I “Racconti disumani” di Kafka nella interpretazione di Alessandro Gassmann e Giorgio Pasotti


di Alberto Pellegrino

25 Gen 2025 - Commenti teatro

Grande successo dello spettacolo “Racconti disumani”, andato in scena il 20 gennaio 2025 nel Teatro Piermarini di Matelica (MC), che è stato prodotto dal TSA e ha debuttato a febbraio 2022 nel Teatro Comunale dell’Aquila per poi intraprendere una fortunata tournée lungo tutta la penisola. Ottima regia di Alessandro Gassmann e grande prova attoriale di Giorgio Pasotti.

Gassman è l’universo kafkiano

I testi dello scrittore praghese sono delle esemplari parabole il cui “significato” appare nello stesso tempo profondo e misterioso, segnato da una incombente presenza del Fato, pur richiamando a una modernità per certi aspetti inquietante e angosciosa, un’analisi puntigliosa e implacabile della vita quotidiana, condotta con sottintesi metafisici, in un clima di crescente oppressione che prelude a una catastrofe ineluttabile. Scritti in una prosa decisamente anti-retorica, questi racconti sollevano interrogativi di ordine universale per i quali non c’è risposta, non vogliono dimostrare una tesi e rimangono delle domande irrisolvibili. Qualsiasi interpretazione politica, esistenziale, religiosa, sociale riesce a illuminare solo un aspetto del suo mondo multiforme, perché il simbolismo kafkiano non può essere letto in funzione di un “contenuto” ma presenta delle risonanze che toccano in profondità i problemi dell’esistenza e finiscono per interrogare la coscienza e agli istinti dell’uomo contemporaneo. Il mondo di Kafka, nella sua “assurdità” presenta anche struggenti squarci poetici, un amaro umorismo, una sotterranea ma forte partecipazione sentimentale. Al loro apparire sulla scena, i personaggi kafkiani possono sembrare in un primo momento delle marionette senz’anima, ma poi ci si accorge che ognuno di loro è il portatore di una propria insopprimibile verità.

Due di questi personaggi sono stati portati sulla scena da Alessandro Gassmann che ha deciso di misurarsi con le parole di Kafka in due suoi “racconti disumani” e che nelle note di regia ha scritto: “Franz Kafka, nei suoi racconti, ma come in tutto quello che ha scritto, sorprende, lavora sulla parte profonda di noi stessi, sempre con una visione personale, riconoscibile, inimitabile. Nei due racconti che ho scelto, “Una relazione accademica” e “La tana”, descrive due umanità “disumanizzate”. Se nella relazione presenta una scimmia divenuta uomo, che descrive questa sua “metamorfosi”, nella tana parla di un uomo che, terrorizzato da ciò che non conosce, vive come un animale sotterraneo, in attesa di un nemico del quale è terrorizzato appunto, ma del quale sa molto poco. Penso sia il momento giusto per ridare la parola a questo gigante del teatro e della letteratura, proprio oggi, quando molte delle paure da lui raccontate, trovano posto nella realtà che viviamo. Penso che andare in profondità in noi stessi, e guardare attraverso le parole di Kafka ciò che ci spaventa, possa aiutarci a capire meglio chi è intorno a noi… Il nostro lavoro consiste nel produrre emozioni e, se riusciremo nel nostro intento, sarà bellissimo farlo con un autore grande come Franz Kafka”

Oltre all’essenziale bellezza delle scene sempre di Gassmann, molto validi risultano il light design di Marco Palmieri, i costumi di Mariano Tufano, i video di Marco Schiavoni, le musiche di Pivio e Aldo De Scalzi. Il regista si è affidato, per mettere in scena questo spettacolo con un unico protagonista, a un attore ormai esperto e affermato come Giorgio Pasotti, che dimostra in questo spettacolo di aver raggiunto una maturità artistica unita alla voglia di sperimentarsi e di mettersi continuamente in gioco, superando brillantemente questa straordinaria “prova” d’attore.  

La sensazione di rigetto e di “straniamento” dei testi è stata sottolineata dalla regia di Gassmann anche attraverso l’interpretazione di un bravissimo Giorgio Pasotti, il quale ha saputo diventare “personaggio” con l’uso della voce e del corpo: i gesti, i movimenti non si sono mai dissociati da un’intonazione o da un ritmo relativi ai vari passaggi narrativi, per cui il primo personaggio è stato caratterizzato con una voce roca e con movenze scimmiesche, mentre il secondo protagonista parla con un accento dialettale, un fraseggio rapido e occhiate furbe e guardinghe in un continuo gioco tra umanità e animalità, rimanendo sospeso tra realtà e mistero e riuscendo a trasmettere tutte al ambiguità  del climax kafkiano.

Il primo testo è Una relazione per un’Accademia”

Il primo racconto, pubblicato nel 1917, come accade in altre storie kafkiane ha per protagonista un animale e precisamente una scimmia, la quale narra come in cinque anni si è adeguata al mondo degli umani non per amore della libertà, ma per uscire dalla piccola gabbia dove era stata rinchiusa dopo la cattura. Attraverso varie fasi evolutive, questo essere ambiguo è riuscito a passare da una condizione animale a quella di un uomo di spettacolo. Questa narrazione, destinata a un qualificato pubblico di accademici, ha un tono tra il divertito e l’ironico e vuole dimostrare come le abitudini degli uomini possano essere imitate e replicate con sorprendente facilità (“La prima cosa che ho imparato è stata la stretta di mano; una stretta di mano dimostra franchezza”), comportamenti e discorsi che sono sempre più raffinate grazie al lavoro di diversi maestri per un aspetto umano, pur rimanendo nell’intimo una scimmia.

Pietro il Rosso, una ex scimmia della Costa d’Oro che zoppica per una vecchia ferita provocata dai cacciatori durante la cattura, impartisce una lezione sul come una condizione umana attraverso comportamenti stereotipati e facili per stabilirsi saldamente nella società e conquistare il successo sui palcoscenici di varietà del mondo civilizzato (“Con uno sforzo, che finora non ha avuto l’uguale sulla terra, ho raggiunto il grado di cultura media di un europeo”). Il suo scopo era quelli di liberarsi dalla gabbia e di evitare la “prigionia” in un giardino zoologico, trovare una vita d’uscita senza imitare gli uomini nella ricerca della libertà: “Troppo spesso gli uomini s’ingannano fra di loro con la libertà. E, come la libertà si può contare tra i sentimenti più sublimi, anche la relativa illusione è tra le più sublimi”.

In una in marsina bordeaux e panciotto con lustrini, l’uomo-scimmia si esprime con una sorprendente proprietà di linguaggio per ripercorrere le tappe del suo laborioso percorso di transizione dalla condizione animale a quella umana: il viaggio per mare chiuso in una piccola gabbia; la cura e l’acutezza poste nello studiare il comportamento dell’equipaggio per capire la psicologia umana, la conseguente necessità di emulare – nei gesti e nel linguaggio – la nostra specie per essere accolto in società sia pure come un curiosità biologica, un fenomeno da circo equestre fino a questa insperata occasione di poter tenere di fronte a un pubblico così elevato un discorso ironico e distaccato. L’interprete è seduto su un trespolo ed è illuminato dall’alto, parla si muove con movenze scimmiesche in una fitta oscurità. La quarta parete è delimitata da un “velatino sul quale scorrono immagini di grande effetto visivo che si riferiscono ai ricordi e alle vicende del narratore; la foresta, il giorno della cattura, il viaggio per mare, la gigantesca bottiglia di acquavite primo contatto con l’umanità, le virtuosistiche evoluzioni dei trapezisti al circo.

Il secondo testo s’intitola “La tana”

È uno degli ultimi racconti dell’autore boemo, scritto a Berlino nel 1923, rimasto incompiuto e pubblicato postumo nel 1931. Il protagonista, per metà roditore e per metà architetto, compie un continuo e disperato sforzo per costruire un’abitazione perfetta, un elaborato sistema di cunicoli scavati nel corso di un’intera vita con lo scopo di proteggersi da invisibili nemici.

Si tratta di una disperata e ossessiva costruzione di corridoi che sboccano in altri tunnel che sono dei vicoli che portano verso il nulla in una vana ricerca di una sicurezza che genera solo ansia e terrore. Questo essere, anche in questo caso metà uomo e metà animale, sceglie di allontanarsi da un mondo civile che probabilmente non esiste più (questo tema di un’avvenuta catastrofe che ha cancellato ogni traccia di vita sulla Terra sarà ripreso anni dopo in Finale di Partita di Samuel Beckett), perché si sente braccato e minacciato da invisibili e forse immaginari nemici e in questa sua tana troviamo quel sentimento della solitudine che ha segnato tutta la vita di Kafka, il quale parla di una condizione non tanto di “bestialità” ma di disumanità, per cui il protagonista rinuncia alla sua condizione di essere umano nel tentativo di trasformarsi in qualcosa di sospeso in una linea di confine che lo emargina dal resto del mondo. È il percorso inverso del protagonista del primo racconto che rinuncia alla sua “animalità” per entrare in un corpo umano, mentre in questo caso il protagonista sceglie la “disumanità” per estraniarsi da se stesso e dal mondo al quale non vuole più appartenere.

È questa la prima cifra di questo racconto: il protagonista è un imprecisato incrocio di uomo-animale che vive in un mondo sotterraneo, mentre fuori regna il deserto e il silenzio. È un predatore e una potenziale preda di altre creature, per cui considera la sua tana un riparo dal mondo esterno e dai nemici che popolano il sottosuolo, dei quali va a caccia e si nutre con una maniaca accumulazione di cibo. Negli anni ha costruito un complesso sistema di gallerie con piazzali di sosta, con al centro una munita piazzaforte dove sono depositate le sue scorte di cibo, dalla quale partono passaggi che hanno lo scopo d’ingannare e intrappolare i temuti e potenziali invasori. L’ingegnoso labirinto è l’opera di un’intera vita che non è mai conclusa, perché richiede costanti e ossessivi interventi di manutenzione per evitare crolli o danni provocati da altri abitanti del sottosuolo.

Nessun ragionamento razionale e nessun accorgimento è in grado di rassicurare questo essere antropomorfo, nemmeno le rare sortite intraprese per la caccia, perché teme che la sua tana possa essere individuata dai presunti nemici, tanto più che spesso sente un misterioso sibilo, ora lontano e ora vicino, che lo getta in una nuova spirale di angoscia che riflette la prodigiosa capacità di Kafka nel calarsi nel personaggio per fargli esprimere  pensieri, paure e sentimenti che appaiono di una credibilità e di un realismo sbalorditivi. La tana diventa il riflesso dell’universo kafkiano, il rifugio nel quale ogni essere vivente cerca e trova la sua collocazione per attraversare la propria vita e nel suo geometrico intreccio di vie di fuga, la tana sintetizza l’insieme dei rapporti, dei sentimenti e paure dell’umanità, un percorso che non conduce da nessuna parte anche perché fuori non esiste nulla nonostante si avverta un senso d’incombenza che esiste solo nella mente del protagonista.

Il racconto kafkiano, rimasto incompiuto, è stato ridotto rispetto alla sua lunghezza ed è diventato un monologo proposto con ostentata cadenza dialettale da un ottimo Giorgio Pasotti, che indossa berretto e occhiali da aviatore d’epoca che, emergendo a mezzo busto, passa febbrilmente da uno all’altro dei diversi buchi scavati nella superficie della tana, tagliando e riprendendo il discorso interrotto avvolto in un clima inquietante e claustrofobico che diventa alla fine insopportabile tanto che la regia fa uscire il protagonista dal suo mondo sotterraneo attratto dal fascino di una gigantesca luna.

Al termine dello spettacolo applausi scroscianti e numerose chiamata del pubblico per l’interprete.

Tag: , , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *