Il ritorno del grande repertorio a Jesi
Andrea Zepponi
25 Ott 2009 - Commenti classica
Jesi (AN) – Il Concerto Lirico inaugurale della 42a Stagione Lirica di Tradizione del Teatro Pergolesi di Jesi giovedì 1 ottobre, oltre all'omaggio a Renata Tebaldi nel 5 anniversario della scomparsa, ha segnato il ritorno del grande repertorio: l'affermata coppia Daniela Dessì e Fabio Armiliato ha presentato un programma dei brani tra i più noti ed amati del repertorio lirico italiano di Spontini, Puccini e Verdi. Daniela Dessì, soprano vincitrice del Premio della critica musicale Abbiati 2008, ha recentemente inaugurato l'Arena di Verona in Aida insieme al tenore Fabio Armiliato in Radames; Daniela Dessì, ha debuttato a Genova proprio con la Serva Padrona di Pergolesi, e Fabio Armiliato ha iniziato la sua carriera a Jesi con La Vestale di Spontini. I due grandi artisti hanno espresso in una conferenza stampa grande apprezzamento ed emozione per il ritorno al Teatro Pergolesi. Con loro, Marco Boemi, direttore dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana, ha offerto al pubblico le grandi sinfonie e le ouvertures operistiche. La serata, combinando questi ascolti che diventano sempre più rari, ha voluto rendere omaggio alla figura di Renata Tebaldi, la voce del 900 che rappresenta la tradizione lirica italiana nel senso più classico. Un grande concerto come non se ne sentono da anni, e forse da decenni: nel periodo in cui la disponibilità di grandi voci è a dir poco scarsa, si assiste a una scelta di repertorio sempre più parcellizzata e improntata all'insegna del filologismo, del repechage e del restauro di nicchie musicali sempre meno frequentate dal grande pubblico. Invocare la scarsa competenza musicale della massa non serve per rendere ragione di ciò, nè basta giustificare l'assenza del grande repertorio ottocentesco con la mancanza di grandi voci: certo oggi non abbiamo più la cornucopia dei tenori e soprani drammatici degli anni 50 e 60, tempi in cui non si dovevano cercare quelle voci con il lumicino come si fa oggi rischiando spesso di prendere lucciole per lanterne ma quando si trovano è sempre bene riproporle al pubblico nel grande repertorio. E allora Spontini, Verdi, Puccini, i compositori che segnano la maggiore arcata del teatro lirico italiano dal primo Ottocento al primo Novecento, parlano ancora con il loro pieno linguaggio a un pubblico che ritrova immediatamente un canale di contatto con essi naturale, istintivo, totale. Ascoltare l'aria di Licinio Ah no, s'io vivo ancora dalla Vestale di Spontini dalla voce del tenore Armiliato in gran forma è stata come una ventata d'aria fresca in luogo asfittico, e poi Dio, mi potevi scagliar tutti i mali dall'Otello verdiano seguito dal duetto con la Dessì Già nella notte densa , ha suscitato emozioni cui non si era abituati da tempo: quelle che insorgono nel pubblico quando sul suo orizzonte d'attesa, oltre a cantanti celebri e di chiara fama compaiono anche i grandi titoli, quando vita ed arte coincidono. E allora ben venga la sinfonia rossiniana dell'Italiana in Algeri, con cui si è aperto il concerto, a ricordare la marchigianità di Rossini e la sua discendenza successiva nell'opera italiana; le grandi e trascinanti sinfonie verdiane da I vespri siciliani da La forza del destino eseguite dall'Orchestra Filarmonica Marchigiana sono risultate un degno intercalare a tanta dovizia di bel canto nella sua accezione più passionale e lirica. Daniela Dessì, signora assoluta della scena lirica italiana, ha riconfermato il suo scettro, esibendo il rigore verdiano dell'aria di Aida Ritorna vincitor in cui ha profuso la sua nota perizia nel legato e nel fraseggio unito a uno spessore vocale di vero soprano lirico ancora intatto e anzi nella sua splendida e piena maturità ; indi l'aria Pace, pace, mio Dio! dalla Forza del destino, non meno ardua della prima, ha mostrato una Dessì capace di esprimere la grandezza del sentimento attraverso la tecnica, un esempio per tutti la bella messa di voce dell'attacco dell'accorato brano verdiano. Poi il duetto d'amore dall'Otello con il tenore ha fatto risuonare gli accenti verdiani con tutta quella verità che scaturisce dalla presenza di due vere voci in due belle persone. Gli intermezzi dalla pucciniana Manon Lescaut e dai Pagliacci di Leoncavallo e l'applauditissima Danza delle ore dalla Gioconda di Ponchielli hanno riproposto la funzione allusiva e atmosferica dei brani suddetti con un'orchestra diretta dalla mano ferrigna e, direi, toscaniniana di Marco Boemi; tempi staccati in modo chiaro ed efficace, attacchi e stacchi netti ed eloquenti hanno caratterizzato la seconda parte del concerto che ha presentato accanto ai suddetti brani strumentali il soprano con Vissi d'arte dalla Tosca di Puccini, il tenore nell' Improvviso da Andrea Chènier di Umberto Giordano, poi di nuovo il soprano Io son l'umile ancella da Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea, il tenore Nessun dorma dalla Turandot di Puccini per terminare con il duetto finale Vicino a te s'acqueta da Andrea Chènier. La coppia cantante ha dimostrato un affiatamento che dimostra in pari grado un carattere tecnico e un'intesa interpretativa di grande efficacia. Professionismo, intuizione, bellezza e arte hanno fatto il resto in una serata che ha avuto la sua appendice nei bis di canzoni napoletane cantate a due con il confidenziale ma estroso accompagnamento al pianoforte di Marco Boemi.
(Andrea Zepponi)