“HARMONIA MAESTOSA” all’Accademia Internazionale Malibran
di Andrea Zepponi
6 Nov 2024 - Commenti classica
All’Accademia Internazionale Malibran di Altidona (FM) incontri ravvicinati con la musica da camera. Si è esibito il duoFrancesco Fiore alla viola e Yevheniya Lysohor al pianoforte.
Quanto sia necessario nel panorama musicale odierno riaffermare l’importanza della musica strumentale e concertistica, anche da camera, può essere rimesso a tema in un periodo come questo in cui l’opera lirica ha sempre il suo peso, ma la sua dimensione esecutiva nelle realtà teatrali di riferimento è sempre più riservata alla comprensione di pochi che devono superare lo scarto inesorabile tra l’idea originale dello spettacolo operistico, il concetto tradizionale della sua resa vocale-musicale e le odierne ideologie ri/destrutturanti l’evento lirico. Esiste ancora, per fortuna, sempreverde la musica cameristica la quale, fin dai primi del ‘900, non ha cessato quella sua supremazia in campo compositivo e teorico nella modernità musicale ed è sempre passata come un fiume carsico impetuoso assai visibile tra i grandi e vistosi ponteggi della musica sinfonica e della lirica, senza scomporsi e senza risentire di una presunta avanguardia interpretativa invadente e spocchiosa che si nasconde dietro l’etichetta di autenticità.
L’iniziativa di una prestigiosa e laboriosa accademia attiva da quasi tre lustri per “fare musica” a livello significativo non va sottovalutata e anzi rilevata senza avere scrupoli di portare vasi a Samo. L’Accademia Musicale Internazionale Maria Malibran, trale sue innumerevoli e costanti iniziative, ha proposto nella sua magnifica sede di Altidona, sabato 26 ottobre 2024 alle ore 21,15 il concerto HARMONIA MAESTOSA con il DUO Francesco Fiore, viola e Yevheniya Lysohor, pianoforte per le musiche di Clarke, C. Schumann, Rachmaninov che sono trai più grandi della musica cameristica. La collaborazione dei musicisti con l’Accademia realizza una sorta di simbiosi tra le attese musicali di una istituzione che si impegna a tutto tondo nell’attività musicale e quelle di un pubblico assai eterogeneo ancora avido di consumare musica a un certo livello, che si ostina a non abbassare le proprie esigenze, anzi è grato, se non sorpreso, di vederle soddisfatte nei luoghi e nelle ore del suo territorio. Abbiamo seguito l’evento musicale da vicino, lieti di riportarne una recensione lucida per quanto sia possibile.
Nel sontuoso ma accogliente Salotto Malibran per i Concerti oro dell’Accademia omonima al pianoforte e alla viola i due suddetti musicisti hanno esordito con la Sonata per viola e pianoforte di Rebecca Clarke (Harrow 1886 – New York 1979) nei tempi Impetuoso – Vivace- Adagio-allegro. Violista e compositrice inglese nata nel 1886 a Londra, studiò composizione al Royal College of Music con Stanford che le suggerì di dedicarsi alla viola per impadronirsi delle tecniche solistiche. La Clarke fu tra le prime musiciste professioniste sia in Inghilterra che negli Stati Uniti dove si trasferì nel 1916 restandovi bloccata per lo scoppio della Grande Guerra. È in America che comincia a comporre, firmando i suoi brani con uno pseudonimo maschile. Proprio questo brano fu proposto per il primo premio a un concorso ma, a quanto pare, le venne preferita la composizione di un uomo. Rimase assai male per questo smacco; riprese a fatica l’attività concertistica in giro per il mondo e in Inghilterra, partecipando anche a programmi radiofonici della BBC e a qualche registrazione; la frustrazione subita le fece inoltre ridurre l’attività compositiva che riprese limitatamente negli anni ’40 negli Stati Uniti dove si trovava ancora bloccata dalla nuova guerra. Pur vivendo a lungo (morirà a New York nel 1979), le sue composizioni sono relativamente poche e il periodo più fecondo è quello appena successivo alla Grande Guerra. Pur avendo successo come musicista, soffrì molto per il giudizio degli altri e in generale per una scarsa stima di sé che per tratti diveniva vera e propria depressione. Ha lasciato anche musica da camera e canzoni. La scoperta della sua musica è avvenuta dopo la sua morte, sostanzialmente alla fine del secolo ed è proseguita con la fondazione della Rebecca Clarke Society, nata per sostenere la registrazione e lo studio – comprese prime esecuzioni mondiali – della sua musica. Ma soltanto nel nuovo secolo, a cento anni dal suo debutto la Clarke sta ricevendo il giusto tributo. La Sonata per viola e pianoforte di Rebecca Clarke fu presentata nel 1919, senza pseudonimo ma firmata dall’autrice, al concorso annuale di Elizabeth Sprague Coolidge, ed è stata oggi riscoperta anche in questa occasione dal duo Harmonia Maestosa. Proprioquel brano, contestato dalla giuria, ebbe comunque successo di pubblico e contribuì insieme al trio per pianoforte e alla rapsodia per violoncello degli anni successivi a una certa notorietà per l’autrice. Il frontespizio reca una citazione poetica e la Clarke ci dà un incipit sulla prima pagina della sonata, una citazione da La Nuit de mai (1835) del poeta francese Alfred de Musset. Il primo movimento richiede un impiego veemente della viola che poi dialoga con il pianoforte in un’atmosfera debussyana che si ritrova anche nell’adagio finale. In effetti tutta la composizione risente dello stile di Debussy con l’aura transnaturale tipica del musicista francese sostenuta però da una concretezza tutta britannica. Il finale si libera in forma brillante, con evoluzioni che si discostano dal pensoso adagio iniziale. La sonata si conclude quindi con la stessa forza che caratterizza l’inizio, riprendendo lo stesso materiale melodico con il pianoforte che incalza l’ossessiva tessitura della viola.
L’estrema pulizia di suono del pianoforte della Lysohor e l’estro violistico di Fiore hanno esposto le parti della sonata con pari impegno e difficoltà, evidenziando il linguaggio nell’insieme molto originale che vive del milieu in cui l’autrice si formò ma con tratti decisamente originali rendendo il carattere molto intenso della sonata. Molto piacevole per il numeroso pubblico la vicinanza degli artisti che favoriva la interessante visione della loro manualità strumentale trascesa elegantemente dalle illuminanti spiegazioni di Francesco Fiore che si è soffermato prima di ogni brano musicale a presentarne le caratteristiche storiche ed estetiche.
È venuto poi il turno delle Tre Romanze op. 22 diClara Schumann (Lipsia 1819 – Francoforte sul Meno 1896) nei tempi Andante molto – Allegretto – Schnell. Furono composte originariamente per violino, in questo caso sostituito dalla viola, composte nel 1853 e presentate per la prima volta nel 1855, tra gli ultimi pezzi che Clara compose. Appassionate, cariche di un’intensa energia, a tratti venate da malinconia, conquistarono l’ammirazione del coniuge Robert. Clara Schumann dedicò l’opera 22 al grande amico e virtuoso del violino Joseph Joachim, con il quale eseguì queste romanze in tournée alla presenza del re Giorgio V di Hannover. Dopo la morte del marito nel 1854, non compose quasi più nulla, mantenendo invece viva la musica di Robert Schumann eseguendola in tournée e curandone la pubblicazione. Anche in questo caso la prolusione del musicista, il violista Fiore, ha avvicinato cordialmente gli spettatori alla musica: un tratto confidenziale e anche didattico questo che inizia ad attecchire anche ad alto livello in platee ben più eclatanti di quella dell’Accademia Malibran, ma non meno ricettive e bisognose di contatti più ravvicinati con i musicisti. Il musicista ha delineato il carattere più decisamente romantico dei brani che andava ad eseguire. La prima romanza presenta un pathos di ispirazione romantica tra melodie liriche. Nella sezione finale, l’autrice, che fu spesso anche esecutrice delle proprie opere, fa riferimento al tema principale della prima sonata per violino del marito Robert Schumann. La seconda romanza è più sincopata, con molti abbellimenti. A volte è considerata rappresentativa di tutte e tre, con salti e arpeggi energici, seguiti da un secondo tema e poi da un ritorno al primo. L’ultimo movimento è simile nella struttura al primo e approssimativamente della stessa lunghezza temporale dei primi due, caratterizzato da lunghe melodie idiomatiche con un intricato accompagnamento pianistico.
L’ultimo brano in programma era la Sonata op. 19 in sol minore di Sergej Rachmaninov (Onega, governatorato di Novgorod 1873 – Beverly Hills 1943) nei tempi Lento – allegro molto – Allegro scherzando – Andante – Allegro mosso. Anche in questo caso le note esplicative del Fiore hanno diminuito la ben nota distanza emozionale del pubblico dai musicisti: il violista si è incaricato di entrare in empatia con gli spettatori e di farlo con estrema discrezione e competenza. La Sonata op. 19 è abbastanza indicativa per capire la personalità di Rachmaninov, anche se risale al suo periodo giovanile; l’autore la compose nel 1901, nel corso di una delle tante tournées da lui compiute come pianista in Russia e in Europa. Non è tra le sue composizioni più eseguite ed ha uno sviluppo piuttosto ampio ed articolato. La sonata sarebbe destinata al violoncello con il pianoforte ma il violista ha esibito la sua evidente versatilità anche in questo aspetto, supplendo con la viola allo strumento prescritto. La Sonata per violoncello e pianoforte op. 19 di Sergej Rachmaninov si inserisce a pieno titolo tra quelle partiture fondamentali per questo tipo di formazione, per quanto ancora molto eseguita. È una composizione dalle enormi proporzioni, sia strutturali (formata da quattro ampi movimenti) sia tecnico-musicali. Al pianoforte è chiesto uno sforzo tecnico titanico, come premesso dal Fiore, quasi fosse una partitura solistica, e al violoncello (viola) si richiede un suono e un’idea orchestrale. Una sfida enorme che si evidenzia sin dalle prime battute. È risultato notevole il dialogo tra i due strumenti: il primo movimento si apre con un Lento: il pianoforte, con un piccolo disegno ascendente alla mano destra e una successione accordale alla sinistra; il violoncello, con note lunghe interrotte da piccole imitazioni del disegno pianistico. Il clima oscuro e pacato di quest’inizio viene interrotto dal pianoforte che introduce l’Allegro moderato. Un tappeto di semicrome sostiene e increspa il tema esposto dal violoncello. Poche battute più avanti i due strumenti si danno il cambio: il pianoforte da solo espone il secondo tema, più calmo e pensieroso. Lo sviluppo non presenta nuove idee tematiche, ma un approfondimento di quanto sentito nell’esposizione. Il pianoforte è molto impegnato con una scrittura spesso accordale e il violoncello sugli acuti, in un crescendo di tensione che sfocia nella ripresa e nella conclusiva coda. Il secondo movimento – Allegro scherzando – è in do minore. Nella prima sezione è caratterizzato da un moto perpetuo di terzine di ottavi al pianoforte nel registro grave, note legate “a due” e accordi che passano dalla mano destra alla sinistra. Il violoncello ha delle terzine o crome legate “a due”. In contrapposizione a questa prima sezione si inserisce una seconda, molto luminosa (in mi bemolle maggiore), contraddistinta da un canto spianato del violoncello su un accompagnamento di arpeggi del pianoforte. Queste due zone di ombra e luce che si alternano contraddistinguono tutto questo movimento. L’acme della Sonata però si palesa nell’Andante del terzo movimento. Mai come in questo tempo i due strumenti dialogano così tanto, intrecciandosi, passandosi le idee melodiche. E sempre il pianoforte a introdurre il tema, con il violoncello a rispondere per poi volteggiare verso registri estremamente distanti tra di loro. Il carattere è profondamente crepuscolare e lo si ritroverà, con accenti molto simili, nei Preludi pianistici dello stesso Autore. Il quarto e ultimo movimento – Allegro mosso – è in sol maggiore e si apre con una modulazione ai toni lontani rispetto agli impianti tonali degli altri movimenti (sol minore, do minore, mi bemolle maggiore) che produce un cambio di modo rispetto al primo movimento e un'”affinità di terza” con il penultimo. È un rondò-sonata dal carattere brillante. Il pianoforte introduce il tema, molto nervoso, ripreso dal violoncello. Poche battute e compare il secondo tema in re maggiore, al violoncello, molto più disteso e cantabile. Da qui si apre una lunga sezione rielaborativa dal piglio appassionato e drammatico. Prima dell’ampia coda finale c’è tempo per ascoltare tutto il materiale tematico, si susseguono varie sezioni dalle diverse agogiche e si giunge a un Meno mosso, statico, riflessivo, un piccolo respiro prima del Vivace che in un costante crescendo dinamico concluderà il brano affermando la luce della tonalità di sol maggiore. Gli applausi di quella che definirei una comunità amante della musica alla Malibran hanno sollecitato gli artisti al bis che è consistito ovviamente nel terzo tempo della Sonata n. 1 in fa minore per clarinetto (o viola) e pianoforte, op. 120 n. 1diJohannes Brahms (1833-1897) composto nel 1894 e andato in prima esecuzione a Vienna, al Großer Musikvereinsaal, il 12 novembre 1894. La introduzione del Fiore ha illustrato che la caratteristica essenziale dell’Allegretto grazioso, che mantiene la tonalità di la bemolle cambiando il ritmo in 3/4, mentre sembra instaurare il clima di un amabile Intermezzo di sapore viennese, risulta esser quella di valorizzare le risorse della viola, negli arpeggi, nei mutamenti di registro e di colore, nei crescendo e diminuendo nonché nel dar risalto alle note profonde in sostenuto, in moderato e nella brillante chiusa. Le capacità espressive messe in atto e favorite per entrambi i musicisti da questo brano brahmsiano hanno concluso felicemente la seduta con il plauso e la soddisfazione di tutti.
Per le informazioni più accurate e aggiornate sulla vita, la carriera e le opere di Rebecca Clarke, consultare il suo sito Web ufficiale, http://www.rebeccaclarkecomposer.com. Per ulteriori dettagli, contattami direttamente, oppure utilizza la pagina “Contatti” del sito. Sono un pronipote di Clarke e titolare dei suoi diritti di compositrice e autrice.
Christopher Johnson (Brooklyn, New York, Stati Uniti)