Il capolavoro di Antonio Faraò
Manuel Caprari
4 Apr 2005 - Commenti live!
Cause di forza maggiore mi hanno impedito non solo di scrivere entro tempi accettabili questa recensione al concerto del pianista Antonio Faraò, ma soprattutto di seguire sia il concerto precedente, quello del 13 febbraio, che quello successivo, del 20 marzo, e me ne scuso. Anche perchè è facile immaginare che entrambi i concerti abbiano regalato autentiche meraviglie agli ascoltatori. Il duetto tra un chitarrista come Irio de Paula e un trombettista come Fabrizio Bosso, e il trio chitarra elettrica-basso-batteria del chitarrista Nicola Mingo avevano tutta l'aria di poter dar vita a due concerti imperdibili. Così come imperdibile era il concerto di Faraò.
Faraò è detentore del premio Solal dal 1998, prestigioso premio che viene attribuito ogni dieci anni; ha suonato con grandissimi del jazz, basti citare, tra i tanti, i nomi di Jonn Abercrombie, Lee Konitz e del batterista del trio di Keith Jarrett, Jack de Johnette, che ha suonato la batteria nel suo album Thorn, del 2001. Il 27 febbraio al Lauro Rossi ci ha regalato un'esibizione per piano solo di un'intensità quasi ipnotica. Faraò ti rapisce con melodie avvolgenti, che di quando in quando lasciano spazio a dei crescendo nervosi e rapsodici, veri e propri grumi di note, densi e minacciosi, che si sciolgono poi nuovamente in sonorità fluide e raffinate. Non sarà un caso che tra i suoi musicisti di riferimento vengono spesso citati tanto Bill Evans, pianista che predilige atmosfere discrete e rarefatte, quanto un gigante del jazz funky come Herbie Hancock. Un concerto non lunghissimo, una settantina di minuti circa, tutto in bilico su questa doppia anima, che mette gli ascoltatori, perlomeno i più ricettivi, in un singolare stato di abbandono e di allerta al contempo. Musica che ti fa sognare ma che al tempo stesso ti costringe a stare costantemente sull'attenti. Un capolavoro. Che arricchisce ulteriormente questa edizione della rassegna jazz del Teatro Lauro Rossi di Macerata, che si sta rivelando interessantissima, come del resto anche negli anni passati, e che, se proprio vogliamo trovare il pelo nell'uovo, avrebbe forse bisogno di essere maggiormente pubblicizzata; perchè rischia di passare un po' in sordina, sia per l'affluenza ai concerti, che potrebbe essere più costante, sia per la risonanza nei circuiti informativi. Ed è un peccato, perchè molti dei maggiori nomi del jazz italiano contemporaneo sono passati, stanno passando e passeranno, anche su questo palco.
(Manuel Caprari)