Intervista al cantautore Vincenzo Greco
a cura della Redazione
9 Dic 2024 - Approfondimenti live, Interviste
Pubblichiamo l’intervista al cantautore e artista multimediale Evocante, al secolo Vincenzo Greco. Di recente è uscito il suo quarto album “All’improvviso – Canzoni lievi”. “Le mie piccole salvezze sono spesso canzoni” afferma l’artista.
Vincenzo Greco, nato a Vibo Valentia e quasi sempre vissuto a Roma, è cantautore e artista multimediale. Conosciuto col nome d’arte di Evocante, ha già all’attivo gli album “Di questi tempi”, Dialettica Label 2022; “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”, Dialettica Label, 2023; “Siamo esseri emozionali”, Dialettica Label, 2024 e i singoli “Troppo/Poco”, Dialettica Label, 2022 e “Lode all’inviolato”, Dialettica Label, 2023.
Di recente è uscito “All’improvviso- Canzoni lievi”, il suo quarto album, distribuito su supporto fisico da La Stanza Nascosta Records.
Ha dedicato vari studi a Franco Battiato culminati nel libro “Battiato. Una ricostruzione sistematica. Percorsi di ascolto consapevole”, pubblicato da Arcana Edizioni, Collana Musica, nel 2023, in contemporanea con l’uscita dell’album “Fino a tardi. Viaggi sonori con Battiato”.
Vincenzo Greco ha realizzato anche due video-racconti musicali (“Solo cose belle”, 2013 e “LiberAzione”, 2015, ambientato in Islanda) e un docufilm (“E noi ficimu a facci tanta. Una reazione Vibonese”, 2018).
L’11 e 12 ottobre ha registrato un doppio sold out, al TeatroBasilica di Roma, il suo nuovo spettacolo, L’infinito fra le mani – Spettacolo su temi proposti da Franco Battiato.
INTERVISTA
D. Da “Di questi tempi”, Dialettica Label 2022, a “All’improvviso- Canzoni lievi”, appena uscito per Dialettica Label- Tunecore- La Stanza Nascosta Records, quanto e com’è cambiato, stilisticamente e umanamente Vincenzo Greco?
R. Credendo molto nell’evoluzione personale, spero innanzitutto di essermi evoluto e migliorato. Di questo processo fa parte la consapevolezza, che sta aumentando sempre di più. Nonostante io scriva canzoni da quando avevo 14 anni, ho cominciato a pubblicare molto tardi, diciamo già fuori età per quelli che credono che esista una età buona e una no. Ho inconsciamente fatto decantare le mie canzoni e me stesso come artista, esponendomi solo quando ho maturato la consapevolezza di essere un artista secondo i miei canoni dell’essere tale. L’arte vuol dire comunicare qualcosa di senso compiuto, una narrazione che abbia una struttura, che si capisce da dove parte e dove arriva. L’episodico non è arte. Io prima del 2022 scrivevo belle canzoni, ma ero episodico. Poi tutto si è chiarito e messo a posto da solo, così che tutto quello che avevo seminato, unito a cose nuove, è finalmente arrivato allo stadio del raccolto. Una volta maturata questa consapevolezza, poi di converso tutto ha preso una velocità impressionante, come un vulcano rimasto quieto per anni e poi esploso di botto, con ancora tanto da buttar fuori. Dalla mia prima pubblicazione musicale, Di questi tempi, sono passati due anni e mezzo, però mi sembrano tantissimi, se penso che nel frattempo ci sono stati altri tre dischi, un libro, uno spettacolo teatrale e in programma c’è almeno un nuovo disco e un nuovo libro. In un’epoca in cui si pubblicano solo singoli, pubblicare due dischi in uno stesso anno, scelta che nessun commerciale approverebbe, si spiega solo con una urgenza espressiva e anche con la volontà di “mettere a posto le cose”. In tutto questo, ho anche maturato uno stile tutto mio, che ormai è riconoscibile, anche grazie alla multimedialità. Trovo conferma della riconoscibilità del mio stile nel pressoché unanime commento di chi ha ascoltato, letto, e visto le mie cose: mi dicono tutti che gli sembra di viaggiare. Credo che il mio stile si sia affinato proprio verso questa direzione, raccontare l’oltre, il non visibile, l’incanto (e a volte anche il disincanto) della vita attraverso piccoli dettagli, puntando anche sul sogno e su certe sonorità, appunto, evocanti. Umanamente è andata allo stesso modo, nel senso che sempre più cerco l’oltre, chiedendomi cosa c’è oltre una cosa, uno sguardo, un panorama, un tramonto, un colore. In questo, devo affrontare momenti non facili perché, essendo sempre più attratto dall’interiorità, dalla metafisica, da quello che non c’è ma c’è, devo convivere invece con gli argomenti che vanno per la maggiore e che mi annoiano moltissimo come i discorsi inerenti il denaro, il successo, la materialità, la carriera, la bellezza del padel, l’andamento della borsa, la trama di serie televisive tutte uguali ecc.
D. <<Proprio nei giorni in cui registravo questo disco si parlava molto sulla stampa di vari casi di depressione e mi sono accorto che inconsciamente (ma non inconsapevolmente) è come se con questi nuovi brani, come con il rifacimento di brani già editi, volessi dare una mano a chi attraversa periodo bui.>> – ha dichiarato in una intervista. Chi soffre di ansia e depressione spesso si “nasconde”, perché ancora oggi lo stigma è forte…che ne pensa?
R. Ansia e depressione sono due volti di una stessa medaglia e, quando non sono endogene (cioè, causate da squilibri chimici interni), sono risposte del nostro cervello e del nostro fisico a cose che non vanno. Sono risposte sbagliate, intendiamoci, ma pur sempre segnali. Leggo anche di molti giovani cantanti ora imprigionati nei percorsi tortuosi della depressione, ed è evidente come sia una risposta al tritacarne che sempre più è diventato il mondo dello spettacolo e della musica in generale (ne parlò molti anni fa Roger Waters in brani splendidi come Comfortably numb, Welcome to the machine, Have a cigar, The show must go on ecc.) La depressione ha colpito persone di grande successo: penso a Springsteen e, nel mondo del calcio, a Buffon. Le loro testimonianze sono molto importanti per non far sentire degli alieni tutti coloro che soffrono di depressione. Per questo, ho tenuto a inserire la testimonianza di Vittorio Gassman, nel brano “…tornerà la luce” (che le statistiche mi dicono sia il secondo più ascoltato del nuovo album!). Il più grande equivoco in materia è scambiare la depressione per tristezza. Sono due cose diverse, l’una può inglobare l’altra, ma non sono la stessa cosa. Ci si vergogna quasi a parlarne perché viviamo in una società tutta tesa all’affermazione e al successo. Pensiamo ai social, dove ognuno posta foto e commenti per dimostrare quanto sta bene, quanto è felice, quanto è ricco. Mettendo tutto, consentimi l’autocitazione di un mio brano del mio primo disco, “in piazza”: e quindi vai con foto di piatti ordinati al ristorante, unghie rifatte, tatuaggi, tagli di capelli, segnali criptici lanciati a una sola persona ma che tutti devono leggere. Cose di cui, a parte certe curiosità sterili, non importa niente a nessuno. Ecco, tutto questo comunicare al mondo la propria condizione di grande vincente, un po’ alla Gianluca Vacchi per intenderci, l’emblema di un certo modo di essere o quanto meno di apparire, mi pare ancor più da persone irrisolte e false, più di quanto possa apparire sfigato qualsiasi depresso. E irrisolto e vacuo è chi va dietro a queste logiche, vedendo nel Vacchi o nell’influencer di turno addirittura un modello da seguire perché “ha fatto i soldi!”. Che bisogno c’è di tutta questa auto esposizione non richiesta? Che reale interesse riscontra? Nessuno (parlo di reale interesse, e non di curiosità fine a sé stessa). Però crea l’idea che, se non si è felici, c’è qualcosa che non va ed è meglio non parlarne. Invece, tiriamolo fuori tutto quello che non ci fa stare bene, che ci inquieta, che ci fa sembrare di subire la vita e addirittura di sprecarla. La vita è anche questa. E parlarne ci farà sembrare più veri e forse anche più vicini alla felicità, o comunque meno disperati, dei finti felici.
D. Lei è cantautore, artista multimediale, saggista…come si conciliano tutte queste “anime”?
R. La mia espressione artistica si compone di un universo variegato e composto, spesso contemporaneamente, da parole, musica, video, espressioni teatrali, testi scritti come i libri o il blog. Sono diverse angolature di una stessa anima, di uno stesso obiettivo, di uno stesso percorso. Per arrivare in un luogo puoi prendere un solo mezzo o prenderne di più. Ecco, io ho scelto di prendere più mezzi e quindi, per raccontare una emozione, utilizzo la canzone, il video, i libri, il teatro. Persino nella mia attività di docente universitario mi sono sempre comportato così, mettendo insieme più mezzi. E funziona.
D. Può definirci meglio quella “resistenza umana” che dichiara di fare attraverso il suo blog? (https://www.vincenzogrecoevocante.it/)
R. Il blog, oltre a contenere notizie sulle mie produzioni, è fatto di post e di parole. Credo chela parola sia ancora lo strumento migliore per esprimerci, tanto che in greco pensiero e parola sono indicate dallo stesso termine, logos. Anche il Vangelo di Giovanni fa iniziare tutto dal logos, con un incipit fulminante: “in principio era il Verbo”. Ora qualcuno sta delegando agli strumenti informatici persino l’uso combinato delle parole. E tanti gli vanno appresso, facendosi scrivere cose da ChatGpt: “basta un clic ed è tutto scritto, cosa perdi tempo a fare scrivendo tu le cose?” A dispetto degli entusiasti modernisti, sono sempre più inquietato dalla piega che sta prendendo l’intelligenza artificiale. Penso che l’uomo debba resistere a questa deriva affermando la sua unicità, la sua specificità. Qualcosa dell’uomo è replicabile, persino migliorabile (un computer ricorda molto più di un uomo). Ma tante cose no, a partire dal processo creativo. Abbiamo delegato troppo agli strumenti informatici. Ed è una deriva che pare inarrestabile. Abbiamo cominciato con la catalogazione della memoria e stiamo proseguendo con la creatività. Facciamo scrivere articoli di giornali all’IA, persino canzoni. Persino le uccisioni oggi le commettono i droni. Lo stesso Nobel per la fisica, Geoffrey Hinton, studioso delle reti neuronali, quindi non certo un retrogrado, dice che così proseguendo le macchine prima o poi domineranno l’uomo. Forse non tutti, forse saranno esclusi i super dominatori, coloro che controllano queste macchine. Le quali però, potrebbero arrivare a uno stadio di raffinatezza tale da ribellarsi anche ai loro manovratori. Lo so che del progresso non si può fare a meno. Ma proprio in questo senso lo si deve indirizzare? Stiamo facendo lo stesso errore fatto con la bomba atomica: fiori di scienziati ci hanno studiato sopra, pensando che si trattasse di progresso. Lo era, sotto un certo punto di vista. Ma ha ucciso milioni di persone. Per non essere equivocato, aggiungo che ovviamente non è lo strumento in sé ad essere pericoloso, ogni strumento è neutrale. È l’utilizzo che si fa ad esserlo. E gli strumenti li utilizza sempre il più forte, e sempre per questioni di denaro e di potere. E spesso denaro e potere si acquisiscono sottomettendo qualcuno, anche arrivando ad ucciderlo. Cito una parte del mio spettacolo teatrale “L’infinito fra le mani”: “io non ho mai visto uccidere per una questione di colori o di sapori. Per il denaro e il potere, invece, si”.
D. C’è una bellissima canzone della cantautrice genovese Cristina Nico, che recita, citando Vittorini: “Per essere migliore potrei suonare il piffero per la rivoluzione o accompagnarvi dolcemente mentre fate apericena, senza disturbare”. Qual è a suo giudizio il ruolo del cantautore?
R. Ecco, il cantautore non può ridursi ad essere mero intrattenimento. Dovrebbe avere il ruolo di coscienza critica espressa in forma artistica. Una sorta di lente d’ingrandimento che aiuti, tramite i dettagli che semina nei suoi brani, a riflettere su qualcosa, che sia sociale o intimo non importa, ma deve avere un respiro collettivo, così che, anche parlando di una cosa privata, tutti possano pensare che “si sta parlando di me, di quello che provo anche io”. Molti cantautori hanno abdicato a questo ruolo, preferendo immergersi nella banalità. Molti si sono come accartocciati. Tra i nuovi di qualità e di talento la strada è ancora più sbarrata di prima dalle solite logiche clientelari della discografia, a cui del talento non importa nulla. E questo è un peccato perché invece quando si ascolta una bella canzone c’è ancora tanta gente che si emoziona. Il pubblico ci sarebbe. Non c’è la volontà di cibarlo, se non con la solita sbobba. Anche da un punto di vista commerciale, trovo tutto ciò degradante e sbagliato. Ma tant’è. I discografici, italiani e non, hanno una miopia tale che stanno uccidendo la musica.
D. La parte più intima del suo spettacolo L’infinito fra le mani è la quarta, quella dedicata al Lontano e alla memoria. Qual è il suo lontano?
R. In quella parte ho fatto dialogare la nostalgia di Franco Battiato per la Sicilia con quella mia per il luogo dove sono nato in Calabria: sono nato a Vibo Valentia, ma quando sono giù abito a Pizzo, il suo mare è il mio lontano, il posto ove, ovunque io sia, sono posto, nel senso di positum, collocato, ovvero faccio parte di quel posto e quel posto fa parte di me. A tal fine utilizzo spesso, per farmi capire, il concetto di consonanza, che viene proprio dalla musica: la consonanza con quel luogo accende in me, proprio come accadeva a Battiato, altri tipi di armonie, fino ad arrivare a quelle spirituali. A livello emozionale quella parte dello spettacolo è molto importante perché mescolo i due mondi, e quindi parlo delle campane che suonano alle otto della sera, e che per me quando mi trovo a Pizzo sono un rituale importante, pensando che anche Battiato era affascinato dal suono delle campane. Anche lui è tornato in Sicilia per ritrovare il suo spirito, ormai stanco della metropoli e del grigiore del cielo milanese. Tanto che ho messo la sua voce persino in un mio brano del disco “Siamo esseri emozionali”, che si intitola Questione di colori, dove spiega la differenza cromatica tra nord e sud. Avere qualcosa di Lontano verso cui tendere è importante; stimola i percorsi della mente e della creatività. Però attenzione, perché poi se scatta la sofferenza tutto viene compromesso. Insomma, il Lontano prima o poi va raggiunto, e non va solo anelato.
D. C’è una canzone, “Salvami”, contenuta in una nuova versione anche nel suo ultimo lavoro in studio, che l‘accompagna da quando aveva 16 anni…Vuole raccontarci la sua idea di salvezza?
R. Questa canzone l’ho scritta a 16 anni, e da allora, pur avendo finora ben tre versioni diverse, nel testo è cambiata pochissimo. Tanto che ho ritrovato il foglietto su cui la scrissi, e le immagini di quel manoscritto sono entrate anche dentro il videoclip del brano. La suono ad ogni concerto ed è entrata pure nello spettacolo teatrale, arrivando subito dopo le scariche elettroniche e oscure della mia versione diLode all’Inviolato. Riassume proprio la mia idea di salvezza per così dire minimale, ovvero quella delle cose quotidiane, piccole ma concrete: “salvami dalla televisione, dalla pioggia, dalla malinconia”. La grande salvezza la conosceremo, se e quando sarà, in un’altra dimensione. In questa terrena possiamo sperimentare piccole salvezze, che sono quelle a cui ci aggrappiamo per affrontare momenti difficili. Molto spesso sono canzoni o comunque musiche: in ciò consiste la grande potenza della musica. Ma può essere, come dico in “All’improvviso”, “una parola, un’onda, una notizia, un risveglio senza gli occhi imprigionati al muro” o una luna nuova a darci la cadenza delle cose e ancora a sorprenderci. La sorpresa e lo stupore sono piccole salvezze, e spesso nascono da cose minimali come quelle che ti ho prima elencato: finché manteniamo spazio per questi sentimenti, abbiamo possibilità di salvarci da tutto quello che ci affanna e ci delude. Perché queste piccole ancore di salvezza possano funzionare, però, devono essere da noi riconosciute come vere: “salvami dalle apparenze, fammi capire cos’è vero e cos’è falso”. Ecco, qui inizia la salvezza più grande, la strada verso la Verità. E anche questa è costellata di piccole cose: nel piccolo del nostro quotidiano, quanto siamo veri con noi stessi e con gli altri? Recitiamo un ruolo per non dare a vedere debolezze o per sentirci più forti o per apparire diversi e più prestanti? Se ti abitui alla verità delle piccole cose, alla verità dei colori di un tramonto per esempio, ti risulterà più facile poi comprendere la grammatica della grande Verità, e magari scoprirai che è così elementare da essere alla portata di tutti. Proprio il mio spettacolo finisce con questo riferimento alla Verità “minuta, essenziale, alla portata di tutti”.