Intervista al giornalista e scrittore Luigi Viva


a cura di Giovanni Longo

31 Gen 2025 - Interviste

Giovanni Longo ha intervistato il giornalista e scrittore Luigi Viva sul progetto “Viva/De André”; prima due libri poi lo spettacolo, il cd e il Progetto Conservatori per la Fondazione Fabrizio De André Onlus.

Il tour dello spettacolo Viva/De André, un racconto in parole e musica su Fabrizio De André, che ha iniziato il suo cammino nel 2018, e il cd omonimo pubblicato a novembre 2022 rappresentano il coronamento di un lungo e ricco lavoro del giornalista e scrittore Luigi Viva intorno alle vicende biografiche e all’opera di De André, concepito quando l’artista era ancora in vita. Prima i due libri, Non per un Dio ma nemmeno per gioco (venticinque edizioni) e Falegname di parole, poi lo spettacolo, scritto con Pino Petruzzelli, Il Viaggio di Fabrizio De André, messo in scena al Teatro Stabile di Genova nella stagione 2004-2005. E ancora, per la Fondazione Fabrizio De André Onlus, della quale è Viva è socio fondatore, l’ideazione e la direzione del Progetto Conservatori che si prefigge la realizzazione delle partiture integrali dell’intero corpus di opere di De André. 

Un lavoro imponente, quello di Viva, che non soltanto valorizza un patrimonio artistico di grande valore ma mette nel dovuto risalto la cifra umana di De André e il suo essere un intellettuale a tutto tondo, con una visione contraddistinta da un profondo impegno civile e politico.  Sul palcoscenico il racconto della voce guida di Luigi Viva si alterna alla performance di un gruppo di musicisti diretto dal chitarrista Luigi Masciari, che eseguono in chiave jazz alcuni dei brani più significativi del canzoniere di De André. Più che lusinghieri fino a questo momento i riscontri del pubblico, numerosi i sold out.

Abbiamo rivolto a Luigi Viva alcune domande sul progetto Viva/De André e sulla sua attività passata, presente e futura di scrittore.

D. Una prima curiosità riguarda l’aspetto musicale del progetto. Perché proporre De André in chiave jazz? E quale impatto ha notato sul pubblico, in particolare sullo “zoccolo duro” degli appassionati di De André, rispetto a questo modo originale di arrangiare ed eseguire quelle canzoni?

R. Tutto nasce dalla passione di Fabrizio per il jazz. Tra il 1956 e il 1960 fece parte di un gruppo Jazz il Modern Jazz Group. E, poco prima di lasciarci, stava preparando il nuovo album le cui musiche si sarebbero ispirate alle musiche di Jimmy Giuffrè, il jazzista del quale nel 1956 acquistò il suo primo disco jazz. Non a caso, lo avevo più volte tentato circa una ipotetica riproposizione jazz del suo repertorio insieme a grandi americani. Quindi, una volta deciso di scrivere questo spettacolo, mi è sembrata la strada più giusta e anche originale quella di riarrangiare il repertorio in chiave jazz, escludendo dall’inizio l’uso della voce, per ovvi motivi. Ero ben sicuro del risultato vista la qualità dei miei musicisti e di Luigi Masciari che ha curato tutti gli arrangiamenti. I riscontri fino ad oggi ottenuti non fanno che confermare questa scelta.

D. Quali sono stati gli aspetti che più hanno incuriosito il pubblico venuto ad ascoltarvi rispetto al Suo racconto, sul lato umano, di una figura così complessa come quella di De André? Quali impressioni Le hanno restituito gli spettatori?

R. Gli spettatori sono stati sempre attenti e partecipi perché l’amore che li lega a De André è infinito; molti di essi sono rimasti incuriositi dalle sue radici contadine ed altri della sua visione politica e sociale che a molti era sfuggita specie in brani come Don Raffaè (lo Stato che si inchina alla camorra) o La Domenica delle Salme dove è citato Renato Curcio, uno dei capi storici delle Brigate Rosse. Anche il fatto di apprendere che fosse un anticlericale, ha lasciato alcuni interdetti, sapendo che lui ha cantato in modo ispirato Gesù di Nazareth. Le impressioni ricavate dagli spettatori, sono state sempre positive, anche da parte di chi non era aduso al Jazz; ma i contenuti dello spettacolo, il mio racconto, le immagini, gli audio inediti, ritengo siano riusciti a ricordare Fabrizio in maniera corretta. Come ha sempre sostenuto mia moglie, la forza dello spettacolo è il mio vissuto emozionale: le lunghe chiacchierate con lui, l’aver intervistato tante persone famose e no, gli amici di infanzia, i suoi professori, Rino Oxilia (il suo più caro amico), Renato Curcio, Nina Manfieri etc. ogni sera mi consentono di raccontare storie che emergono all’improvviso dalla memoria.

D. Ha notato molti giovani tra il pubblico?  Ha avuto modo di verificare quale interesse susciti tra le giovani generazioni un artista e intellettuale come De André, alla luce del presente contesto e sociale e musicale?

R. Certo! i giovani ci sono sempre seppure in percentuale minore rispetto alla gente più matura. I giovani presenti con i quali mi sono relazionato a fine esibizione, sono ragazzi sicuramente fuori dalla massa, pensanti, curiosi e preparati che ci danno una bella spinta ad andare avanti.

D. Una domanda personale. Come è stato per Luigi Viva il doversi misurare con il ruolo di “frontman”, seppur a livello solo verbale? Il palcoscenico la intimidisce un po’? 

R. È venuto quasi spontaneo dopo oltre cento presentazioni dei miei libri. Certo il palco di un teatro ti dà ben altre tensioni. Piano piano ho preso il giusto ritmo e riesco a divertirmi anche se la responsabilità di raccontare De André è sempre tanta. Sul palco fra di noi c’è una bella alchimia e questo aiuta rendere il tutto più facile. Entrare sul palco è sempre una bella botta di adrenalina.

D. Una questione un po’ più specifica, che riguarda segnatamente l’odierno panorama internazionale del jazz. Nel costruire il suo monumentale lavoro sulla figura e sull’opera di Pat Metheny (ne ha seguito il percorso dalle origini fino praticamente ai giorni nostri, in ben quattro libri) Lei ha avuto l’opportunità, oltre che la necessità, di conoscere da vicino e di intervistare alcuni tra i “giganti” di quell’universo artistico (da Herbie Hancock a Jaco Pastorius, da Gary Burton a Chick Corea, solo per citarne alcuni). Di fronte alle suggestioni suscitate dal solo sentir pronunciare tali nomi non ritiene che si tratti di una generazione della quale al momento non si intravedono nemmeno lontanamente degni eredi? 

R. Guardi c’è molto movimento, i giovani sono ben preparati, il problema restano i manager, i promoter gli organizzatori che non rischiano, sono legati ai loro standard, propongono a volte delle robe orribili e stantie e non osano, questo pregiudica il ricambio. Io adoro, ed è dire poco, gli Snarky Puppy (strepitosi) e sono sempre pronto ad entusiasmarmi. La stampa, tranne rarissime eccezioni è tutta “appecoronata” in linea con il mainstream, anche i giornali che sembrano fuori dal coro, in un modo o nell’altro danno spazio a musica di infimo ordine. I social, manipolati, ci bombardano ogni giorno e quindi non se ne esce.

D. Immagino che al momento il suo tempo e le sue energie siano assorbite quasi interamente dal progetto Viva/De André – che sta regalando grandi soddisfazioni a Lei e ai musicisti che la accompagnano – e che è parallelo alle sue consuete collaborazioni con numerose testate. Volevo però chiederLe se dobbiamo aspettarci prima o poi un nuovo libro. Ha maturato ultimamente delle idee per una nuova fatica editoriale?

R. Scrivo qualche articolo quando qualche disco mi prende particolarmente e sto rifinendo un romanzo. Quanto alle biografie credo che dopo aver scritto quella di Pat Metheny e quella di Fabrizio De André con la loro collaborazione, il mio ego è più che soddisfatto. Mi sento fortunato, ma debbo dire che alla fine, la soddisfazione più grande è stata quella di far uscire i miei libri così come li avevo pensati, aver trovato dei bravi editor e aver avuto il conforto delle migliaia di persone che li hanno acquistati. Impegno, tenacia e duro lavoro senza far parte di nessuna congrega.

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