Gli amori di Venere e Tannhäuser narrati da Audrey Beardsley


di Alberto Pellegrino

28 Feb 2025 - Letteratura, Libri

L’inglese Audrey Beardsley (1872-1898), morto a soli 25 anni, è stato il più grande illustratore del Decadentismo e il suo capolavoro è costituito dai meravigliosi disegni con cui ha illustrato la tragedia “Salomè” di Oscar Wilde, un’opera dallo stile raffinato, corredata da una serie di figure audaci e provocatorie che hanno sfidato il “perbenismo” dell’Inghilterra vittoriana e hanno profondamente modificato la percezione del confine che allora divideva decorativismo ed erotismo. 

Audrey Beardsley tra il 1894 e il 1896 ha scritto il suo unico romanzo uscito postumo nel 1907 e intitolato La storia di Venere e Tannhäuser, un’opera arricchita da una serie di illustrazioni nelle quali vengono assemblate l’eleganza del liberty e la leziosità del Settecento, l’erotismo barocco e le raffinatezze dell’Estremo Oriente. Questa “novella romantica” (come l’ha definita l’autore) è arrivata in Italia grazie a un prezioso volume curato da Matteo Pinna e pubblicato nel 2024 da WoM Edizioni.

In questo romanzo erotico, rimasto incompiuto, Beardsley rinnova l’eterno mito della Venere germanica che affonda le sue radici sia nel leggendario regno della nostra Sibilla Appenninica, sia nella letteratura tedesca dal Medioevo fino al Romanticismo, un periodo in cui viene fatta una particolare “lettura” del rapporto tra miti classici e miti medioevali. Beardsley riprende la tradizione del Venusberg, il monte scelto dalla dea dell’amore come regno sotterraneo e luogo d’irresistibile attrazione per cavalieri in cerca d’avventura e di emozioni erotiche. Nello stesso tempo l’autore inglese si distacca dalla visione religiosa della saga nata intorno alla figura cavalleresca di Tannhäuser, che non è più l’eroe cristiano combattuto fra sensualità e spiritualità, tra salvezza e dannazione, tra peccato e redenzione, ma è un raffinato dandy che sceglie deliberatamente la strada del piacere e del sesso.

La Venere di Avbrey Beardsley

Il rifiuto della tradizione

Beardsley recide ogni legame con quel leggendario mondo medioevale, nel quale Venere era vista come una meretrice e una incarnazione della perversione sessuale ed era messa in contrapposizione con la Vergine Maria via di salvezza per il peccatore che voleva redimersi dalle proprie colpe. Collocato dalla fantasia popolare nelle foreste della Germania, il Mons Veneris si colloca simbolicamente tra il Sacro Romano Impero e la Chiesa di Roma, destinate a formare un sistema politico che li vede antagonisti e conniventi nel gestire e rafforzare un patto di stabilità politico-religioso tacitamente accettato durante tutto il feudalesimo e in parte nell’età moderna.

Secondo questa visione, il Venusberg rappresenta un luogo di piacere carnale e di perdizione messo a disposizione dei cavalieri teutonici che, da un lato, sono votati alla difesa del potere imperiale e del cristianesimo; dall’altro sono i paladini di quell’amor sacro che, secondo quell’ideale cortese, è fondato sulla devozione verso una donna che, con la sua purezza, rappresenta sulla terra l’insieme delle virtù mariane e viatico per la salvezza dell’anima. Questa occulta presenza di Venere ha una valenza ambigua, perché esprime la forza biologica e culturale delle pulsioni sessuali fino a diventare una presenza demoniaca e una tangibile incarnazione del male, indispensabile per rafforzare quel valore della santità che ha bisogno di contrapporsi a un nemico teologico-ideologico la cui sconfitta  conduce alla salvezza dell’anima; inoltre questo scontro tra la debolezza della carne e la forza dello spirito avrebbe rafforzato quella spinta attrattiva verso quei paladini disposti a battersi in difesa del potere civile ed ecclesiastico.

La Venere di Avbrey Beardsley

Chi è Tannhäuser

Dal punto di vista storico si tratta di un cavaliere-trovatore di Salisburgo realmente vissuto nel tredicesimo secolo, che ha partecipato alla sesta Crociata ed è stato poi trasformato nell’immaginario popolare in un peccatore che ha voluto conoscere le delizie sessuali nella dimora segreta di Venere. Caduto successivamente preda dei sensi di colpa e della paura di una dannazione eterna, si reca a Roma per prostrarsi davanti al Papa Urbano IV e implorare il perdono delle sue colpe, perdono che gli viene negato, per cui il cavaliere risale la penisola italica, attraversa la Svizzera e ritorna per sempre nel regno dell’amata Venere. 

Secondo una variante della leggenda, Urbano IV avrebbe emesso un diverso tipo di sentenza: solo un miracolo avrebbe salvato l’anima traviata di quel cavaliere peccatore, per cui fa piantare il suo bastone papale, ricavato da un ramo secco, affinché possa ricoprirsi di fiori entro tre giorni. Il miracolo in effetti si verifica, ma i messi papali non riescono a trovare Tannhäuser per comunicargli il perdono ottenuto, perché il cavaliere ha ormai scelto di vivere all’interno del Monte di Venere e quindi non riceverà mai la notizia dell’avvenuto prodigio e della conseguente assoluzione.

Nel suo melodramma del 1840, Richard Wagner fa propria la prima versione della leggenda, per cui Tannhäuser viene redento da “l’eterno femminino”, come era avvenuto per Faust nel poema di Goethe: dopo avere abbandonato il regno di Venere, il cavalier si prostra pentito dinanzi alla salma di Elisabetta, la casta fanciulla amata e morta di dolore a causa dei suoi peccati; nello stesso momento egli muore e la sua anima purificata ascende in cielo.

La toilette di Venere

I caratteri del romanzo La storia di Venere e Tannhäuser

Beardsley adotta una “lettura” trasgressiva del mito, secondo la quale il protagonista sceglie il regno del godimento erotico, accetta le più estenuanti liturgie sessuali senza porsi problemi di ordine morale, senza che la sua coscienza sia tormentata da alcun senso di colpa; anzi non esita a scegliere Venere e dire addio alla Venere celeste, che fugge lontano da quel mondo di peccato per rifugiarsi tra le braccia di Santa Rosalia di Lima.

Questo Tannhäuser non è un cavaliere diviso tra il mestiere delle armi e la poesia amorosa dei Minnesanger, ma è un dandy elegantissimo e indolente che si lascia possedere dalla dea dell’amore ed è soprattutto preoccupato del suo aspetto esteriore (“Voglia il cielo che sia rassicurato da uno specchio prima di apparire”), una specie di damerino che vuole apparire “bello come una dea”. La stessa Venere è ossessionata dalla cura del proprio corpo che deve sempre risplendere in tutta la sua bellezza, per cui la vestizione, il trucco, l’acconciatura delle chiome diventano una cerimonia sacrale durante la quale la dea indossa abiti dalle stoffe preziose, ornati da straordinari gioielli. È come se Venere si predisponga a salire su un palcoscenico affollato da giovani cortigiani e cavalieri, splendide dame deliziosamente abbigliate, ballerine, cantanti e marionette, dove la dea è il centro catalizzatore di uno spettacolo nel quale si susseguono a ritmo vertiginoso balletti, concerti, cene sontuose in un vortice di voluttà sostenuto da una colonna sonora un po’ blasfema dove risuonano le note dello Stabat mater di Rossini.  La storia del cavalier Tannhäuser, con una buona dose d’ironia, viene spostata dal Medioevo al frivolo e licenzioso Settecento francese, ampolloso e rococò; è collocata in un mondo dove riecheggiano le atmosfere di un Marchese De Sade rivisitato in modo decadente e meno violento. Si assiste a un trionfo della provocazione sessuale nel segno di una Venere che illumina con le sue nudità un regno di giochi d’amore, di confidenze piccanti, di follie erotiche, di spettacoli che ricordano i tableaux magiques.

Il ritorno di Tannhäuser al Venurberg

L’interpretazione del mito da parte di Beardsley

Rispetto alla edificante versione medioevale, il “tenebroso” Beardsley preferisce proporre una  propria visione “neopagana” di Venere che appare come un demone, una “arcidiavolessa” che incarna lo spirito satanico della femme-fatale, della “cortigiana celeste”, della “divina putaine”, una corruttrice capace di inoculare il morbo del piacere carnale che va dall’erotismo più sofisticato al più volgare meretricio che, secondo Beardsley, è un aspetto divino della natura della dea, la quale considera anche il sesso un “serbatoio comune, inestinguibile, dell’amore”. È l’essenza stessa del decadentismo per il quale la divinità presenta una natura femminea, anzi è la più grande delle prostitute. Il Monte di Venere (che è anche il nome del pube femminile) diventa il luogo privilegiato del Desiderio, dove è possibile realizzare i più reconditi e segreti sogni sessuali, dove le pratiche sessuali diventano un rito sacrale con tutte le sue ambiguità e incandescenze, una cerimonia misterica e simbolica che si riflette anche nelle ambientazioni, nelle decorazioni, negli arredi fino a celebrare il trionfo del voyeurismo, un occhio che trova godimento nel guardare la scena dal di fuori.

Il Tannhäuser di Beardsley non ha bisogno di una redenzione, di una conversione; non prova alcun senso di colpa; non conosce il peccato, perché dalla sua esistenza erotizzata sparisce ogni contraddizione spirituale. Infatti questo antieroe entra volontariamente nel Venusberg e abbandona definitivamente il mondo cristiano per assumere nei confronti della religione una posizione agnostica, che si ricollega a quella teoria sulla “morte di Dio” sostenuta da Nietzsche.

Il romanzo di Beardsley rientra anche in quella corrente filosofico-letteraria che nell’Ottocento riscopre le divinità classiche nel segno di una nostalgia “neopagana” fatta propria da diversi scrittori importanti, fra cui Henrich Heine, autore dei saggi Gli spiriti elementari e Gli dèi in esilio (1853),nei quali si prende in esame “la trasformazione subita dagli dèi greco-romani allorché il cristianesimo conquistò il dominio del mondo”. Attraverso l’esplorazione delle leggende, delle fiabe e delle superstizioni medioevali, Heine mette in evidenza una “demonizzazione” degli antichi dèi, che sono stati mandati in esilio o addirittura cancellati dopo l’avvento del cristianesimo. Alla luce della sua “sensibilità moderna” e di una malcelata ironia, egli prende in esame un ricco materiale mitologico e fiabesco per dimostrare che gli dèi pagani sono sopravvissuti ai roghi delle streghe, alle saghe della foreste germaniche, al demi-monde parigino, per cui è ancora possibile mettersi sulle loro tracce per evidenziare come essi abbiano influenzato la cultura europea mantenendo vivo l’amore per la Grecia classica, il culto dionisiaco, il mito della Donna Perversa, il piacere della contaminazione. A causa del loro oscuramento gli dèi dell’antichità classica sono stati costretti a condurre un’esistenza nascosta nei più remoti paesaggi nordici, tuttavia la loro presenza è rimasta viva nell’immaginario popolare, dando forma a un neopaganesimo germanico che ha rappresentato istanze culturali e psicologiche collegate alla tradizione mitologica del mondo classico. Si tratta di una visione parziale della storia, che non tiene conto dell’apporto positivo dato dal cristianesimo allo sviluppo della civiltà occidentale, nonostante i molti errori commessi e soprattutto i molti tradimenti compiti nei confronti dell’originario messaggio contenuto nei Vangeli.

Tag: , , , , , ,

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *