Fuocoammare: la storia di Lampedusa
di Elena Bartolucci
25 Giu 2016 - Commenti cinema
I fatti di cronaca continuano ogni giorno a raccontare la morte di centinaia di clandestini disperati che cercano di iniziare una nuova vita approdando in Italia sull’isola di Lampedusa. Nessuno fino ad ora aveva avuto il coraggio di raccontare attraverso il cinema il dolore che provano migliaia di uomini, donne e bambini stremati che, provenienti da paesi lontanissimi e senza più nulla, accettano mesti di essere visitati, controllati e schedati mentre sono tratti in salvo.
Vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo festival internazionale del cinema di Berlino, Fuocoammare di Gianfranco Rosi ha commosso tutti per la delicatezza con cui il regista è stato capace di raccontare le tragedie dietro agli sbarchi dei clandestini a Lampedusa e allo stesso tempo di come scorre la vita degli isolani e dei sopravvissuti.
Lampedusa, infatti, viene raccontata su più livelli: gli stranieri, i lampedusani, Samuele e il dottor Bartolo.
La Lampedusa dei migranti viene descritta dall’avvistamento in mare degli scafi, dove centinaia di persone ammassate rischiano di affondare e vengono tratte in salvo dai militari,dalle visite e la schedatura nei centri di accoglienza, in cui possono cominciare a sperare in un futuro migliore, fino al racconto struggente di alcuni uomini che parlano (anche cantando) di cosa hanno dovuto subire in quel lungo viaggio della speranza.
Ma la Lampedusa dei migranti è fatta anche di sofferenza e soprattutto di morte: il regista non risparmia allo spettatore nemmeno le scene più cruente dei morti per asfissia nelle stive, e la sensibilità con cui si sofferma sugli sguardi vitrei di quegli immigrati disidrati o sugli occhi pieni di disperazione e gonfi di lacrime di donne o uomini che hanno appena perso un loro caro in mare lascia davvero spiazzati.
I silenzi e i pianti strazianti sono solo interrotti dai rumori di sottofondo delle voci dei militari, dei motori della motovedette della Guardia Costiera e delle onde del mare.
La Lampedusa degli isolani, invece, si presenta attraverso la quotidianità delle vite di anziani, pescatori e casalinghe che preparano il pranzo e richiedono di far passare le canzoni sulla radio locale, dedicandole ai propri famigliari in mare.
Ma la storia più avvincente è quella di Samuele, un simpatico ragazzino che ama stare in mezzo alla natura selvaggia, giocare con la sua fionda artigianale tirando sassi agli uccelli e ascoltare rapito i racconti del padre pescatore e della nonna durante le giornate di pioggia. Samuele ancora non ama quel mare e riesce a fatica ad abituarsi al suo ondeggiare.
Samuele non incontra mai gli immigrati, ma, a causa del suo occhio “pigro”, che sta lentamente rieducando con l’ausilio di una benda, viene visitato dal dottor Bartolo, unico medico locale e unico punto di incontro con l’altra faccia dell’isola.
È l’unico infatti a doversi occupare non solo di aiutare i malati più o meno gravi tratti in salvo ma anche di doverne costatare i decessi.
Il suo breve intervento è un pugno allo stomaco perché in pochi fotogrammi è capace di raccontare come la sua routine sia scandita dai bollettini della guardia costiera sull’arrivo incessante di barconi.
Rosi usa la macchina da presa con grande rispetto, in modo sapiente e mai scontato, regalando immagini bellissime senza filtri e intessendo una storia che dovrebbe far riflettere chiunque sul significato di parole come speranza e disperazione.
P.s.: Fuocoammare è il titolo di una canzone, passata alla radio durante il film, di cui era andato perduto il testo che raccontava dei bombardamenti del 1943 a Lampedusa il testo ma di cui tutti ancora ricordano la musica.