solito sono 50, credo, non più di due mesi.

D. Ricorda qualcosa del periodo durante le riprese?

R. Ma quando si fa un film il feeling è abbastanza bello. Sempre significativo. Non mi viene in mente, perché erano tutti quanti significativi, è quel momento lì che devi filmare, quelli non significativi non li filmi, fai un altro ciak.

D. All’uscita del film nelle sale cinematografiche si aspettava un successo così importante?

R. Io non me l’aspettavo, no, difatti poi è venuto nel tempo questo successo. Non sono mai stato presente alle prime dei film per via di quello che le ho detto, dei miei impegni. Però questo successo esiste pure adesso. La specificità di Pupi è stata quella sempre di spaziare nei generi, non si è mai fermato su un genere solo, ma li ha voluti navigare tutti, arrivando fino all’ultimo a Dante Alighieri. Negli ultimissimi film lavorava a Cinecittà, però le ambientazioni erano tutte reali, anche perché costavano meno. Non c’era da costruire. La casa che si trovò ricordo… venne dipinta per questa bocca che viveva sulla facciata… Sì, ma chiaro che stiamo parlando veramente adesso di esperienze particolari, non tanto delle “finestre che ridono”, ma quando facemmo “Tutti i defunti tranne i morti”. Sì, anche lì, naturalmente dovevo morire. Da contratto, io devo morire. E mi ricordo che la mia morte fu fatta, che mi mettevano in una bara. Dopo avermi messo nella bara, naturalmente la bara veniva chiusa e quindi la mia grande angoscia! Poi lavorando con degli amici naturalmente attenzione, non fate gli stronzi, subito dopo la prima inquadratura, aprite subito. La la… quella li, la bara! No, perché ci poteva essere un po’ di scherzo e magari aspettavano ad aprire… quando si lavora con gli amici, può succedere. “Non fatelo eh! Mi viene un infarto, lì dentro”. Pensa… entrare in una barra non è piacevole!

D. Nei vari personaggi che lei ha interpretato nei film di Pupi Avati, a quali si sente più legato?

R. Mah!  più legato…  era uno sceneggiato televisivo molto bello, che era “Jazz band”. Lo ricorda? Ecco il personaggio di “Jazz Band”, mi è piaciuto molto farlo.

D. Nel 1993 ha recitato nel film Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara. Mi può raccontare di quell’esperienza?

R. Sì, è stata un’esperienza molto breve. Ricordo che con un mio amico col quale eravamo in teatro, Fernando Pannullo, che poi dopo lo presi in tanti altri film fatti con Avati, gli fu chiesto di farsi vedere da Ferrara per il personaggio mafioso nel film su Giovanni Falcone, e mi disse, vieni anche tu. Lui, Fernando non era adatto fisicamente, per fare il personaggio di Buscetta. Non lo presero per fare Buscetta, però io ero presente, Ferrara mi guardò e disse “ma tu sei disposto a farmi uno dell’antimafia…? Assieme a Placido e Giannini”, e feci questo personaggio sempre così capitato per caso, solo perché ero capitato lì, e quindi… Mi guardava… “perché tu sei adatto a fare questo personaggio. Lo vuoi fare? Ti prendo… Beh, son qua. Certo”.

D. Quanto è stato difficile cimentarsi nel ruolo di Dante nel film omonimo, diretto da Avati, uscito nel 2022.

Ma difficile no, perché non lo so… Io, presuntuosamente, quando lavoro non trovo quasi niente difficile. Perché ci si prepara e quindi non si trova niente di difficile. Naturalmente dissi a Pupi, ma perché io, no? Cosa c’entro io con Dante? E lui mi disse: “ma perché faccio il Dante giovane, con lo Sperduti”, e ci voleva vedere assieme e poi dopo naturalmente truccandosi con il naso finto alla Dante così…, tanto non era un impegno molto grande, però era sempre Dante nel film “Dante”. È importante il nome non tanto lo spazio che si ha nel film… tu che fai nel film…faccio Dante, non faccio un’apparizione.

D. L’amore per il teatro, com’è iniziato?

R. E…gliel’ho detto, ho iniziato subito quando ero giovane. Con teatro universitario, con teatro sperimentale. Mi piaceva, andai e cominciai a fare tante cose, poi dopo si interessarono a me, allora a Bologna e mi volevano dappertutto, mi volevano al teatro sperimentale, al teatro universitario e io mi districavo da uno all’altro. Poi, naturalmente non potendomi bastare quello lì perché la mia idea era di farlo di professione… con quei teatri lì non era una professione. E quindi, quando naturalmente nacque il Teatro Stabile di Bologna, che era un’appendice più piccolo del teatro di Milano, e si fece questo spettacolo, appunto “Il Passatore”, mi presentai anch’io e mi presero. Era quello appunto che abbiamo fatto alla Fenice di Venezia. 

D. Mi può parlare della sua compagnia teatrale Teatro in Controluce?

R. Sì, non dò più quel titolo, perché poi adesso se faccio delle cose lavoro appoggiandomi ad altri perché ho speso tanti soldi avendo questa associazione che adesso mi appoggio a qualcun altro; però faccio cose mie, naturalmente non guadagnando, ma grazie a Dio ho fatto una carriera per cui  non ho più tanto bisogno di guadagnare; poi sono in pensione, per cui lo faccio per la mia gioia, per la mia voglia, perché naturalmente prendo attori che non sono quasi mai professionisti, ma che preparo io perché ho fatto anche scuola di recitazione in vari spazi. Faccio queste cose perché sono anche belle, sono molto belle. Il teatro è importante, dovrebbe essere importante. Metterlo come disciplina nelle scuole. Un’ora a settimana si potrebbe fare come fanno educazione fisica, religione, teatro… E poi il teatro è sociale, la compagnia di teatro non è come il cinema. No, io per esempio in “Dante” non ho lavorato con nessuno, ero sempre da solo, solamente nelle ultime scene, quelle in cui siamo in esterni, sulla carrozza, sono su questo carro e c’era Mariano Regillo con me che ha fatto un giorno, ma altro l’ho fatto da solo. Sì, in teatro invece, si ha una compagnia e assieme si fanno le prove. E nel cinema, almeno con Pupi Avati, poi nella mia esperienza che non sono state grandi nel cinema, non si prova. All’estero si fanno le prove a tavolino anche per il cinema. In Italia non si fanno le prove. Poi, il grande cinema, che ha fatto Bergman, ha fatto le prove proprio a tavolino, si mettevano lì, facevano i personaggi e poi dopo facevano i filmati, però erano prove, come fosse nel teatro. Poi naturalmente girava per il film. Ma le prove si facevano. Oggi, invece, per fare un film vai lì, dici le tue battute poi… te ne va bene una, no, va bene… ne facciamo un’altra.

Pizzirani al lavoro come regista

D. A quale autore si ispira per i suoi spettacoli teatrali?

R. Ah, dunque il mio riferimento è sempre Bertolt Brecht. Qualsiasi spettacolo che io possa fare lo faccio sempre riferendomi a Bertolt Brecht, proprio come impostazione di regia e non sono spettacoli naturalistici, c’è sempre questo rapporto epico con uno sguardo sul pubblico. Per cui mi piace, poi dopo ci sono tanti autori che seguo. Per esempio, io adesso sto preparando i sonetti di Shakespeare. Però in maniera teatrale, non detti e recitati semplicemente ma mossi, cantati con una ballerina, dialogati, addirittura. Mi sono riferito, per questo, a Bob Wilson, che fece sonetti di Shakespeare e sono visibili in televisione, su Youtube. Bob Wilson. Sono fantastici!

D. Ma lei viene anche in Toscana a fare qualche spettacolo?

R. Ma io ho girato il mondo, l’Italia quasi tutta da Canicattì. Adesso no, adesso facendo le mie cose giro qua attorno. Anche perché non lavorando con attori professionisti non possono dare la disponibilità per girare. Anche se poi gli spettacoli li preparo abbastanza bene; anche questi attori, per poter fare spettacoli, hanno una parvenza professionale.

D. Secondo lei che ruolo ha l’Arte nel contribuire a rendere la vita di ciascuno più significativa?

R. Allora, chiedendolo a me, io dico assoluta, però è una domanda che non si può fare a uno che l’Arte la pratica.

D. Ah, OK, perché?

R. Uno che la fa dice sì, l’arte è un riferimento totale, che dovrebbe essere totale per chiunque. Naturalmente, però non tutti si avvicinano all’arte. Per conoscere se stessi, senz’altro. Io, poi, mi sforzo anche, a parte il fatto dell’arte drammatica, del teatro e del cinema, vado a vedere delle mostre, seguo molto l’arte figurativa. Infatti, quando metto insieme uno spettacolo, mi riferisco sempre a un quadro, guardo un quadro e dico questo quadro potrebbe essere un bel riferimento per mettere su uno spettacolo. Ognuno ha i propri riferimenti.

D. Lei ha mai visto qualcosa di performance art, tipo di Marina Abramovic? Non so se la conosce.

R. La seguo, però non ho mai visto Marina Abramovic. Ecco, la seguo su YouTube.

D. Cioè le piace questo tipo d’arte?

R. Dell’Arte mi piace tutto, anche quando non lo capisco. Assolutamente, tutti, anche quando Christo che faceva le sue cose cellofanando tutti i monumenti, eccetera. È chiaro che non è un mio riferimento preciso, però mi piace sapere che esiste anche quello. Ci sono tante cose in Arte che mi interessano, che mi piacciono anche quando non le capisco; una cosa, per esempio, che mi piace moltissimo è ascoltare la musica. Tutti i tipi di musica, il Jazz, soprattutto, ma anche la musica classica, sinfonica, ma poi divento ridicolo, a volte quando dico, allora il direttore d’orchestra, e faccio ridere pure i miei amici, per me è uno che si agita davanti a 30, 40 persone che suonano e non lo guardano. Io capisco la funzione del direttore d’orchestra che prepara i musicisti, ma quando va a dirigere nessuno lo guarda e lui dirige dicono è un grande direttore d’orchestra. Ecco, lì nonostante la mia vecchissima età, non sono ancora riuscito a capirlo questo. Invece quando vedi in televisione Riccardo Muti che fa le tue lezioni, lo trovo straordinario perché sono veramente lezioni e capisci cosa dice ai musicisti, come li guida, ma poi quando è sul palco che li dirige, e lui insegna anche ai direttori d’orchestra come dirigere; però io non riesco ad arrivare al fatto… Vorrei essere un musicista, ma non so suonare niente, ed essere lì. Ma sono osservazioni di un incompetente perché naturalmente ha la sua ragione, ché ci sia il direttore d’orchestra…Quando fai uno spettacolo di teatro c’è il regista, ma quando tu reciti in palcoscenico il regista non c’è più.

D. Che emozioni ama trasmettere al pubblico?

R. Non so se è un’emozione, mi piace farmi capire. Piace farvi capire e io, grazie a Dio, con una dote che riesco a farmi seguire mentre recito, parlo sempre del teatro e che il cinema è un’altra cosa. In palcoscenico ho una dote, se vogliamo, che è quella che quando io parlo il pubblico mi segue, so come farmi seguire.  Difatti la mia carriera, grazie a Dio l’ho fatta anche per quello. Ci sono gli attori un po’ modesti che sono lì in palcoscenico passano, girano, parlano, ma nessuno li segue. Purtroppo, la comunicazione è diventata fredda, ma poi anche si vede tanta televisione. Non si capisce più come parlano. Quando vedo queste cose in televisione capisco la metà di quello che dicono, non c’è questa preparazione al linguaggio. Comunque, invece, trovo quasi sempre bravi i doppiatori italiani, i film doppiati sono doppiati molto bene. I doppiatori sono molto bravi. Perché proprio anche ieri sera stavo guardando un film di Ridley Scott su Gucci. Doppiato benissimo con attori meravigliosi, con questa Lady Gaga, attrice meravigliosa. Non l’ho mai seguita come musica disco ma in cinema è bravissima, straordinaria, diretta, forse, anche straordinariamente. Però proprio brava lei.

D. Attualmente sta lavorando a nuovi progetti?

R. Sì, sto appunto portando avanti questo spettacolo che voglio fare sui sonetti di Dante. Naturalmente mi mancano delle persone, voglio farlo con 5 attori e una ballerina. Mi mancano due o tre attori perché ci vogliono degli attori, non ci vogliono dei dilettanti, quindi è difficile.

La ringrazio tanto per la sua disponibilità.

Tag: , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *