Intervista alla cantautrice Pamela Guglielmetti
a cura della Redazione
9 Nov 2023 - Approfondimenti live, Interviste
Abbiamo intervistato la cantautrice canavesana Pamela Guglielmetti durante le prove per la presentazione dell’ultimo album “Aleph”, uscito recentemente. La ringraziamo per la “generosità” con cui si è raccontata.
Questo è il tempo degli esami, chissà se sono pronta!
Siamo riusciti a contattare Pamela Guglielmetti in uno degli intervalli delle prove della presentazione di “Aleph”, il suo ultimo lavoro in studio, appena uscito per La Stanza Nascosta Records del produttore Salvatore Papotto.
L’appuntamento per ascoltare dal vivo l’artista canavesana è sabato 18 novembre, alle 21, a Cuorgnè (TO). Il concerto-lancio del disco (che vedrà una alternanza di parole e musica, con una forte impronta teatrale) è curato da Disco Vintage.
La cantautrice sarà accompagnata da Andrea Nejrotti e Gian Paolo Guercio, con la partecipazione del co – autore dei brani Franco Tonso. La formazione Nejrotti/Guercio è quella ufficiale anche per le date del tour.
D. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo progetto discografico, “L’eco dei mondi perduti”: undici tracce in cui invita, tra musica e parole, a scavare dentro se stessi, per ritrovare “i mondi perduti” tralasciati o sacrificati. Quali sono i suoi personali “mondi perduti”?
R. I “mondi perduti” ai quali il mio primo album si riferisce sono tutti gli ingredienti di noi più autentici che abbiamo sacrificato. Il mio primo progetto già introduceva alla riscoperta di se stessi, riconoscendo ciò che è davvero nostro, da ciò che non lo è. I miei mondi perduti sono tutte le parti di me autentiche che per una vita hanno chiesto attenzione. Molto spesso l’esistenza che costruiamo non è a nostra immagine e somiglianza, ma una stratificazione di “finti noi”. È un fenomeno innato nell’essere umano. Siamo alla eterna scoperta di noi stessi e se abbiamo consapevolezza dei condizionamenti che facciamo nostri sin dalla tenera età, arriviamo alla scelta di iniziare a disidentificarcene. Per imparare a “stare nel mondo” ci adeguiamo a scelte, persone, situazioni, lavori, spesso dimenticando chi siamo. Rivendicare la propria vera natura, in questa società, è un atto di estremo coraggio, sempre di più; essere sé stessi e mostrarlo al mondo richiede una forza ed una centratura che costano molto, perché la verità emerge passando attraverso dolori, scelte, prese di posizione, rinunce.
Io ho vissuto una prima parte della mia vita divisa a metà: sapevo che determinate cose non erano per me, ma mi obbligavo a soddisfare le esigenze di altri, in ogni ambito. Se dove vieni inserito stai a tuo agio e non ti poni mai domande, puoi andare avanti ad oltranza senza mai incontrare chi sei. Se sei fortunato inizi a farti quesiti esistenziali quando il tempo inizia a scivolarti tra le mani. Io per conoscere me stessa ho provato a muovermi in ogni dove, cambiando luoghi, impieghi, mettendomi alla prova e soffrendo molto. L’unico mondo che non ho mai perduto è stato quello artistico/espressivo. A quattro anni sapevo cosa mi faceva sentire “viva” e ho lottato sempre per non perdere quel pezzo autentico di me. Per il resto, ho sbagliato, cambiato strade, sofferto, e scelto, scoprendo una Pamela per certi versi complessa, per altri più semplice di quella che credevo essere. Il più grande dolore è stato capire che non avrei mai potuto omologarmi, mai, ma quel grande dolore ha determinato anche le mie forze e le mie risorse. Un mondo interiore che ho dovuto avere il coraggio di riscoprire e legittimare? La mia fragilità. Per decenni ho interpretato il ruolo di chi superava tutto, di chi lottava e non aveva bisogno di nessuno. Ad un certo punto ho dovuto ammettere il mio lato fragile a me stessa e accoglierlo, e poi avere il coraggio di mostrarlo agli altri. Oggi considero la fragilità una delle cose più vere e meravigliose possano esistere.
D. Con l’Archivio Storico Olivetti nel 2004 ha recuperato le memorie di una delle massime esponenti della psicoanalisi italiana Luciana Nissim Momigliano (in particolare sulla sua prigionia nei lager nazisti), ridandole voce in “Una Vita”, spettacolo rappresentato nel 2015 al Teatro Franco Parenti di Milano e in numerose altre repliche. Che ricordo serba di questo spettacolo?
R. Quando mi occupavo prevalentemente di teatro, amavo moltissimo ricostruire storie attraverso documenti e fonti archivistiche. Il delicato compito di ricostruire la vita di Luciana Nissim mi era stato commissionato dall’Archivio Storico Olivetti stesso nel 2011. Quel progetto è stato tra quelli che ho amato maggiormente, perché mi ha dato la possibilità di crescere umanamente e incontrare lati di me che vibravano in assonanza con aspetti di Luciana. Quando ero sul palco, riuscivo quasi a dimenticarmi di stare interpretando un ruolo. Ho imparato a conoscere quella donna in profondità, perché è stata una persona speciale in grado di comunicare con l’anima. Come sempre, le grandi persone sono quelle che intraprendono grandi opere in punta di piedi. Ricordiamo che Luciana Nissim ha dato un grande contributo a quella che è divenuta la psicoanalisi contemporanea, anche se è sconosciuta ai più. Per me, raccontare la sua storia è stata una occasione unica di mostrare come fosse possibile trasformare un dolore di proporzioni gigantesche in un magnifico strumento per aiutare gli altri. L’amico Primo Levi, con il quale Luciana era stata deportata, non sopravviverà a quel dolore, lei invece lo trasformerà fino alla fine. La prima versione di questo spettacolo era nata in un contesto semplice, lo avevo proposto in reading. Da lì in poi, si è messa in moto una macchina inarrestabile che mi ha portata a conoscere Alessandra Chiappano, colei che si era occupata di dare luce agli scritti di Luciana ripubblicandoli. La Dottoressa Chiappano aveva assistito ad una mia rappresentazione ed era rimasta molto colpita. Mai mi sarei immaginata di ritrovarmi dopo qualche anno al Teatro Franco Parenti di Milano per volere della Società Italiana di Psicoanalisi, del Centro Milanese “Cesare Musatti” e del Gruppo di ricerca Traumi e tragedie collettive. Mi trovavo a dare voce a Luciana per desiderio delle stesse importanti realtà di cui lei aveva fatto parte. Il mio spettacolo apriva una giornata importantissima che trattava, tra i tanti, il tema dei retaggi genetici ereditati dai discendenti delle vittime di tragedie collettive. Mi ha cambiato la vita. Resto colpita di fronte alla domanda postami, perché proprio oggi questo spettacolo è diventato testimonianza eterna: ho appena ricevuto una e-mail dal centro milanese, che mi informa dell’avvenuta pubblicazione della raccolta delle attività che lo stesso ha curato negli anni per preservare “la memoria”; tra queste c’è il mio lavoro con documentazione fotografica e narrata.
Aggiungo una curiosità: questo spettacolo ha segnato una svolta artistica: qui ho iniziato ad inserire momenti cantati che, successivamente, hanno sempre più preso spazio nelle mie creazioni.
D. Dopo dieci anni di carriera un imprevisto problema di salute l’ha costretta ad abbandonare la danza. Ma lei è riuscita a trasformare la “sfortuna” in opportunità, giusto?
R. Nel 2009 la mia vita è cambiata. Una scossa di terremoto ha fatto crollare l’intera struttura in pochi secondi. In modo inaspettato ho scoperto un problema che, sulla carta, avrebbe dovuto avere esiti diversi, secondo i medici non avrebbe fermato la mia attività, invece lo ha fatto. È stato un trauma doppio. Avevo solo due scelte: crollare, oppure reinventarmi. Durante la mia formazione di lavoratrice dello spettacolo mi sono qualificata su più discipline e senza esprimermi non riuscivo a stare. Il recupero è stato lento, ci sono voluti anni, ma passata la fase più dura ho iniziato a potenziare l’ambito teatrale. In questo momento mi commuovo perché senza volerlo, mi avete fatto due domande profondamente collegate: io sono rinata in una nuova forma artistica proprio lavorando alla storia di Luciana Nissim. Per questo devo moltissimo alla opportunità che mi è stata data. Non sapevo che quel lavoro avrebbe segnato una rinascita progressiva che mi avrebbe trasformata in quello che sono oggi. Sapevo solo che amavo follemente esprimermi, raccontare, diffondere messaggi e storie, raccontare e cantare, infondere emozioni nei cuori delle persone, creare un ponte tra i mondi. Gli ultimi quattordici anni sono stati molto duri, la rinascita è stata lunga e piena di stop, cambi rotta, sfide, e non è ancora finita. Questo è il tempo degli esami, chissà se sono pronta!
D. Nel 2020 ha visto la luce “Frammenti”, “un disco d’istinto”, si legge nel suo sito ufficiale. Vuole parlarci della sua gestazione?
R. Il mio secondo album “Frammenti” è nato tra il febbraio e il maggio del 2020. È stato iniziato in un modello di mondo che ci ha accompagnati sino all’inizio di quell’anno, per poi essere interrotto da mesi che non scorderemo mai, e ripreso in un mondo totalmente trasformato, con fardelli emotivi collettivi emersi come la lava di un vulcano in eruzione. Rimettere mano ad un progetto interrotto e riaffacciarvisi totalmente cambiati interiormente non è stato semplice, ne è uscito un risultato acustico, molto “ruvido”, che lascia fortemente percepire gli strappi interiori ed esteriori che lo hanno avvolto. Non è un lavoro riuscito, a mio parere. Non è virtuoso, non è finemente curato, ma è una testimonianza di un pezzo di storia di tutti. Considero questo disco un ponte, che mi ha permesso di capire maggiormente cosa volevo davvero esprimere da quel momento in poi, ed in che modo.
D. Rispetto al precedente “Cammino Controvento”, a livello di sonorità, ritiene che il “nuovo nato” “Aleph” segni una virata stilistica?
R. Assolutamente sì, e credo che chiunque lo ascolti lo possa affermare, lo può fare anche un orecchio semplice. I suoni sono qualcosa di assolutamente inedito.
In realtà il mio primissimo album “L’Eco dei Mondi Perduti”, viaggiava già su sonorità sperimentali ed ambientazioni oniriche. Era un primo esperimento per cercare di rappresentare i miei panorami interiori. “Frammenti” ha seguito, come dicevo, un percorso quasi obbligato dall’urgenza del momento. “Cammino controvento” è stato il primo album di senso, con una struttura ben delineata che prediligeva il suono “vivo”, acustico, ma reso poetico. Le atmosfere dei miei brani hanno già dalle prime bozze una natura intimistica ed onirica, e richiamano per natura una comunicazione evocativa che può rivolgersi anche ai sensi ed alle emozioni. “Aleph” è il risultato a cui sono approdata portando con me ciò che ho sentito funzionare e risuonare meglio di queste precedenti sperimentazioni. Lo dico sempre, non amo definirmi, ogni lavoro pubblicato è stata la tappa di un percorso mutevole di ricerca a trecentosessanta gradi, anche se il nuovo lavoro lo sento finalmente una mia estensione. In “Aleph” sento finalmente me stessa, sia nelle prime versioni piano/voce, sia in quelle definitive arricchite di un lavoro magistrale di arrangiamento. A Salvatore Papotto ho dato carta bianca. È nata da subito una sinergia artistica: sapevo che lui riusciva a entrare in ogni mio testo e aveva il talento e la sensibilità di tradurlo in suono, e lui sapeva che poteva avere ampio movimento. Quindi posso dire che la scelta stilistica è nata da sé in modo del tutto spontaneo durante le fasi di lavoro e non a tavolino. È stato un incontro non cercato, si è manifestato secondo una regia “superiore” per pura sincronicità. Io ho semplicemente scelto di dire “si”, in un momento in cui stavo decidendo di abbandonare tutto a causa di anni troppo provati in cui gli artisti, ma soprattutto gli autori, non riuscivano a trovare più collocazione ed erano sempre più lontani dal miraggio del poter vivere di questo lavoro. Tengo a precisare che questo è un lavoro che, fatto in un certo modo, chiede tante energie e l’investimento di molto tempo e cura, non può essere un hobby, o un secondo lavoro, chi lo fa seriamente lo sa bene.
D. C’è già una presentazione live in programma?
R. Sì, c’è stata una presentazione in prima nazionale domenica 5 novembre al Salone Internazionale del Vinile, della Radiofonia e del Collezionismo a Cuorgnè (TO) (un evento a cura dell’Associazione Disco Vintage). Sono stata ospite nello spazio “Music talks” alle 10,30, abbiamo parlato di “Aleph” e del mio lavoro artistico.
Parlando invece di “prima” live, sabato 18 novembre alle 21 ci sarà il concerto lancio, sempre a Cuorgnè (TO) e sempre curato da Disco Vintage. Sarò accompagnata da due grandi professionisti: Andrea Nejrotti e Gian Paolo Guercio, con la partecipazione del mio co – autore Franco Tonso. La formazione Nejrotti/Guercio è quella ufficiale anche per le date del tour.
D. Secondo lei l’ha fatta crescere maggiormente, a livello artistico, lo studio o l’esperienza del palco?
R. Senza alcun dubbio la seconda. Lo studio è necessario, ma poi va integrato con le esperienze vissute. Io, in tutto quello di cui mi sono occupata, ho studiato facendo mio ciò che mi era utile, poi ci ho messo vita, esperienze, sentimenti e cuore. Il mio lavoro artistico si basa per prima cosa sulle esperienze, e intendo tutte! L’artista di oggi è questa grazie a tutto quello che ho attraversato: le arti visive, la pittura, la danza, la fotografia, la moda e la costumistica, l’insegnamento, il contatto con le persone, le gioie, i dolori e tanto altro, oltre il palcoscenico. È come se avessi vissuto venti vite in una, in certi casi per scelta, in altri per destino, ma ho fatto tesoro di tutto ed è tutto in me. Se avessi fatto dello studio virtuoso il mio obiettivo, non sarei sicuramente l’artista di oggi. Sono scelte, non esistono strade più giuste di altre. Io al virtuosismo preferisco la verità, l’intensità, l’emozione reale, l’imperfezione portata dal sussulto del cuore. Se devo scegliere tra controllare una emozione vera per ottenere un vocalizzo ineccepibile ed esprimere un sentimento anche se questo comporta un suono che trema, scelgo la seconda strada.
D. La cantautrice con la quale vorrebbe collaborare?
R. Amo molto Alice, da sempre. Ma in realtà il mio sogno di collaborazione è con un artista che ritengo una delle perle rare della musica italiana, un poeta. Sarei davvero felice di poter collaborare con Sergio Cammariere.
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