I Tenenbaum: le recensioni del film


di Manuel Caprari e altri

11 Ago 2013 - Senza categoria

Cinema: Recensioni

I Tenenbaum
( The Royal Tenenbaums)
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson, Owen Wilson
Fotografia: Robert D. Yeoman
Montaggio: Daniel R. Padgett, Dylan Tichenor
Distribuzione: Buena Vista
Origine: USA 2001
Durata: 109'
Cast: Gene Hackman, Anjelica Houston, Gwyneth Paltrow, Ben Stiller, Owen Wilson, Luke Wilson, Bill Murray, Danny Glover

Recensione di Manuel Caprari

Royal Tenenbaum. Padre snaturato, bugiardo impenitente, intelligentissima simpatica canaglia d'altri tempi; se i suoi figli sono il genio, lui è la sregolatezza. Ma la sregolatezza in lui non diventa impulso autodistruttivo bensì slancio vitale irrefrenabile. Normale che lo scontro più duro ( e la riconciliazione più emblematica) avvenga con Chas, che
dei tre è il figlio dal genio meno artistico, quello dell'uomo d'affari, che oltretutto vive nel terrore di possibili disgrazie dopo la morte della moglie in un incidente aereo; e normale che oggetto del contendere diventino i suoi due bambini, cresciuti da Chas sotto una campana di vetro e che Royal tenta di svezzare portandoli per strada a far follie. E' logico che Royal trovi un semicomplice in Richie, che forse meno degli altri scarica su di lui la responsabilità del suo fallimento, dato che la sua vita ruota non intorno alla figura del padre assente ma intorno a quella della sorella adottiva di cui è da sempre innamorato.Sorella adottiva, Margot, che, dopo
ilsuccesso da bambina come commediografa, si è rinchiusa in un mondo privato di manie, segreti e tradimenti, e che, in base a ciò ma anche in quanto non appartenente alla famiglia nel vero senso della parola, sembra leggermente distaccata dal putiferio creato dal ritorno a casa del padre prodigo. Tanto che il suo gesto di riconciliazione col padre e con se stessa (il ritorno a rappresentare commedie) è simbolico e trasversale, e somiglia a quanto di più vicino ad uno sfogo ci si possa aspettare da un personaggio così chiuso. Contrapposto ai tre fratelli Tenenbaum, il loro amico d'infanzia, scrittore di successo ma disprezzato dalla critica, che si porta dietro da sempre un complesso d'inferiorità verso i tre ex-geni precoci. Royal non è mai stato un buon padre, nè quando viveva in famiglia nè sicuramente dopo, e forse non lo è mai fino alla fine, se non fosse che il tempo stempera i livori, e la volontà di sistemare le cose, di farsi perdonare, di smettere di fare lo “stronzo” (testuale) prende il sopravvento. Ma è una riconciliazione tra pari, tra tre bambini cresciuti troppo in fretta e poi smarritisi e un sessantenne rimasto bambino, o, se vogliamo, tra persone cresciute tra i libri e una vissuta d'esperienze. Ecco allora un'altra ragione per cui il personagio che fa da mediatore tra Royal e il resto della famiglia è Richie, che spiccava nell'attività fisica, nello sport, a differenza degli altri due fratelli. Senza dimenticare, d'altra parte, che lo sport è una simulazione di un'esperienza pratica, codificata da regole ben precise. Nulla a che vedere con le coltellate prese da Royal dal suo inseparabile amico Pagoda ( un modo di convivere col pericolo?) o anche con l'atto di attraversare la strada col rosso. Per tutti questi motivi Richie è personaggio nodale del film, punto di dialogo tra due mondi. E forse per questo spetta a lui la scena più fisica e drammatica che il film riserva ai tre fratelli.
Il pericolo è tema costante del film: Chas ne ha il terrore, sta sempre all'erta per scongiurarlo, e sarà proprio per una situazione di pericolo subito (e scampato) dai suoi figli che gli salteranno i nervi, facendolo rendersi conto di essere isterico e portandolo verso la riappacificazione col padre. Margot, fuggendo per andare in cerca della sua vera famiglia, ci rimette un dito ( e qui ci vorrebbe un esperto di psicanalisi, perchè la perdita del dito simboleggia la paura della castrazione. Funziona anche
per le donne?). Come il falco di Richie che viene lasciato libero e torna a casa con qualche piuma bianca in più, l'allontanamento dalla famiglia e il
successivo rientro non sono fasi indolori ma sono fasi inevitabili. Ma abbiamo divagato. Stavamo dicendo: Royal non è sicuramente un buon padre, ma della madre cosa ne sappiamo? Che ne sappiamo di questa donna che non dorme più con un uomo da diciotto anni, che vediamo
sempre al lavoro ( fa l'archeologa) e che ha scritto un libro sull'infanzia dei suoi tre figli? Personaggio tanto agli antipodi da quello di Royal che non è
difficile immaginarli nè felicemente complementari nè impossibilitati a convivere, perchè per convivere bisogna pure capirsi, e in questa famiglia di mondi separati lei non appare meno ego-centrica degli altri. La vera tara dei Tenenbaum sarà allora la mancanza di comunicazione, che si supplisce con la scrittura. Ma se la scrittura non si fa simbolicamente narrazione, se non c'è una voce a dar vita alla parola, se non c'è un gesto che la crei in immagine viva e concreta, resta il cadavere della comunicazione. Il trucco sta nel far sapere più di quello che si scrive o dice, cercarsi dei complici che possano sorridere di quello che leggono-vedono-ascoltano perchè sanno che dietro c'è dell'altro, che la verità è altrove, e la si nasconde più per gioco che per paura di rivelarla. In fondo, tra Margot che fuma di nascosto e Royal che finge di avere il cancro allo stomaco ci passa una
sola differenza: la mancanza di sensi di colpa che porta alla spudoratezza. Margot dopo aver fumato accende il ventilatore; Royal, mentre finge di avere il cancro, si strafoga di cheeseburger. Il suo mentire è un atto d'amore. Nei suoi confronti, prima di tutto; e poi, di riflesso, nei confronti degli altri. Ma soprattutto, e scusate l'ovvietà , nei confronti della vita.
Royal Tenenbaum è interpretato da Gene Hackman: quando si dice un personaggio cucito addosso ad un attore; con quell'aria paternalistica e strafottente ci strappa un sorriso e conquista la nostra simpatia non appena appaia. Ethel è interpretata da Angelica Houston; impossibile non ricordare la sua Morticia Addams, qui praticamente riproposta in chiave più umana. Margot è Gwyneth Paltrow; vederla impegnata in un ruolo così intenso è già una sorpresa e una soddisfazione. Senza contare che riesce a dare al personaggio una carica tenebrosa e insieme una fisicità che combinate scaturiscono un sex-appeal esplosivo e vagamente morboso.
Chas è Ben Stiller; la sua recitazione nervosa ma calibrata trova qui uno sbocco sorprendentemente drammatico. Richie è Luke Wilson; buffo e triste nascosto dietro la barbona e i capelli lunghi, rasato e sbarbato sembra tornare ad essere una persona normale. Elija Cash è Owen Wilson; irresistibile con la faccia in perenne stupore da droghe ma senza caricaturizzazioni eccessive. Anche questa è in fondo figura tragica. E lo stesso discorso valga per Bill Murray e Danny Glover, rispettivamente nella parte di Raleigh St. Clair e Henry Sherman. Anche loro sublimemente in bilico tra buffoneria e tragedia. Come il film. Ma c'è un altro personaggio nel film, visibilmente invisibile. C'è in tutti i film, ma stavolta si fa sentire e sottolinea la sua invisibilità . E' il narratore. E ciò si riallaccia al discorso che si faceva sopra sul racconto che deve farsi voce; questo narratore, cioè la voce che legge da un fantomatico romanzo che narra la storia “vera” dei Tenenbaum, è il tramite che crea complicità tra il regista e lo spettatore – facciamo finta che sia tutto vero, e tanto strano che valga la pena raccontarlo, per scoprire l'artificio e al contempo guadagnare in verosimiglianza. E questo narratore, questa voce narrante, si permette di darsi un tono di distacco oggettivo perchè sa che la realtà ricreata dal film è soggettivissima. Niente è lasciato al caso, la regia usa molte inquadrature fisse che pure danno il senso di distacco dalla materia narrativa, e utilizza
movimenti-macchina solo quando sono funzionali al racconto. Ma una regia del genere può essere scambiata per regia invisibile solo da uno sprovveduto. Ed è qui che il regista gioca il suo bluff, la sua bugia su cui
cerca la complicità dello spettatore. IL vero Royal Tenenbaum, è lui, Wes Anderson, che ci presenta un film artificiosissimo e al contempo verissimo. Solo che è la sua soggettivizzazione del vero, ricreato dalla sua fantasia. Ogni singola inquadratura è studiatissima, ogni minimo particolare della scenografia e dei costumi, e della gestualità degli attori è indicativo e rivelatore di un tratto di personalità , di una visione del mondo. Per questo poi, come faceva Flaubert, una volta creato un mondo a proprio uso e consumo, si può fingere di guardare a quel mondo come fosse qualcosa di oggettivo, dando a quel mondo finto una forza espressiva unica. Cinema bigger than life, si dice in questi casi, con un'espressione discutibile. Cinema più grande della vita. Perchè? Chiamiamolo piuttosto un modo di vedere le cose, bizzarro, fresco e originale, che si concretizza davanti agli occhi dello spettatore. Questa capacità di essere artificiosi e realistici ad un tempo, e dare in un film contemporaneamente una visione della vita e una visione personale del cinema, è la stoffa del grande regista. La vera sintesi di riappacificazione dello spirito irriverente di Royal e il talento dei suoi figli è in Wes Anderson stesso, e speriamo che col passare degli anni questo promettente regista non perda nè l'uno nè l'altro, nè soprattutto la capacità di far convivere l'uno e l'altro, con pacatezza ed equilibrio. Perchè I Tenenbaum, tra i tanti pregi che ha, ha anche quello di non strafare mai; uno humour sottile e intelligente che si sposa con una leggera malinconia, un senso del tragico e del buffo che non sfocia mai in tragedia o in farsa. Un film straordinario.

Recensione di Ludovica Rampoldi (fonte: film.it)

Famiglia non è un sostantivo. E' una condanna. Con queste parole si apre I Tenenbaum, il film di Wes Anderson che in America ha riscosso un enorme successo di critica e che è stato salutato dal New York Times come il migliore film dell'anno. Già considerato un genio in patria, Anderson sta diventando l'esponente di punta del cinema indipendente d'autore, come il suo omonimo, Thomas Anderson, regista di Magnolia.
Strutturati come in un romanzo, i capitoli de I Tenenbaum raccontano la storia di una famiglia genialoide e nevrotica: un padre istrione ed esigente, una madre brillante e premurosa, e tre piccoli enfant prodige, luminari nei più disparati settori. C'è il mago dell'economia che ha fatto fortuna all'età di dieci anni trafficando in topi dalmata, una baby drammaturga che legge O'Neill e un fenomeno del tennis che ha già vinto tutte le maggiori competizioni. Ritroviamo i Tenenbaum vent'anni dopo, e le cose sembrano molto cambiate. Il padre ha abbandonato la famiglia dopo infiniti tradimenti, la madre sta per risposarsi con il suo commercialista. Ma sono soprattutto i tre figli ad aver perso la strada che sembrava indirizzata verso sicura gloria e successo: Luke, il tennista, è stato clamorosamente umiliato in un incontro e si è imbarcato nella legione straniera, segretamente innamorato della sorella adottiva Margot; Margot, la drammaturga, ha sposato un improbabile neurologo e passa le giornate a mollo nella vasca da bagno con la sigaretta sempre in bocca; Chas, l'economo, dopo aver perso la moglie è solo con i sue due bambini, un cane e la tutina rossa dell'Adidas, la sua seconda pelle. Il padre però, che nel frattempo è stato sfrattato dal Lindberg Hotel, dopo aver distrutto la vita dei suoi figli è deciso a tornare alla riscossa e a farsi perdonare.
Scritto in maniera magistrale, I Tenenbaum è un film godibilissimo ed intelligente. L'ottima sceneggiatura è poi arricchita dalle mirabili interpretazioni degli attori, in particolare quella dello straripante Gene Hackman (che ha ricevuto un Golden Globe per la parte), ingiustamente escluso dalle Nomination agli Oscar. Assolutamente originale è poi il materiale umano che striscia sullo sfondo, un sottobosco esilarante di nevrosi e alienazione: il neurologo Bill Murray e il suo inseparabile paziente, un bambino con una strana sindrome ( non vuoi più fare esperimenti su di me? ). Il vicino di casa che sognava di essere un Tenenbaum ed è diventato un artista cowboy. Il cameriere indiano Pagoda che gioca ad accoltellare il suo padrone. Insomma, I Tenenbaum è un film mai banale, una satira della famiglia graffiante e piena di un'ironia acuta e crudele. Un film da non perdere.

(Manuel Caprari e altri)


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