Goran Bregovic travolgente a Porto Recanati
di Roberta Rocchetti
20 Lug 2024 - Commenti live!
Nell’unica data marchigiana, Goran Bregovic e la sua Wedding and Funeral Orchestra hanno regalato al pubblico dell’Arena Gigli di Porto Recanati una serata indimenticabile di musica ed emozioni profonde.
Chi legge mi perdonerà se inizio questo piccolo resoconto di una bellissima serata di musica e gioia con un ricordo personale.
Avevo un cane anni fa che quando ascoltavo musica di qualunque genere, dall’opera lirica al metal, sonnecchiava sul divano senza reazione alcuna, soltanto quando percepiva le prime cantilenanti note che annunciano Ederlezi di Goran Bregovic scattava sull’attenti, orecchie ritte e sguardo vigile per qualche istante, per poi sciogliersi in seguito in una serie di ululati struggenti, tanto che ero a volte, impossibilitata a reggere l’impatto emotivo o preoccupata per la reazione dei vicini, costretta ad interrompere la riproduzione.
Sembrava che la musica più che suscitare qualcosa gli ricordasse qualcosa, qualcosa che non faceva parte dell’esistenza che stava vivendo con me, un richiamo ancestrale di lupo, di radici, pescato dal pozzo del tempo.
Forse è questo che la musica di Goran Bregovic ha il potere di generare, una capacità di attingere a quel mare magnum di cultura mediterranea che è dentro il nostro DNA, dentro il pane che mangiamo, nei tramonti sul mare, nelle barche che sanno di pesce, nel vino ancora in acini che colora le colline, nei gesti che senza saperlo facciamo e che derivano da cerimonie arcaiche, da danze catartiche, da unioni sacre.
Goran Bregovic sistema le note e queste generano, passando dalle orecchie, ricordi che non sappiamo di avere.
Tutto ciò avviene dagli anni ’70, in quel decennio infatti inizia la carriera del compositore nato a Sarajevo sotto il segno dell’Ariete nel 1950, dapprima con il rock, poi grazie anche alla collaborazione col regista Emir Kusturica anche lui come Goran esule a Parigi ai tempi della sanguinosa guerra nella ex Jugoslavia, si sviluppa la corrente folk e nascono le colonne sonore di Il Tempo dei Gitani, Arizona Dream e Underground ma Bregovic compone per il cinema anche al di fuori di Kusturica e crea musica anche per il teatro.
Si ispira alla musica balcanica ma anche a tutto il bacino del Mediterraneo, al sud di entrambi gli emisferi, i ritmi, le melodie si agganciano ad un tessuto culturale e storico profondo e ampio nel tempo e nello spazio, per poi trovare una sintesi in arrangiamenti attuali e accattivanti.
Gli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio vedono la musica di Bregovic esplodere ovunque e la sua orchestra itinerante la Wedding and Funeral Orchestra gira freneticamente l’Europa e il mondo sulla scia di un successo inarrestabile, forte di una carica inestinguibile che difficilmente si trova ad un livello così autentico e altrettanto difficilmente si riesce a trasmettere al pubblico senza sforzo alcuno e senza nessuna necessità di incitarlo alla partecipazione, tanta è l’impossibilità ad un certo punto dei concerti di stare fermi al proprio posto.
La carriera prosegue senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri, la tournée 2024 prevede 10 date nazionali e il 17 luglio abbiamo avuto l’onore di poter assistere all’unica data marchigiana all’Arena Beniamino Gigli di Porto Recanati di questa band dalla formazione negli anni variabile ma sempre gorancentrica.
Il concerto (sold out) inizia subito sviluppando energia, Bregovic come sempre appare nel suo abito candido sul palco dopo che alcuni membri della band hanno fatto il loro ingresso passando dalla platea già dando fiato agli ottoni.
Prima di procedere però Bregovic ci regala una breve storia, narra di un vecchio ebreo che si reca al muro del pianto tutti i giorni per 60 anni per pregare, finché una giornalista si decide a chiedergli che desiderio ha espresso con così tanta intensità per tutto quel tempo e lui risponde che ha chiesto al suo dio la pace, ma è stato come parlare al muro.
E conclude realizzando che la pace non può regalarcela nessun dio, ma dobbiamo farcela da noi.
Il tempo scorre all’indietro e si inizia con i brani più recenti spaziando dal Sudamerica ai Balcani, alle sonorità greche e mediorientali, per poi tuffarsi nelle composizioni più storiche, attraversano quindi il palco le note di Gas Gas, Mesecina, Caje Sucarije, che creano nuclei danzanti tra il pubblico, nuclei invero composti per la maggior parte di donne, baccanti calamitate dal Dioniso dei Balcani, del resto il suo motto è: Chi non diventa pazzo non è normale, ci si strugge poi ambo i sessi con la morbida Ausencia scritta per Cesaria Evora.
Nella lunga sessione di bis gentilmente concessa appare In The Death Car che fu cantata da Iggy Pop all’interno della colonna sonora di Arizona Dream con Johnny Depp, il pubblico impegnato a far da coro, segue la celeberrima Kalashnikov, la marziale Artiglieria l’immancabile Bella Ciao e ovviamente Ederlezi.
E a quel punto, con la luna crescente a tre quarti che pendeva sull’Arena e faceva da inarrivabile scenografia cosmica al concerto, un ululato in lontananza mi è parso di sentirlo.