“Il Gattopardo”, la serie, il romanzo e il film di Visconti
di Alberto Pellegrino
17 Mar 2025 - Approfondimenti cinema
La serie televisiva “Il Gattopardo” è sicuramente destinata a riscuotere il favore del pubblico, ma andrà visto come un grande feuilleton basato sull’avventura, sull’amore, su determinate connotazioni sociopolitiche, ma per apprezzarlo gli spettatori dovranno dimenticarsi del romanzo di Tomasi di Lampedusa e del film di Visconti.
(Le foto riferite alla serie sono di © Lucia Iuorio)
Il Gattopardo televisivo, distribuito da Netflix in 190 Paesi e costato 40 milioni di euro, è un kolossal di sei puntate dal grande impatto visivo e narrativo, anche se siamo distanti dal film-capolavoro realizzato nel 1963 da Luchino Visconti che, pur avendo una interpretazione personale del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ha rispettato nella sostanza lo spirito dell’opera, anche se il film termina con il grande ballo e la riflessione sulla morte del Gattopardo. Del resto, il regista, che ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes, ha fatto ricorso a importanti sceneggiatori come Suso Cecchi d’Amico, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, al grande direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, a un cast stellare formato da Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Lucilla Morlacchi, Romolo Valli, Serge Reggiani.
La nuova operazione televisiva, che è stata progettata con grandi ambizioni, ha richiesto 105 giorni di riprese e 840 ore di girato, l’impiego di 5.000 comparse, di 130 tra carrozze, carretti e barche, di un centinaio di animali tra cavalli, muli e asini, è destinata a diventare un grande successo internazionale, ma si discosta quasi totalmente dal romanzo originario, perché gli sceneggiatori Richard Warlow e Benji Walters hanno completamente riscritto la storia per riempirla di avvenimenti avventurosi e sentimentali, di personaggi inventati o ridisegnati per tenere alto l’interesse del pubblico, assecondati in questo dai registi Tom Shankland (puntate 1-2-3-6), Giuseppe Capotondi (puntata 4) e Laura Luchetti (puntata 5).
Potete leggere la scheda del film-serie, a cura di Francesca Bruni, a questo link: https://www.musiculturaonline.it/il-gattopardo-da-oggi-5-marzo-su-netflix/
Il valore del romanzo di Tommasi di Lampedusa
La “riscrittura” di celebri romanzi per finalità televisive è ormai ampiamente messa in atto, una tendenza confermata dalle vistose manipolazioni delle tre ultime edizioni televisive del Conte di Montecristo. Questa operazione è stata compiuta anche nei confronti di un “romanzo-monumento” come Il Gattopardo sul quale, dopo anni di dibattiti e scontri, la critica letteraria si è trovata d’accordo nei seguenti punti-cardine: Tomasi di Lampedusa è l’autore di un’opera di grande rilievo e importanza, che non può essere però annoverata fra i capolavori della letteratura siciliana scritti da Verga, Pirandello, Brancati e Sciascia; nemmeno a I viceré di Federico De Roberto, un capolavoro sulla storia risorgimentale siciliana e sul trasformismo italiano tardivamente riscoperto; il romanzo di Tomasi di Lampedusa alterna pagine di notevole valore letterario con altre che avrebbero richiesto un maggiore approfondimento e una revisione stilistica come nel caso del capitolo conclusivo, un lavoro impedito dalla morte dell’autore.
La maggioranza della critica è concorde nel non ritenere Il Gattopardo un romanzo storico, perché si tratta di un’affascinante parabola esistenziale sul senso della vita e della morte, racchiusa entro un ampio arco temporale che va dal 1860 al 1883, anno della scomparsa del Principe, un evento a cui l’autore dedica addirittura l’intero capitolo sette. Tutta l’opera è inoltre caratterizzata da un pessimismo e da uno scetticismo frutto di un’intelligenza laica e moralistica, da un appassionato culto per il paesaggio, per le memorie familiari e di classe; pervasa dalla sensualità più che dall’amore; segnata da influenze derivanti dalle letterature nordiche, dal decadentismo e dal crepuscolarismo. Siamo di fronte a un grande affresco nel quale l’azione è ridotta al minimo, a un mondo che gira intorno al principe Don Fabrizio di Salina, il protagonista assoluto al quale fa da mite antagonista il gesuita Padre Pirrone, una specie di sua coscienza critica e il rappresentante di un cattolicesimo ultraconservatore. Intorno alla stella fissa del Gattopardo ruotano personaggi importanti ma pur sempre secondari come Tancredi e Angelica, Don Calogero e la principessa Stella. Decisamente sullo sfondo stanno i figli (perché i suoi favori vanno al nipote Tancredi), in particolare le femmine considerate scialbe e insignificanti. Poco più di un fantasma è la stessa Concetta, la figlia più amata ma scarsamente valorizzata (“di lei gli piaceva la perpetua sottomissione, la placidità con la quale si piegava ad ogni esosa manifestazione della volontà paterna”). Di questa giovane si parlerà solo quando, fra le lacrime, dovrà rinunciare al sogno di sposare il cugino Tancredi, per poi scomparire per tutte le pagine seguenti e ricomparire nel finale capitolo ottavo, dove nel 1910 si descrivono gli ultimi momenti di vita di Angelica e delle tre sorelle, che sono ormai delle vecchie zitelle, le quali assistono impotenti alla totale dissoluzione della Famiglia Salina.
Come il serial televisivo si discosta dal romanzo
Nel serial televisivo è completamente assente il pessimismo, l’ironia, il disinteresse per la vita quotidiana da parte del Principe di Salina, un intellettuale, un astronomo e un cultore delle scienze che si limita a osservare con un minimo di cinismo e moralismo quel mondo che sta rapidamente cambiando intorno a lui. Il Risorgimento, che nel serial fa da tessuto connettivo a tutta la vicenda, è visto con un critico distacco, perché gli aspetti socio-politici sono messi continuamente in discussione ma fanno da sfondo ai grandi temi che sono le tradizioni, i sentimenti familiari, la conservazione dei privilegi e dei patrimoni aviti.
Nel serial la maggiore manipolazione è quella di far prevalere su tutto il sentimento dell’amore e di far diventare la vera protagonista della storia Concetta (una brava e bellissima Benedetta Porcaroli), che viene fatta uscire dal convento dove studia per agire sempre al fianco del padre, vivere il suo infelice amore per Tancredi e fare l’esperienza del fallito matrimonio con il conte milanese Bombello (uno dei personaggi inventati), un illusorio tentativo di lasciare il padre e la Sicilia. Gli sceneggiatori hanno dato a Concetta la personalità di una femminista ante litteram (inconcepibile nella Sicilia dell’epoca), che si scontra con una società gretta e patriarcale fino a diventare la vera erede del Principe dopo la sua morte. Questo cambiamento è stato giustificato con la necessità di rendere tutta la storia il più possibile vicina allo sguardo contemporaneo sulla società in cui viviamo. Raccontare questa vicenda, lasciando al solo Principe di Salina il ruolo del protagonista, avrebbe appesantito la narrazione, mentre affidare questo ruolo a Concetta avrebbe reso tutto più realistico e umano, puntando non solo sul declino della nobiltà rispetto a una rampante borghesia, sul tormentato tema dell’amore, sul profondo e articolato rapporto tra un padre e la figlia prediletta.
Vi sono poi vistose invenzioni come la partecipazione di Tancredi ai modi di rivolta prima dello sbarco dei Mille, il suo arresto, la sua liberazione per l’intervento del principe, la sua forzata presenza per assistere alla scena della fucilazione dei suoi compagni; la marcia trionfale dei garibaldini a Palermo, alla quale partecipa anche Tancredi che si è arruolato come ufficiale dell’esercito liberatore. Abbastanza surreale appare il “Ballo della libertà” con gli ufficiali garibaldini chiusi in un’alta uniforme da ussari (l’unico a indossare questa divisa era Nino Bixio), una iniziativa che fa venire alla mente i “Veglioni Rossi” (organizzati nel 1945/46 da comunisti e socialisti) e che vede il Principe di Salina impegnato nel primo ballo pubblico. Un altro avvenimento mondano, con relativo ballo, è il matrimonio di Tancredi e Angelica, per arrivare al grande ballo che precede la fine del principe, il quale si sente male nel proprio giardino e non alla stazione di Palermo dopo un viaggio a Napoli per ragion di salute, che muore nel proprio letto circondato da tutta la famiglia, per cui la vicenda è racchiusa nel più breve arco temporale dal 1860 al 1862.
Viene introdotto un tragico evento come la morte del figlio maggiore Francesco Paolo per una caduta da cavallo mentre cerca di sedare una rivolta dei lavoratori in una miniera di zolfo. Al Principe di Salina, che ha viaggiato all’estero o si è mosso da Palermo solo per ossequiare il re di Napoli nella reggia di Caserta, viene fatto affrontare un lungo viaggio dalla Sicilia a Torino, in compagnia di Concetta, per decidere se accettare o rifiutare la carica di senatore del regno. Alla fine egli rinuncia alla nomina e dà questo annuncio con un lungo discorso tenuto nel Circolo Nazionale, nel quale dichiara quali sono le sue idee sulla presente fase politica e sulle condizioni della società che lo circonda con una serie di argomentazioni che nel romanzo sono trattare all’interno dello studio del principe, durante un dialogo privato con l’inviato del re, il piemontese Cavalier Chavelly.



Pregi e difetti del serial televisivo
La miniserie ha certamente dei pregi nella fotografia di Nicolaj Bruel e nella scenografia di Dimitri Capuani, che si avvale della bellezza del paesaggio siciliano e del fasto di antichi palazzi nobiliari; l’intera serie è stata girata tra la Sicilia e Roma: Palazzo Comitini ha ospitato le scene di colazioni e pranzi della famiglia a Villa Salina; a Villa Parisi è stata situata la scena della cena con la famiglia Sedara nel Palazzo di Donnafugata. Per il viaggio verso il paese immaginario di Donnafugata la scena è stata ambientata nei Calanchi di Cannizzola, dove il paesaggio ha un aspetto lunare e incontaminato; per raffigurare la stessa Donnafugata è stata scelta la cittadina di Ortigia, adattata con opportuni interventi scenografici per farla apparire come un piccolo borgo rurale dell’Ottocento.
Altra nota positiva sono stati i costumi caratterizzati da una notevole eleganza stilistica e cromatica, ideati da Carlo Poggioli che si è avvalso della consulenza del professor Raffaello Piraino, il maggiore esperto di storia del costume siciliano in Italia, con il risultato di creare degli abiti destinati a entrare nella storia del costume cinematografico. Il costumista ha dichiarato di essersi ispirato ai costumi disegnati per il film di Visconti da Piero Tosi, un artista che Poggioli dice di aver conosciuto all’inizio della propria carriera e di avere imparato molto, avendo lavorare per lui come assistente.
Apprezzabile la scelta delle musiche per la colonna sonora fatta dal compositore siciliano Paolo Buonvino, che ha voluto intrecciare i richiami alla grande musica dell’Ottocento (numerose le citazioni da Verdi) con i canti e i suoni della cultura popolare siciliana per dare vita a un linguaggio musicale capace di rappresentare quell’anima della Sicilia che si è andata stratificando nel tempo. Certo siamo lontani dalla colonna sonora affidata da Visconti al grande compositore Nino Rota che, oltre a creare i principali temi musicali del film, ha composto tutti i ballabili (mazurka, contro-danza, polka, quadriglia, galop) e in particolare lo splendido valzer del commiato, per il quale Rota ha trascritto per orchestra il Valzer Brillante di Verdi, poi diventato un celebre brano di musica per film.
Completamente diversa è l’interpretazione del romanzo che danno Visconti e Shankland. Il primo ha dichiarato nel 1963 di avere una personale visione del romanzo senza tuttavia tradire la tematica di fondo dell’opera: “Il tema centrale del Gattopardo non mi ha interessato soltanto sotto la critica spietata al trasformismo che pesa come una cappa di piombo sul nostro paese e che gli ha impedito di cambiare davvero fino ad oggi, ma sotto l’aspetto più universale, e purtroppo attualissimo, di piegare la spinta del mondo verso il nuovo alle regole del vecchio, facendo ambiguamente e ipocritamente sovraneggiare quelle da queste”.
Al contrario, la prima preoccupazione del regista Tom Shankland è stata quella di attualizzare la vicenda personale del Principe di Salina e il contesto storico nel quale il personaggio di è trovato ad agire, d’incidere sulla personalità e sul rilievo da assegnare ai vari personaggi presenti nella storia. Questo rende più chiare le motivazioni dello stravolgimento della trama rispetto all’originale, infatti Shankland ha dichiarato: “Quando ho letto il romanzo per la prima volta l’effetto su di me è stato ipnotico Certo, ero coinvolto nella lotta del Principe per affrontare l’ondata del Risorgimento che travolgeva la sua vita, ma allo stesso tempo non ho mai sentito di leggere qualcosa che parlasse esclusivamente del passato. Le parole misteriose di Tancredi, secondo cui tutto deve cambiare affinché nulla cambi, erano centrali nella nostra visione. Il Principe ama la sua vita – la sua famiglia, le sue tradizioni, il suo status – e allo stesso tempo sente che tutto gli sta sfuggendo di mano”. Scompare pertanto o per lo meno diventa meno rilevante la figura dell’intellettuale, del pensatore, dell’astronomo e uomo di scienza, per lasciare il posto all’uomo d’azione dal carattere forte e inflessibile, legato alle tradizioni e alla famiglia, in modo particolare a Concetta e Tancredi.



Gli interpreti
Kim Rossi Stuart, attore sensibile e nel pieno della sua maturità artistica, rende credibile, con una valida l’interpretazione, la figura del principe di Salina rappresentato non come un intellettuale ma come un energico signore feudale, senza però quella segreta malinconia e quel pessimismo del Gattopardo originale, perché gli autori hanno pensato di renderlo un personaggio più umano e quindi più vicino alla sensibilità contemporanea.
Si è già detto della efficace presenza di Benedetta Porcaroli nel ruolo di Concetta, mentre Saul Nanni si è impegnato nell’interpretare il personaggio di Tancredi, ma gli è mancata quella sensualità, quel fascino “perverso” di Alain Delon. A sua volta, Deva Cassel (20 anni e figlia di Monica Bellucci), nell’assumere il ruolo di Angelica appare un bambolina bellissima ma alquanto inespressiva, che non regge il confronto con la sensualità un po’ selvaggia, con il portamento e l’intensità dello sguardo di una Claudia Cardinale sontuosamente avvolta negli abiti di Piero Tosi. Del resto Visconti, nel tratteggiare i suoi splendidi personaggi femminili, ha fatto sempre ricorso a grandi attrici come Clara Calamai, Anna Magnani, Alida Valli, Silvana Mangano, Annie Girardot, Ingrid Thulin. Paolo Calabresi ha fatto del suo meglio per dare un minimo di presenza a uno sbiadito Padre Pirrone, mentre Francesco Colella ha reso in modo efficace il personaggio di Don Calogero Sedara nel segno della volgarità e del più cinico arrivismo.