“In ascolto di un Re” piccolo miracolo d'arti
Marco Ranaldi
31 Lug 2010 - Commenti classica
MONTEPULCIANO (SI). Scrivere oggi un'esperienza che parta dalla musica per poi coinvolgere tutte le arti non è lavoro da poco. In ascolto di un Re rappresenta proprio quello che d'infinito c'è nel coniugare i vari linguaggi dell'arte e della fantasia. Ne sono autori Raffaele Giannetti per i testi e Stefano Taglietti per le musiche, una coppia insolita per rispondere ad una delle esigenze primarie dell'artista: la comprensione del testo creato. In ascolto di un Re ha avuto la sua prima nel CantinoneArte in quell'isola di creatività e di sensibilità che è il Cantiere d'arte di Montepulciano. Dopo l'attenta richiesta del direttore artistico Detlev Glanert di proporre nella 35 edizione del Cantiere una nuova opera, in una serata e in un luogo sospeso nel tempo come il CantinoneArte si è svolto questo piccolo miracolo d'arti. Scritta come un'opera da camera In ascolto di un Re ricorda le esperienze del teatro contemporaneo italiano degli anni '70, quando la creatività prendeva il posto degli spazi; già dal prologo, ovvero dalle luci s'intuisce che la struttura di questo happening è proprio nell'inconscio, nel linguaggio dei sogni ed ogni elemento è simbolico per essere ricondotto ad una propria esperienza personale. Ne è consapevole Raffaele Giannetti che riesce a far scaturire dalle attente frasi cantate tutto il percorso d'intesa con il pubblico dove le musiche di Taglietti riflettono l'angoscia per il sogno perduto o per tutto ciò che non è comprensibile alla ragione umana e che appartiene alla metasfera dell'umanità . Martina Tardi è la voce e il corpo che sposta i simboli, gli oggetti di questo castello dei desideri ed è molto brava a narrare emotivamente ciò che negli spazi dell'irrealtà può esistere. à coprotagonista assieme a Ilaria Sacchetta, danzatrice, corpo libero, mimo allegro e infantile di una moderna versione di un Pierrot Lunaire. Il simbolo del Re, il pianoforte come nave d'antica wagneriana memoria e la regia di Robert Nemack ci portano in un tempo che non è facilmente codificabile con la durata delle lancette. Fra Alice e Cenerentola, fra un castello di carte ed un castello di Biancaneve, Giannetti si diverte a dissimulare la realtà delle fiabe, a chiamare in ballo Calvino e Rodari ma è solo la sua perfetta saggezza da scrittore di sogni che riesce a strutturare nelle menti l'immagine di una irrealtà che sa di antico e sa di dolcezza d'intenti. Taglietti usa scrivere una partitura per quartetto d'archi, lui che è un compositore molto bravo a innestare i ritmi contemporanei, riesce a far rabbrividire di lirismo bergiano l'intero percorso onirico e la perfezione esecutiva del Quartetto Ascanio, la freddezza da scena interrotta e la regia del cantastorie e direttore Mauro Marchetti (che agiva alle spalle, come il gatto di Alice, scrutando e dirigendo da un monitor) creano il giusto spettro sonoro di una piccola opera contemporanea, rara nella bellezza e complessa nella contemporaneità dei linguaggi.
(Marco Ranaldi)