Giacomo Leopardi diventa un giovane favoloso


di Alberto Pellegrino

6 Nov 2014 - Commenti cinema

Elio Germano MusiculturaonlineÈ possibile tradurre la poesia in immagini? Finora nel mondo c’era riuscito con la fotografia soltanto Mario Giacomelli eppure il miracolo si è ripetuto al cinema con Mario Martone (fatale coincidenza dei nomi) che con Il giovane favoloso sta trionfando nelle sale (nelle prime due settimane tre milioni di euro d’incassi e oltre mezzo milione di spettatori), affollate da un pubblico soprattutto di giovani che hanno modo di riscoprire e comprendere meglio la figura e l’opera del più grande e poliedrico genio della letteratura italiana di tutti i tempi. Una volta tanto la stragrande maggioranza della critica cinematografica italiana si è mostrata d’accordo con gli spettatori nel giudicare questo film straordinario.
Per noi vecchi leopardiani, che abbiamo amato razionalmente e visceralmente il poeta recanatese fin dai tempi del ginnasio, il film di Martone non è stata una sorpresa, data la stima nutrita per questo regista che, dopo avere frequentato i classici e i contemporanei del teatro, aveva già fornito una  prova del suo valore con l’ottimo film sul Risorgimento Noi c’eravamo e con l’adattamento teatrale delle Operette morali.
“Gli spettatori hanno fame di bellezza, pensiero, emozioni profonde” ha detto Mario Martone e iElio Germano-Mario Spada Musiculturaonline giovani, che rifiutano un Paese prostrato e senza ideali, cercano nuove speranze nella voce di un poeta storpio e ribelle, presentato al di fuori degli aridi schemi dei compiti scolastici”. Il film bellissimo, appassionante, illuminante rappresenta una di quelle opere di alta e raffinata divulgazione che è la forma migliore per stimolare una conoscenza più approfondita. Con felice intuizione Corrado Augias ha scritto che questo film concede a tutti “il privilegio di conoscere un genio”, perché Giacomo Leopardi è un universo sterminato, un poeta immenso, un poderoso pensatore che il   film riesce a rappresentare facendone una figura dalla sbalorditiva attualità.
Il Leopardi del film non è un poeta piagnucoloso e dal carattere instabile, ma un giovane che si ribella al conformismo della società, un “eretico” che avversa l’ipocrisia del cattolicesimo reazionario e il falso progressismo, un visionario che sa “leggere” il futuro con la forza d’animo di un eroe romantico come – dice su Repubblica Valerio Magrelli – il Quasimodo di Notre Dame e L’uomo che ride di Victor Hugo, oppure un supereroe capace di affascinare i più giovani al pari di Batman, Superman e l’Uomo Ragno.
Gloria Ghergo-Mario Martone-Elio Germano-Mario_Spada MusiculturaonlineMartone ha dichiarato di avere studiato per lungo tempo, insieme all’altra sceneggiatrice Ippolita di Majo, le opere e gli scritti di Leopardi e alla fine è rimasto affascinato da “un pensatore ribelle, ironico socialmente spregiudicato”, non un gobbo monotono e triste, ma un giovane dotato di una “immaginazione chimerica e visionaria”, di una grande forza d’anima che gli permette di compiere il suo cammino esistenziale tra Recanti, Roma, Firenze e Napoli, spesso dileggiato, a volte “tollerato”, quasi sempre giudicato con astio da mediocri letterati e intellettuali suoi contemporanei. Del resto, oltre mezzo secolo fa, il grande studioso Umberto Bosco fin dal 1957 aveva parlato del titanismo leopardiano, facendo riferimento alla capacità del poeta di dialogare da pari a pari con la “Natura matrigna” e di scrivere i versi della “Ginestra” inneggianti alla fraternità universale.
Il film, che nel suo insieme è una grande pagina di poesia visiva, s’impone innanzitutto per degli squarci di cinema puro, dove il linguaggio delle immagini assume un ruolo determinante come nel silenzioso, costante, commovente dialogo del poeta con la luna, nel momento dell’appassionato connubio tra immagini e i versi dell’Infinito, nella sconfinata visione dell’eruzione del Vesuvio collegata ai versi della Ginestra, che anticipano di un secolo tanteUna scena del film  Musiculturaonline elaborazioni della filosofia europea. Questo Leopardi non è il classico letterato italiano pomposo e cortigiano, ma un profeta che traccia l’elogio del dubbio come condizione esistenziale, che rivela la miseria della debolezza umana, ma nello stesso tempo esalta la dimensione cosmica del pensiero umano, un pensatore che scopre il dolore come costante condizione dell’umanità, ma che lo ritiene anche capace di conferire a ogni uomo una straordinaria nobiltà che sfocia nel bisogno di una viva fraternità.
Pienamente riuscita, grazie alla fotografia di Renato Berta, la rappresentazione di un’antica Recanati stretta intorno al Palazzo dei conti Leopardi, il quale ha a sua volta il proprio baricentro in quella biblioteca paterna che, con i suoi 16 mila volumi, diventa il principale universo da cui prenderà avvio l’avventura metafisica del giovane Giacomo. La Recanati del film è l’amato “borgo selvaggio” che non è fatto solo di luoghi “ameni” e di lontani “monti azzurri”, ma anche di nebbie e di cieli cupi, dove l’aria “mutabilissima, umida, salmastra, crudele ai nervi e per la sua sottigliezza niente buona” risulta dannosa alla sua salute. Alla piccola città provinciale si contrappongono bellissimi squarci del mondo romano e fiorentino per approdare infine a una Napoli rigurgitante di vita popolare e fantasiosa con i suoi riti magici, con la volgarità e la miseria dei bassifondi, dove il poeta vive “separatismo dalla gente, in un paese pieno di difficoltà e di veri e continui pericoli, perché veramente barbaro, assai più che non si può mai credere da chi non c’è stato”.
Lo scenografo Giancarlo Maselli e la costumista Ursula Patzak contribuiscono con la loro accurata ricerca a un’impeccabile ricostruzione di un periodo storico prerivoluzionario, nel quale convivono le spinte al rinnovamento di una società statica con le formalità e il rigore di una società reazionaria. Suggestive atmosfere creano le musiche di Sascha Ring nate da uno strano connubio tra Rossini e musica elettronica.
Il successo del film è anche legato alla performance degli interpreti tutti bravissimi a cominciare da Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), padre autoritario e conservatore, affettuoso e geloso, ma anche il primo estimatore di questo figlio geniale che considera il suo principale collaboratore e dal quale non vorrebbe mai separarsi; Anna Mouglalis è una convincente Fanny Targioni Tozzetti, Michele Riondino veste i panni di Antonio Ranieri, presentato come l’amico e il custode di un Leopardi sempre più malato, un uomo che poi scriverà una biografia piena di aspetti negativi, ma che fornirà anche notizie utili per una maggiore conoscenza del poeta.
il giovane favolosoAl di sopra di tutti gli attori si colloca Elio Germano, il quale costruisce una straordinaria interpretazione che parte dalla complessa interiorità del personaggio leopardiano per arrivare alla progressiva trasformazione di un corpo martoriato dalla malattia. Germano si affida all’intensità dello sguardo; ricorre alla sua capacità di proporre versi sublimi, riuscendo a superare la terribile prova di recitare l’Infinito senza provare imbarazzo nel sapere che gran parte del pubblico in sala conosce quei versi a memoria; rifugge da ogni forma di retorica per tenere sempre la misura senza trascendere mai sopra le righe. Nel porsi al centro dell’affasciante biografia di un’anima inquieta e profondissima, Germano è pienamente consapevole di avere compiuto l’impresa estremamente difficile di rendere quanto mai credibile e umana la figura di una grande poeta.

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