Intenso spettacolo di Ginevra Di Marco e Franco Arminio a Macerata


di Flavia Orsati

4 Lug 2023 - Commenti live!, Commenti teatro

Successo di “È stato un tempo il mondo”: il concerto-spettacolo di Ginevra Di Marco e Franco Arminio a Palazzo Bonaccorsi di Macerata, gremito di pubblico. L’accompagnamento musicale era affidato a Francesco Magnelli e Andrea Salvatori.

(Foto di F. Orsati)

Cara Italia non ti scordare
che sei la terra in cui il divino più che altrove
si è posato sulla terra.
Franco Arminio - Lettera all’Italia

Lunedì 3 luglio 2023 il cortile dell’elegante e raffinato Palazzo Bonaccorsi di Macerata ha ospitato il concerto-spettacolo È stato un tempo il mondo, di Ginevra Di Marco e Franco Arminio, con accompagnamento musicale di Francesco Magnelli e Andrea Salvatori.

Il titolo dello spettacolo è tratto da una canzone dei CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti), di cui Ginevra Di Marco è stata componente, intitolata Del mondo: un’analisi sanguigna e accorata ma, allo stesso tempo, lucida e spietata sulla differenza tra la vigorosità del mondo antico e la debolezza d quello odierno, di spirito e di pensiero. Lo spettacolo, denso di musica, di riflessioni, di poesia e di momenti corali, ha seguito proprio la falsariga ideale del concetto che sta alla base del brano appena citato.

La folla del cortile gremito ha apprezzato la serata in tutti i suoi momenti, da quelli maggiormente energici, scanditi dalla musica e dalla voce adamantina dell’ex cantante dei CSI, sino a quelli più sommessi e intimisti, segnati dalle riflessioni e dalle poesie di Franco Arminio. Sicuramente, la voce femminile di Ginevra è stata il traino dello spettacolo, articolando un repertorio musicale composito ed evocativo, che ha spaziato da brani dei CCCP, dei CSI e canzoni proprie.

La memoria, il nostalgico ricordo di un’Italia antica, romantica e bella, ai margini, densa di sacro: ecco il filo conduttore che ha unito i diversi momenti susseguitisi sul palco. La riflessione si è concentrata, infatti, sulla struggente e dolorosa nostalgia nei confronti di un Paese che non c’è più, che niente ha a che vedere con la frenesia delle grandi città e dei luoghi presi d’assalto dal turismo di massa; un sentimento di profondo riconoscimento e quasi di vergogna nei confronti dei suoi accorati cantori dei tempi che furono e un omaggio alle zone interne e liminali, luoghi dove l’epifania del sacro è tangibile in qualsiasi momento. I quattro artisti sul palco, nella convinzione che la musica, la condivisione, la parola e, in ultima istanza, il ricordo, possano aiutare questo mondo antico a non cadere nell’oblio, hanno dato voce al silenzio, alla sensazione di incomunicabilità che tutti, prima o poi, immersi nella frenesia e nella velocità delle nostre vite artificiali, abbiamo provato, forse senza nemmeno accorgercene – o forse accorgendocene, ma non riuscendo a concettualizzarla in maniera efficace.

Il riportare in auge questa vita silente, fatta di momenti, di legami, di magia e di luce parrebbe essere il mandato che gli artisti hanno lasciato al pubblico, una volta scesi dal palco.

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