Intervista al Maestro Claudio Simonetti


a cura di Francesca Bruni

19 Gen 2024 - Approfondimenti live, Interviste

Abbiamo raggiunto telefonicamente il Maestro Claudio Simonetti che ci ha concesso questa approfondita intervista. Il famoso autore delle più belle colonne sonore dei film di Dario Argento si è raccontato, per Musiculturaonline, a Francesca Bruni.

(Tutte le foto sono state concesse gentilmente dal musicista)

Claudio Simonetti, figlio di Enrico Simonetti, è conosciuto per aver composto molte colonne sonore di pellicole italiane e americane, tra cui i film di Dario Argento “Profondo Rosso”, “Suspiria”, “Phenomena”, “Opera”, “Non ho sonno”, “Il cartaio”, “La terza madre”, “Dracula 3D”, nonché di “Zombi” e “Wampyr” di George A. Romero. Attualmente in tour in Italia con i Claudio Simonetti’s Goblin ci ha concesso l’intervista che vi proponiamo.

INTERVISTA

D. Nel 2024 tuo padre Enrico Simonetti avrebbe compiuto cent’anni. Raccontami di lui e del vostro rapporto.

R. Con mio padre ho avuto sempre avuto un bellissimo rapporto, anche se, a causa del suo lavoro, non lo vedevo molto spesso. Comunque, grazie a lui, ho imparato a stare e crescere in questo ambiente fin da bambino. Grazie a lui ho conosciuto Carlo Bixio che era uno dei più importanti editori musicali. Bixio aveva anche una casa discografica, la Cinevox Record, della quale faceva parte anche come artista. Carlo Bixio ci fece un contratto discografico e fu proprio grazie a lui che conoscemmo Dario Argento al quale propose di farci fare la colonna sonora di “Profondo rosso”. Mi fece studiare musica fin da piccolo e credo mi abbia trasmesso tutta la sua musicalità. Purtroppo, ci ha lasciati a soli 54 anni quando io ne avevo 26. È stata comunque una figura molto importante per me, anche come persona da seguire e imitare.

Claudio col padre Enrico Simonetti

D. Quando è stato il tuo primo approccio con la Musica?

R. Quando sono nato eravamo in Brasile, dove mio padre era già molto famoso. sono cresciuto e stato sempre in mezzo alla musica. Mio padre mi fece studiare il pianoforte all’età di 8 anni fino a quando decise di tornare in Italia e ripercorrere lo stesso successo che aveva avuto in Brasile., cosa che avvenne quasi subito. Avevo 11 anni allora e avevo abbandonato lo studio del pianoforte un anno prima ma poi, verso i 12/13 anni, mi riavvicinai alla musica, grazie soprattutto ai Rolling Stones, ai Beatles, ai gruppi o complessi, come li chiamavano all’epoca. Però le tastiere non c’erano molto in quei gruppi e quindi scelsi di suonare la chitarra, poi un po’ la batteria ma successivamente, ascoltando gruppi importanti come i Procol Harum (quelli che fecero “A whiter shade of pale”, una vera pietra miliare della musica di quegli anni, che aveva un’intro meraviglioso suonato con l’organo Hammond), decisi di rimettermi a suonare il pianoforte e le tastiere dopo che mio padre mi regalò il primo mitico organo Farfisa dicendomi: “guarda che se vuoi fare il musicista lo devi fare seriamente…”. Così studiai pianoforte e composizione al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Contemporaneamente, suonavo anche con vari gruppi, gruppetti e coi complessi dell’epoca. Insomma, mi sono fatto un po’ le ossa, oltre che nella scuola, anche col suonare nelle cantine. Ecco, e da lì la mia carriera iniziò, poi, tra i vari gruppi che avevo fino ad arrivare ai Goblin.

D. Con quale band hai suonato agli esordi?

R. All’epoca suonavo veramente con tanti gruppi, andavamo a suonare addirittura nei locali, facevamo pure i locali da ballo, i famosi “Night” dell’epoca che non erano quelli di oggi. Però il mio primo gruppo importante, prima dei Goblin, è stato Il Ritratto di Dorian Gray, Il gruppo col quale poi partecipai anche al Festival POP di Caracalla (allora il termine PROG ancora non esisteva), che era una specie di Woodstock italiano. Poi dopo purtroppo ho dovuto interrompere con loro perché dovetti partire a fare il militare.

E quindi nel periodo del militare che è andato da ‘72 al ‘73, frequentavo Massimo Morante, un chitarrista con il quale feci dei provini nei momenti in cui ero libero dal militare e il nostro scopo era quello di formare un gruppo e andare a Londra a presentare la nostra musica. Finito il militare chiamammo il bassista Fabio Pignatelli e insieme a un altro musicista/batterista, che si chiamava Carlo Bordini, partimmo per Londra. E a Londra siamo stati fra una cosa e l’altra quasi un anno cercando di suonare un po’ qua, un po’ là. Però non era facile, perché a Londra il Prog non era una musica di molto popolare. Era sempre una musica di nicchia anche lì.

Nel frattempo, registrammo dei nuovi provini con un cantante americano che viveva a Londra, Clive Haynes e tornammo in Italia dove, appunto, conoscemmo Carlo Bixio, grazie a mio padre. Carlo Bixio decise di farci un contratto e ci fece registrare il nostro album. Durante la registrazione di quell’album, Dario Argento che lavorava con Bixio come editore musicale, voleva un gruppo rock per fare la colonna sonora di “Profondo rosso” e aveva pensato ai Genesis, Deep Purple e ai Pink Floyd. E invece Bixio disse, “guarda, ascolta questi ragazzi che sto producendo…”. Dario Argento venne in studio e ascoltò la nostra musica e decise di farci fare le musiche di “Profondo Rosso”. Una scelta molto fortunata visto il grande successo della colonna sonora che ha venduto più di 4 milioni di copie.

L’album che stavamo registrando prima di “Profondo Rosso” uscì con il nome di “Cherry Five” anche se il nome iniziale del gruppo doveva essere “Oliver”. “Cherry Five” è un album molto quotato perché ne stamparono solo 500 copie e quindi per questo oggi è introvabile. Il disco fu ristampato varie volte ma l’originale è uno dei dischi più quotati tra i collezionisti. E questa fu la nostra storia, brevemente.

D. Come nasce il gruppo degli Oliver?

R. Quando andammo in Inghilterra ci chiamavamo Oliver. Perché uno dei nostri brani cantati si intitolava appunto Oliver. Durante la registrazione del disco il batterista Carlo Bordini lasciò il gruppo sostituito da Walter Martino. Walter Martino era il figlio di Bruno Martino, il cantante famoso degli anni 60/70; con lui registrammo la colonna sonora di “Profondo rosso”. La casa discografica per diversificare i due prodotti decise di chiamare Goblin il gruppo del film e cambiare il nome da Oliver a Cherry Five per l’album omonimo.

D. Puoi parlarmi del periodo Goblin, appunto, e dell’atmosfera che si respirava durante i concerti?

R. Devi sapere che quello era un periodo molto particolare perché in realtà la musica POP/PROG non era una musica molto popolare, era sempre una musica di nicchia, però noi, a differenza degli altri gruppi, avevamo avuto il grosso successo di “Profondo rosso”. Avevamo venduto un milione di album già nei primi 10 mesi. Figurati tu, quindi andavamo a suonare in varie tipologie di posti, una sera facemmo un concerto, non mi ricordo bene dove, in Nord Italia, in un grande locale, insieme ai Cugini di Campagna. All’epoca si respirava quell’aria lì, cioè chi era nelle Hit Parade andava e faceva concerti. Noi eravamo famosi per “Profondo rosso” e quindi suonavamo dappertutto, anche in posti dove invece quel tipo di musica non andava. Poi facemmo una tournée molto grossa con Riccardo Cocciante, nel 1975. Durante questa tournée entrammo primi in classifica nella Hit Parade di allora. Quindi gli organizzatori furono davvero fortunati poiché si trovarono un tour con Cocciante, che era già famosissimo, e con noi che eravamo un gruppo emergente che stava nelle classifiche.

D. Quali sono i criteri principali e cronologici per comporre una colonna sonora?

R. No, non ci sono dei criteri. Anzitutto noi eravamo completamente inesperti quando componemmo “Profondo Rosso”, eravamo dei ragazzini senza alcuna esperienza del genere. Non avevamo mai fatto niente di simile, è stato il nostro primo lavoro, non solo importante, ma il nostro primo lavoro, in generale, perché, a parte “Cherry Five”, che non era finito, il primo disco della mia vita fu proprio “Profondo rosso”. Allora, su suggerimento di Dario Argento, registrammo dei brani separatamente come se fossero dei brani a sé e poi il montatore li mise nel film insieme a Dario Argento. Montarono gli spezzoni di tutto quello che avevamo fatto, sincronizzandoli sul film. Dopo invece, col passare del tempo, almeno io, ho imparato come si fanno le colonne sonore. Adesso il lavoro è molto più accurato preciso. E poi c’è stato “Suspiria” che è stato il film più famoso di Argento al mondo. Abbiamo avuto tre grandi successi mondiali che sono stati “Profondo Rosso”, “Suspiria” e “Dawn of the dead/Zombi”, il film di George Romero, che è quello forse quello più famoso di tutti. E quindi grazie a questi siamo diventati i Goblin, quelli che poi ancora oggi mi permettono di andare in giro a fare concerti per il mondo.

D. Che differenze ci sono oggi nel realizzare effetti sonori rispetto al passato?

R. Beh, allora, all’epoca molti suoni ce li dovevamo creare, inventare, perché non c’erano le tastiere e i campionatori digitali di oggi. Dovevamo per forza di cose crearci suoni in studio, inventarci un po’ di tutto. Oggi chiaramente è tutto molto più semplice. Apri il computer, c’è una libreria infinita di suoni e li puoi adattare come vuoi. Ecco questa è la grande differenza però, allora, c’era sicuramente molta più creatività proprio perché i suoni erano veri, puri. “Profondo rosso” è stato registrato con un clavicembalo, con la chitarra acustica, l’organo da chiesa, basso, batteria e con il Moog che è stato il primo sintetizzatore della storia. Quindi non c’era nient’altro all’epoca, erano suoni veri, non erano artificiali. Ormai diciamo che la musica si è appiattita molto. E quindi… ecco perché molti giovani poi riscoprono i vecchi gruppi del passato, perché avevamo delle sonorità diverse.

D. Mi descrivi il tuo rapporto lavorativo e personale con il maestro Dario Argento?

R. All’inizio era importante Dario perché era un regista che ti dava dei suggerimenti. Insomma, collaborava a livello di supervisore come fece con “Suspiria” e con “Profondo Rosso”. Poi, anche dopo la separazione del gruppo, ho continuato a lavorare con lui. Aveva molta fiducia in quello che facevo, grazie anche ai successivi successi come “Phenomena”, “Tenebre”, ”0pera”, “Dèmoni”, ormai mi dava carta bianca. Se c’era qualcosa che non andava, me lo diceva, ma in linea di massima diceva “fai tu!”. All’inizio lui dava molti suggerimenti ma poi si fidava di quello che gli proponevo senza problemi.

D. Con quali altri registi hai collaborato?

R. Un altro regista col quale ho collaborato molto è stato Ruggero Deodato, purtroppo scomparso l’anno scorso. Con Ruggero ho fatto 5 film, anzi, l’ultimo film che ho fatto è stato proprio con lui. Ho scritto le musiche uscite per “Cut and Run/Inferno in diretta”, “Vortice mortale”, “The Washing Machine”, “Camping del terrore” e “Ballad in Blood”. Era una persona molto simpatica, mi lasciava fare dandomi solo qualche suggerimento; per esempio lui ebbe un’intuizione, quando fece “Cannibal Holocaust”, di chiamare Riz Ortolani che ebbe una nomination agli Oscar per la miglior canzone con il film “Mondo cane”, che era un documentario capostipite del genere “mondo movie”, incentrato su usi e costumi inconsueti o scioccanti dei vari popoli nel mondo, tra curiosi riti tribali, e cose simili. Le musiche di Ortolani però erano molto dolci e melodiche in contrasto con le scene violente del film. Anche per “Cannibal Holocaust” Deodate fece la stessa scelta musicale con Ortolani. Il primo film che ho fatto per lui era “Cut and Run/Inferno in diretta”, girato in Amazzonia. Sapeva che ero brasiliano, perché pure lui era legato al Brasile, e quindi ci siamo ritrovati. Io sono stato ispirato anche da molte musiche dei film di mio padre che scrisse in Brasile per parecchi film. Tra le varie cose “Cut and Run” da “Inferno in diretta” è il primo pezzo che suono dal vivo quando suoniamo adesso.

D. E poi tu sei molto legato a “Gamma”, di tuo padre.

R. Si, anche perché fu proprio “Gamma” a toglierci il primo posto nella classifica della HIT PARADE nel 1975 dove eravamo primi da 15 settimane (record mai superato da nessun altro artista italiano). In questo brano suonammo anche noi Goblin come base ritmica. Era uno sceneggiato di fantascienza dell’epoca, certo, se lo vedi oggi, è un po’ datato, ma la musica rimane sempre bella e attuale

D. Parlando della tua carriera da solista hai prodotto gli Easy Going. Mi parli del tuo periodo dance e successivamente dei dischi pubblicati negli anni 80?

R. Nel ‘78, quando ci separammo con i Goblin, conobbi Giancarlo Meo che mi propose di fare della musica dance. Mio padre era scomparso nello stesso anno ed era un periodo molto triste. Anche il padre di Massimo Morante era scomparso nello stesso anno e quindi come gruppo ormai stavamo un pochettino andando in declino e veniva questa nuova era dance, allora lì venne fuori il mio spirito brasiliano. Con Giancarlo ci siamo detti, “… vabbè proviamo a fare qualche cosa anche noi”., anche se all’epoca in Italia non erano in tanti a fare musica disco. A parte i fratelli La Bionda, Mauro Malavasi e Giorgio Moroder, che comunque viveva in Germania, erano in pochissimi a produrre questua musica. Allora i dischi si facevano con i cantanti bravi, con l’orchestra e le coriste non è come oggi che è quasi tutto fatto col computer. Con Meo decidemmo di creare l’album “Easy Going”. Nel ‘78 andavamo in questa discoteca di Roma che si chiamava appunto “Easy Going”. Era una discoteca molto famosa dove c’era il DJ che si chiamava Paolo Micioni. Decidemmo quindi di creare un gruppo con l’immagine di Paolo Micioni come cantante attorniato da due ballerini, cosa molto usuale per l’epoca. Come I i Village People o gli Immagination, con un look gay. All’epoca era normale e non c’era niente di strano, basti vedere artisti del calibro di George Michael e Freddie Mercury che non nascondevano davvero la loro sessualità. I brani del disco furono tutti composti e arrangiati da me. Seguirono poi due album come “Easy Going” “Fear” e “Casanova” con la sostituzione di Micioni con il ballerino cantante afroamericano Russell Russell. Contemporaneamente registrai anche un disco con Vivien Vee, “Give me a break” che entrò nella TOP CHART AMERICANA nei primi 10 posti. Poi scrissi la musica di “Gioca Jouer’”, grande successo di Claudio Cecchetto. La produzione di “Gioca Jouer” è mia e di Giancarlo, Cecchetto era un nostro artista della nostra casa discografica BANANA RECORDS.

D. Hai anche collaborato con la grande Raffaella Carrà. Cosa ricordi di quel periodo?

R. Alla fine degli anni ’70 registravo tutti i miei brani dance nello studio “Bus” di Roma di Gianni Boncompagni. Raffaella Carrà allora stava insieme a Gianni Boncompagni con il quale avevo un legame di amicizia molto forte. Pensa che successivamente Boncompagni e Isabella Ferrari, che allora stava con lui, sono stati i miei testimoni di nozze, quando mi sono sposato con Anna Kanakis. Conobbi la Carrà quando fece il suo primo debutto televisivo in un programma con mio padre, che si chiamava “Io, Agata e tu”, insieme a Nino Ferrer. Poi lei si mise con Boncompagni. Sono stati insieme 12 anni. E quindi io in studio vedevo molto spesso Raffaella e Gianni mi chiamava spesso la sera quando Raffaella doveva cantare per seguirla durante la registrazione. Ho suonato pure il basso in un suo disco. Grazie a questa nostra amicizia Boncompagni un giorno mi disse,” … Raffaella deve andare al Tokyo Music Festival…”, che era un Festival molto importante in Giappone, a Tokyo. … “puoi venire tu a fare l’arrangiamento e a dirigere l’orchestra…” quindi nel ’79 andai in Giappone con Raffaella Carrà e Boncompagni. Era davvero un grande festival internazionale Festival, io stavo in albergo e la mia vicina di stanza era Donna Summer. Prendevo sempre l’ascensore con lei e la figlia, simpatica, carina. Ho un autografo bellissimo suo con tanto di dedica. Peccato che all’epoca non ci facevamo mai le foto! Quanto eravamo stupidi!

D. E Raffaella Carrà doveva essere secondo me una persona molto dolce, molto squisita?

R. Insomma, simpatica si, però era una molto tosta. Era molto forte, non si dava un attimo di pace. Era molto pignola, molto precisa, altrimenti non sarebbe arrivata a quei livelli. E poi per dirti una cosa stana, tra parentesi… Io non sono religioso e non molto spirituale come persona, però pensa che un giorno stavo in giardino e chissà perché mi venne in mente Raffaella Carrà, ho detto “…chissà come sta Raffaella, è tanto tempo che non la sento, non la vedo…”. Mi venne in mente proprio Raffaella quel pomeriggio e poi, la sera accendo il televisore e annunciano la sua morte. Chissà come e perché me l’ero sentivo, ho pensato a lei, probabilmente mentre stava morendo. Pensa che cosa strana! Eppure, non c’è un legame di nessun tipo con lei e queste cose mi fanno pensare.

D. Altra tua sperimentazione è stata la musica elettronica. Che evoluzione ha avuto dalla colonna sonora del film “Tenebre” che realizzasti nel 1982 a quella de “Il Cartaio” nel 2004?

R. Già con “Profondo rosso” avevo un Moog, che era uno strumento all’avanguardia per l’epoca. In “Suspiria”, usai il Melotron, che non era proprio uno strumento digitale, però, era uno strumento con dei nastri registrati con suono di cori violini dentro. In “Suspiria” usai anche il System 100 della Moog, che era enorme, grosso, facemmo venire addirittura un programmatore per fare tutte le sequenze perché non sapevo come funzionava. Sono sempre stato un appassionato di musica, degli strumenti elettronici e poi dagli anni ‘80 in poi sono cominciate a nascere tutte le tastiere. Quindi con “Tenebre” usai il Vocoder, uno strumento che cambia la voce trasformandola in voce robotica, quella che dice “PAURA”. Avevo già usato precedentemente questo strumento nel brano “Baby I love you” degli “Easy going” che era tutto cantato col Vocoder. Molti associano “Tenebre” ai Goblin, ma in realtà eravamo Simonetti, Morante, Pignatelli, senza il batterista, sostituito dalla Drum Machine. Anche “Dèmoni”, ancora prima del “Il Cartaio”, è stato registrato tutto in elettronica con vari sintetizzatori e batterie elettroniche. Anche in “Phenomena” c’era molto di elettronico anche se il basso, le chitarre e la voce del soprano lirico erano veri. “Il Cartaio” fu una colonna sonora completamente elettronica visto che parlava di un assassino che uccideva online. Le colonne sonore sono fondamentali in un film, la colonna sonora molto spesso sopravvive al film. Molta gente conosce i pezzi famosi, ma magari non ha neanche visto i film.

D. A quale soundtrack, che hai composto da solista, sei più legato?

R. In realtà ogni colonna sonora ha una storia a sé. Ho cercato di farle sempre nel migliore dei modi. Ci sono alcune colonne sonore, anche belle che purtroppo non hanno funzionato perché il film non ha avuto successo. Una che mi piace molto, è “Multiplex” un film di Stefano Calvagna. C’è anche il CD. Una musica che mi piace molto che però, purtroppo, non ha avuto successo perché il film non fu distribuito bene. Poi ho fatto dei lavori anche monumentali con grandi orchestre e cori come “La terza madre”, “Dracula”, però molto spesso se il film non ha successo, la colonna sonora delle volte passa inosservata. Infatti “Profondo rosso” e “Suspiria”, che erano belle colonne sonore, funzionarono molto bene grazie al grande successo dei film.

D. Hai una colonna sonora preferita che ti ha accompagnato?

R. No, questo me lo chiedono sempre, in realtà no.

D. Anche nella vita privata che non hai fatto tu, una tua colonna sonora che ti ha accompagnato nella tua vita, che ti piace?

R. No, perché, sai, ho passato talmente tanti periodi diversi nella mia vita e ogni periodo è accompagnata da un tipo di musica. Sicuramente è il periodo che, per assurdità mi ha dato più soddisfazione anche a livello di benessere, di divertimento, è stato negli anni ‘80 proprio con la Dance, perché tutt’ora, oggi, quando sto a casa ascolto moltissima musica dance.

D. Che musica ascolti tu adesso, cosa ti piace?

R. Ascolto un po’ di tutto, dal Rock al Pop, però quando sto a casa come sottofondo mi metto i canali di musica Dance perché secondo me la Dance elettronica di adesso sta molto all’avanguardia; mentre il rock è rimasto stantio, nel senso che sono sempre le stesse cose, nella Dance ci trovo delle genialità, dei suoni, delle cose all’avanguardia.

D. Quando si sono formati Claudio Simonetti’s Goblin?

R. Quelli si sono formati dalle ceneri dei New Goblin, perché ai primi anni del 2000, verso il 2009, 2010, abbiamo fatto i New Goblin. Io mi sono rimesso insieme a due componenti di Goblin, Maurizio Guarini e Massimo Morante, poi insieme due miei musicisti che suonavano con me nei Daemonia, Titta Tani alla batteria e Bruno Previtali alla chitarra, abbiamo fatto i New Goblin e un paio di dischi, delle tournée. Abbiamo fatto un tour anche in America di grande successo ma poi ci siamo separati perché non andavamo d’accordo e da allora io, insieme ai due musicisti che stavano con me, abbiamo fatto i Claudio Simonetti’s Goblin, la mia versione di Goblin che dura tutt’ora, anche se ormai i componenti sono cambiati. Ora, i miei musicisti sono: Cecilia Nappo al basso, Daniele Amador alla chitarra e Federico Maragoni alla batteria.

D. Nei vari concerti che avete fatto in questi ultimi anni hai degli aneddoti da raccontarmi? E quali saranno i progetti futuri?

R. Ma guarda innanzitutto grandi soddisfazioni, soprattutto, in Giappone, abbiamo suonato anche in Australia, Stati Uniti, Canada e in Europa ed è molto bello vedere che si riempiono i teatri con un pubblico variegato, cioè da giovani di vent’anni fino a quelli della mia età; è bellissimo vedere tutta questo miscuglio di persone che amano questo tipo di musica. Soprattutto in America, facciamo i tour con tantissime date come anche in Europa e Giappone. Abbiamo fatto anche una crociera nel 2022 che si chiama “Cruise to the Edge” (che rifaremo adesso a Marzo 2024); è la crociera nei Caraibi con una nave dove suonano più di 40 gruppi rock. Una crociera che si chiama “Cruise to the Edge” perché era inizialmente stata fatta dagli Yes che avevano fatto l’album “Close to the Edge”. Ho suonato con gruppi importantissimi, con Alan Parsons, Marillion, c’era un sacco di gente, più di 4.000 persone. La cosa bella è vedere che noi siamo a quei livelli là, per gli americani. Sono andato in America, ho fatto un concerto il mercoledì e il sabato, c’erano gli Yes nello stesso teatro, quindi il livello è quello. Insomma, c’è un grande rispetto e considerazione all’estero per quel tipo di musica. L’italiano purtroppo è modaiolo. Quelli di una certa generazione ormai hanno perso il gusto di andare ai concerti, non gliene frega niente, oppure c’è gente che magari spende 200 euro per andare a vedere gli U2, poi non va a vedere i gruppi italiani. Questa è una cosa che mi dispiace. Perché in America non è così. Questa è una forma di snobismo verso i gruppi italiani storici. Adesso ci sono i cantanti di Amici, di X Factor, ecco cioè, insomma io non voglio fare nomi, ma ci sono dei cantanti che insomma, porca miseria, dai… io ho tanta stima per i Maneskin perché vengono dalla strada, è gente che suona bene, cioè si meritano quello che hanno. Anche se non si sono inventati niente di nuovo. Quel tipo di musica che fanno loro la facevano i Rolling Stones cinquant’anni fa, però mi fa piacere perché, per la prima volta nella storia, abbiamo un gruppo italiano a livello mondiale Poi, avere un’immagine del gruppo è una cosa fondamentale, molto importante, è una cosa alla quale ho sempre tenuto, perché molti gruppi italiani salgono sul palco un po’ sciatti, senza grandi personalità. I ragazzi del mio gruppo, oltre a essere bravi, hanno anche una presenza sul palco che per me è importantissimo.

Grazie tante, Claudio, dell’intervista davvero molto bella grazie e buona giornata.

Ma figurati, grazie a te.

____________________________________________________

Altro di Claudio Simonetti su Musiculturaonline:

Tag: , , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *