“Giovanna d’Arco” apre in mondovisione la stagione scaligera
di Alberto Pellegrino
2 Gen 2016 - Commenti classica, Musica classica
Milano (7.12.2015). Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi è ritornata dopo 170 anni al Teatro alla Scala suscitando molte aspettative nel pubblico, aspettative che non sono andate deluse da uno spettacolo di alta qualità, salutato alla fine da undici minuti di applausi e trasmesso in diretta da RAI5 (che ha impiegato un’alta tecnologia televisiva) in 13 Paesi e 22 emittenti radiofoniche europei, proiezioni in diretta cinematografiche in Italia, Francia, Spagna e Germania, in differita in Corea, Giappone, Stati Uniti e Australia con un notevole impegno tecnologico che ha comportato l’uso di 10 telecamere ad alta definizione, 2 microtelecamere sulla scena e 60 microfoni.
Riccardo Chailly, che ha diretto l’orchestra della Scala, ha dato un’interpretazione puntuale dello spartito così come è stato ideato dal compositore in modo molto impegnativo tanto da richiedere dei cantanti eccezionali, un coro capace di eseguire una partitura molto complessa. In questa messa in scena sia il coro scaligero, sia i due principali interpreti, il tenore Francesco Meli (Carlo VII) e il soprano Anna Netrebko (Giovanna) sono stati capaci di fornire una straordinaria interpretazione, superando tutte le difficoltà vocali dello spartito, dando spessore e credibilità all’intera vicenda.
L’opera verdiana
Giovanna d’Arco, eroina nazionale e patrona della Francia, ha sempre affascinato diversi compositori, fra cui vanno ricordati Rossini (Giovanna d’Arco, cantata del 1832), Nicola Vaccai (Giovanna d’Arco, 1827, libretto di Gaetano Rossi), Cajkovskij (La pulcella d’Orleans, 1890, da Puskin) e Honegger autore dell’oratorio drammatico Jeanne d’Arc au buscher (1938, libretto di Paul Claudel) che nel 1954 arriva alla Scala in una memorabile edizione diretta da Gianandrea Gavazzeni, con la regia di Roberto Rossellini, le voci recitanti di Ingrid Bergman e Memo Benassi.
Per Verdi questa è la settima opera e la quinta scritta per la Scala, che debutta nel 1845 durante quel periodo da lui definito “della galera”, dopo aver composto Nabucco, Ernani, I due Foscari e prima de I Lombardi alla prima Crociata, affascinato da questa eroina guerriera la cui storia rientra in quel clima risorgimentale che spesso caratterizza le opere verdiane di questo periodo.
La stesura del libretto è affidata a Temistocle Solera che si rifà al dramma La Pulcella d’Orleans (1801) di Friederich Schiller, inaugurando una frequentazione delle sue opere che porterà alla nascita di I masnadieri, Luisa Miller e Don Carlos. Nonostante alcune incongruenze storiche e letterarie, Solera fa un buon lavoro perché riduce i 27 personaggi a cinque e concentra la vicenda sull’amore tra Giovanna e il delfino Carlo di Francia, sul rapporto padre-figlia. L’opera riscuote un immediato successo anche se avrà gravi problemi con la censura a causa della controversa figura di Giovanna processata per eresia (sarà proclamata santa solo nel 1920) e per la scabrosa ossessione nel libretto per l’illibatezza della giovane a cui il padre chiede più volte con insistenza “pura e vergine sei tu?”, tanto che a Roma e Napoli l’opera viene rappresentata con il fantasioso titolo di Orietta di Lesbo.
Siamo di fronte non a un’opera minore, ma a un’opera “sperimentale” che richiede un grande impegno vocale e che nasce quando il genio verdiano si sta preparando all’esplosione della trilogia popolare e ai successivi capolavori. A testimonianza di questo va sottolineata una precisa strutturazione drammaturgica (un prologo e tre atti), un’orchestrazione accuratissima che prevede l’impiego di fisarmonica, campane, sistri, arpe e, nell’ultima romanza del tenore, un originale accompagnamento di corno inglese e solo violoncello, con brani musicali che si ritroveranno in altre opere (duetto del Ballo in maschera, scene trionfali di Don Carlos e Aida, passaggi drammatici di Trovatore e Forza del destino), con l’aria di Giovanna S’apre il ciel che tornerà più tardi nel duetto finale O terra addio dell’Aida. Nell’opera, oltre alla notevole parte affidata al coro, vanno segnalate la sinfonia, la marcia trionfale (II atto), la marcia funebre (III atto), Sotto una quercia parvemi (cavatina di Carlo), Sempre all’alba e alla sera (cavatina di Giovanna), Son guerriera che a gloria t’invita (terzetto Giovanna—Carlo-Giovanni), O fatidica foresta (romanza di Giovanna), Amai ma un solo istante (duetto Giovanna-Carlo).
La trama
L’opera inizia quando l’esercito inglese è sul punto di sferrare sul territorio francese un attacco che appare insostenibile. Il re di Francia Carolo VII si reca in un bosco di Domremy per deporre la sua spada ai piedi di un’immagine miracolosa della Madonna con l’intenzione di lasciare il trono. Nascosto tra gli alberi, egli vede Giovanna inginocchiata in preghiera che chiede alla Vergine la possibilità di battersi contro gli invasori del proprio paese. La giovane si addormenta e in sogno è tentata da un coro di spiriti maligni che la spingono a prestare attenzione a un giovane uomo che le sta vicino. Voci angeliche la esortano a rinunciare all’amore carnale per liberare la Francia in nome di Dio. Di nuovo sveglia, Giovanna dichiara di essere pronta a compiere la sua missione. Carlo si avvicina e Giovanna lo esorta a combattere contro l’invasore, avendo lei al proprio fianco. Impressionato dalla proposta della giovane, Carlo dice di essere pronto a svolgere la propria missione e i due si allontanano. Giacomo, il padre di Giovanna, convinto che la figlia abbia ceduto alle tentazioni demoniache e sia impura, si reca nel campo degli Inglesi afflitti per la sconfitta subita. Giacomo si dice disposto a condurre la giovane guerriera comandante delle truppe francesi nel campo inglese come prigioniera. In questo modo desidera vendicarsi della figlia che l’ha tradito e del re che considera il suo seduttore. Giovanna per la missione compiuta vuole ritornare alla semplice vita dei campi, ma Carlo le chiede di restare confessandole di amarla. In un momento di debolezza anche Giovanna gli confessa il suo amore. Voci angeliche la mettono in guardia e Giovanna cerca di liberarsi dagli abbracci del re. Un ufficiale annuncia che il popolo vuole incornarlo nella cattedrale e il re conduce con sé Giovanna affinché gli ponga la corona sul capo. Gli spiriti maligni esultano per la vittoria sull’innocenza di Giovanna. La popolazione inneggia a Giovanna e Carlo proclama la giovane Santa protettrice della Francia, ma ecco il padre che accusa la figlia di essere una strega e Carlo un blasfemo. Il re difende Giovanna dicendo che non può essere una peccatrice, mentre la giovane tace perché vuole fare penitenza e il popolo prende il suo silenzio come un’ammissione di colpa e chiede il suo esilio. Giacomo porta con sé la figlia per consegnarla agli Inglesi che vogliono metterla al rogo. In una prigione inglese Giovanna prega Dio perché la liberi, Giacomo esaudisce il suo desiderio e Giovanna, afferrata una spada, corre al campo di battaglia ma è ferita mortalmente. Carlo celebra la vittoria e perdona Giacomo, mentre la giovane guerriera viene portata dinanzi al re. Una grande luce circonda miracolosamente il volto di Giovanna, la quale si alza in piedi e grida che il cielo si sta aprendo e che vede la Vergine Maria. Voci celesti cantano le sue lodi mentre lei cade a terra senza vita.
La messa in scena
La regia dell’opera è stata affidata al belga Moshe Leiser e al francese Patrice Caurier, che lavorano insieme dal 1983 e che nel 2014 hanno vinto l’ International Opera Award per l’opera Norma allestita al Festival di Salisburgo. Essi sono convinti assertori che il melodramma debba essere presentato agli spettatori secondo una stretta connessione tra testo teatrale e dettato musicale e per realizzare i loro progetti si avvalgono di una squadra particolarmente affiatata, formata dallo scenografo Christian Fenouillat (autore di scene molto suggestive supportate da un efficace uso di videoproiezioni), dal costumista Agostino Cavalca (creatore di costumi ideati con un sapiente dosaggio tra realtà ottocentesca e fantasie medioevali), dal light designer Christophe Forey (autore di sapienti e intensi passaggi luministici).
Lontani da ogni forma di spettacolo decorativo, i due registi hanno sempre cercato di offrire una nuova lettura delle opere loto affidate nel pieno rispetto dei contenuti drammaturgici del libretto e delle intenzioni dei compositori, riscuotendo successo di pubblico e consenso della critica nei principali teatri di Londra, Vienna, New York, San Pietroburgo e Barcellona. Essi hanno deciso d’imboccare la strada di una Giovanna isterica e affetta da una follia segnata da un delirio mistico con un richiamo a una certa realtà storica, per cui sulla scena compariranno spade e cimieri, la foresta, la metafora di un rogo, la cattedrale di Reims che sorge in modo suggestivo dal sottosuolo. Pur tenendo conto del libretto e delle sue cadute stilistiche, i due registi si sono allontanati dalla visione storica della Pulcella d’Orleans, si sono tenuti lontani da ogni strumentalizzazione politica da parte della destra (eroina nazionalista per il Front National e durante il governo filonazista di Vichy) e della sinistra (liberatrice del popolo” per i socialisti). Hanno scelto di farne una donna eretica e contemporaneamente una vergine fedele alla Chiesa, una donna libera e nello stesso tempo tormentata dalla pazzia. Del resto nel libretto si parla molto di sogni, angeli e demoni; è presente in modo rilevante la figura della Vergine Maria come accadrà solo nell’altra opera I Lombardi alla prima crociata. Certamente, sulla scia del dramma di Schiller, il tema dell’amore tra il re e la Pulcella assume dimensioni ossessive e sessuofobiche e forse il contrasto fra i sentimenti terreni della giovane e il suo rapporto con la sfera soprannaturale costituisce l’elemento più interessante dell’opera e di questo allestimento, dove schiere di demoni circondano Giovanna sul suo letto di malata e voci angeliche scendono dal cielo per consolarne i dubbi e rafforzarne la fede.
Ispirati agli studi sull’isteria di Jean-Martin Charcot, ai drammi psicologici di Ibsen e Strindberg, i due registi hanno racchiuso tutta la vicenda all’interno di una stanza dall’arredo borghese, dove Giovanna giace sul suo letto di malata, vegliata dal padre Giacomo che entrerà nelle sue visioni mantenendo sempre il suo abito ottocentesco. Proprio il rapporto padre-figlia diventa il nodo centrale della vicenda con un uomo violento che, in nome della religione, usa ogni mezzo per salvare l’anima della figlia. Tutto il resto rientra in un sogno allucinato, dove prendono vita protagonisti e personaggi secondari, spiriti maligni e angeli, carceri e cattedrali. Lo stesso re Carlo VII, completamente coperto d’oro, sembra più un personaggio mediato dal teatro dei pupi che dal melodramma anche nella scena madre, quando sorge dal sottosuolo sopra un cavallo dorato di cartapesta; del resto anche Giovanna indossa una corazza d’oro. Mentre sul palco scorrono le varie scene, sul grande schermo passano immagini di foreste e battaglie, scene di sesso e fiamme di roghi in un continuo alternarsi di pulsione erotiche e slanci mistici, erotismo e religione. Dopo il finale eroico e mistico, la grande fiaba medioevale ha termine e si ritorna nella stanza da letto su cui giace morta una giovane malata, una stanza dalla quale ci si accorge di non essere mai usciti. I due registi hanno detto che “sarebbe stato banale presentare la protagonista come un’eroina positiva che si sacrifica per la Francia…invece la immaginiamo come un personaggio diviso tra il desiderio di essere qualcuno, di uscire dall’anonimato, e l’incapacità di vivere appieno la sua sessualità tanto da rifiutare l’amore terreno per il re Carlo. Un conflitto straziante che la porterà alla pazzia e alla morte”.