Friedrich Durrenmatt un grande romanziere e commediografo
di Alberto Pellegrino
25 Ago 2021 - Approfondimenti teatro, Letteratura
Nel centenario della nascita, in questo bel saggio, Pellegrino ricorda la figura dello svizzero Friedrich Durrenmatt, uno dei più grandi drammaturghi del Novecento.
Nasceva in Svizzera cento anni fa Friedrich Durrenmatt (1921-1990), uno dei più grandi drammaturghi del Novecento, etichettato per anni come un esponente del “teatro dell’assurdo”, mentre lui ha sempre preferito essere considerato il maestro del “teatro del grottesco”. Il drammaturgo svizzero, a differenza di Bertolt Brecht, il cui teatro epico ha un fondamento storico, ideologico e politico, rifiuta ogni forma d’impegno ideologico, detesta inviare “messaggi”, rimane fedele al suo paradossale e irritante anticonformismo che vuole essere una critica tagliente contro le ipocrisie e le meschinità nascoste dietro la facciata perbenista della società contemporanea che continua a essere dominata dal Caso. “Il mondo – egli dice – si può raffigurare come una partita a scacchi tra il Bene e il Male, una partita nella quale gli esseri umani sono i pedoni: una partita interminabile, senza possibili vittorie, perché i giocatori sono dello stesso livello; oppure ci si raffigura il mondo come una partita a scacchi nella quale i pedoni-uomini giocano, ma sotto la sorveglianza del dio-arbitro…Ogni fenomeno costringe l’uomo a ricostruire dall’inizio il gioco di Dio: ogni mossa di Dio è una sorpresa che la scienza finisce per spiegare con la logica. Ma per i pedoni il piano di battaglia rimane confuso e imprevedibile, una sequenza di casi e di disastri”.
Il tema della giustizia nei capolavori narrativi
Nei suoi romanzi più celebri, definiti un “requiem per il romanzo giallo”, Durrenmatt ha una visione del mondo fondata su una teologia della morte di Dio e su un’antropologia della morte dell’uomo, per cui l’autore attraverso la lente d’ingrandimento dell’umorismo noir si limita a osservare un’umanità vittima di conflitti inestricabili e irrisolvibili. Egli descrive una società assurda e contraddittoria, ormai priva di motivazioni etiche e di certezze future, nella quale i personaggi vivono sull’orlo della catastrofe, capovolgendo il concetto di giustizia umana in un continuo rimescolamento dei ruoli tra vittime e colpevoli.
Il giudice e il suo boia (1952) è il primo romanzo che dà l’avvio a un genere poliziesco destinato a diventare emblematico, perché introduce l’idea del Caso che sarà la parola chiave del mondo narrativo di Durrenmatt che presenta profondità psicologiche e sociologiche, cupe visioni gotiche e atmosfere notturne. L’autore intende dimostrare l’impossibilità per la Legge di arrivare alla verità, perché esiste una netta divaricazione tra verità e giustizia umana, tra verità e giustizia istituzionale. Il protagonista è l’anziano commissario Bärlach che deve risolvere l’omicidio di un tenente della polizia di Berna. Fin dall’inizio Bärlach ha capito che l’assassino è il suo assistente Tschanz, il quale indica come colpevole un certo Gastmann, un losco faccendiere vecchio nemico del commissario e colpevole di un delitto avvenuto quarant’anni prima e rimasto impunito. Gastmann ricorda al commissario di aver voluto “provare che fosse possibile commettere un crimine impossibile da risolvere” e questo mette in crisi la coscienza del poliziotto: È giusto incolpare qualcuno per un crimine che non ha commesso, quando in realtà ne ha commesso uno per il quale non è mai stato punito? Bärlach sceglie allora un suo modo di fare giustizia: “Non sono mai riuscito a dimostrare che hai commesso tu il primo crimine, allora ti dichiaro colpevole di quest’altro”. Fa condannare un innocente e Tschanz, il vero assassino, accusa il commissario di essere il giudice mentre lui è il boia, quindi si uccide. “Esiste veramente la giustizia?” si chiede Bärlach e non è in grado di rispondere, ma la sua personale “giustizia” lo farà sentire in pace con se stesso.
Nel romanzo Il sospetto (1953) di nuovo il commissario Bärlach, ricoverato nell’ospedale di Salem, vede sulla rivista Life la foto di un chirurgo di nome Nehle che sta operando senza narcosi un ebreo nel campo di sterminio di Stutthof. Nonostante il medico abbia il volto semicoperto dalla mascherina, il dottor Hungertobel, amico del commissario, crede di riconoscere il suo collega Emmenberger, che in quel periodo doveva trovarsi in Cile. Il sospetto spinge il commissario a indagare sulle possibili relazioni tra i due medici e, scartando l’ipotesi che si tratti della stessa persona, ritiene che Emmenberger e Nehle si siano scambiati i ruoli: il primo era entrato a Stutthof come dottor Nehle, mentre il secondo era andato a vivere in Cile. Terminata la guerra, Emmenberger ha ripreso il suo vero nome e ha aperto una clinica di lusso a Zurigo, costringendo Nehle a inscenare un suicidio. Barlach decide di farsi ricoverare in questa clinica come signor Kramer, ma presto si rende conto di essere stato scoperto: Edith Marlock, una dottoressa che è scampata alla morte nel lager diventando l’amante di Emmenberger, ha detto al commissario che è stata scoperta la sua vera identità. Bärlach apprende come il suo tentativo di denunciare il medico nazista è fallito, perché Fortschig, un poeta e giornalista alcolizzato che doveva scrivere l’articolo, è stato assassinato. Emmenberger rivela al commissario di essere il mandante di vari omicidi eseguiti da un nano che con la sua ridotta statura può penetrare nelle stanze delle vittime. Il medico gli comunica anche la decisione di ucciderlo con un’operazione senza narcosi come faceva durante la Shoa. Nel momento di entrare in sala operatoria, si presenta il suo amico Gulliver, un ebreo scampato più volte alla morte nei campi di concentramento, riuscito a sopravvivere all’operazione senza narcosi e a fotografare Emmenberger/Nehle. Ora il commissario non deve temere più nulla, perché l’ebreo ha provveduto a uccidere i due medici nazisti.
Il romanzo La panne (1956) vuole dimostrare che i meccanismi investigativi e giudiziari sono sostanzialmente incapaci di giungere alla verità, perché alcuni comportamenti negativi non sono percepiti come “colpevoli” dalla giustizia umana. Alfred Traps, un rappresentate di articoli tessili, è più o meno consapevole di avere provocato la morte di un uomo, ma il suo delitto non è stato tecnicamente dimostrabile e quindi punibile da un tribunale, perché si è trattato di un crimine “perpetrato in modo così raffinato da essere brillantemente sfuggito alla giustizia dello stato”. Quattro giudici in pensione arrivano invece alla verità, quanto Traps è costretto per un guasto alla sua lussuosa automobile a chiedere la loro ospitalità. Essi imbastiscono un processo “per burla” libero dagli ingranaggi del sistema giudiziario. Dato che è sempre il Caso a decidere gli eventi, Traps accetta di farsi giudicare per l’omicidio del suo principale alla presenza di un avvocato difensore e di un boia in caso di condanna a morte. Durante il processo l’ospite confessa la sua colpa e arriva perfino a ringraziare per la sentenza capitale che non può essere eseguita, perché la mattina successiva i vecchi giudici trovano che Traps si è impiccato nella sua stanza.
La promessa (1958) si apre con l’incontro tra un ex comandante di polizia e uno scrittore che vuole dimostrare quanto la realtà sia diversa da quella inventata dagli autori di romanzi polizieschi. L’ex poliziotto racconta la storia del geniale e infallibile commissario Matthäi che, grazie a un ambulante, ha scoperto che una bambina di sette anni (Gritli Moser) è stata barbaramente uccisa in un bosco. I sospetti della polizia cadono sull’ambulante, mentre Matthäi promette ai genitori della vittima di trovare il vero assassino, una promessa che cambierà radicalmente la sua vita. Un ambizioso collega riesce a strappare una confessione all’indiziato, il quale s’impicca in carcere. Allora Matthäi, convinto dell’innocenza dell’ambulante, rifiuta un prestigioso incarico internazionale, perde il posto di commissario e insegue la pista di un assassino seriale pronto a colpire ancora. Egli ha trovato un disegno della vittima con un uomo alla guida di un’auto straniera di colore nero e, per mettere in trappola l’assassino, acquista una stazione di servizio e prende in casa un’ex prostituta con la figlia Annamaria. Un giorno la bambina torna con dei cioccolatini e confessa di averli ricevuti da un mago. Il giorno successivo Matthäi individua il luogo del bosco dove presumibilmente la bimba incontrerà lo sconosciuto. Avverte allora la polizia e gli ex colleghi tendono una trappola al presunto maniaco ma, dopo giorni di inutile appostamento, decidono di abbandonare l’operazione, per cui Matthäi cade in una profonda depressione e si dà all’alcol. Molti anni dopo un commissario viene chiamato al capezzale di una vecchia signora moribonda, la quale confessa che l’assassino di diverse bambine è stato suo marito afflitto da disturbi mentali. Ha invano cercato di dissuaderlo dall’assassinare la piccola Annamaria, ma lui è morto per un incidente stradale a bordo della sua Buick nera. Il poliziotto si reca allora da Matthäi per dirgli che aveva visto giusto, ma ormai l’uomo è in preda alla follia e continua ad aspettare l’assassino nella sua fatiscente stazione di servizio.
I capolavori teatrali
Nel Matrimonio del signor Mississippi (1952) si verifica il crollo di ogni ideale di giustizia e la fine di ogni fede rivoluzionaria. Infatti il matrimonio tra l’avvocato Mississippi (uxoricida per amore della giustizia) e Anastasia (avvelenatrice del marito per poter stare con l’amante) è inteso come una forma di espiazione, come la fine di ogni impegno per il fallimento di tutti gli ideali rivoluzionari e umanitari. Anastasia è un’adultera incallita e, quando l’avvocato Mississippi l’avvelena, spera che in punto di morte finalmente confessi di essere un’assassina ma, anche negli spasimi dell’agonia, la donna rivela al marito di averlo a sua volta avvelenato, togliendo all’uomo l’illusione di aver fatto giustizia.
L’opposizione al sistema capitalisticoe la denunzia delle sua crudeltà attraverso la satira noir è presente nella commedia La visita della vecchia signora (1956), che inizia con il ritorno della protagonista nel paese d’origine, dove da giovane è stata sedotta e abbandonata. La comparsa della donna porta lo scompiglio, quando offre al sindaco un miliardo da investire in opere pubbliche e da distribuire alle famiglie della città a condizione di uccidere il suo seduttore che ora ha una moglie e dei figli. Prima il sindaco e i cittadini respingono la proposta con sdegno, poi ne valutano positivamente i vantaggi. Inutilmente la vittima designata chiede aiuto alla polizia, al parroco, al borgomastro, tenta invano la fuga, per cui accetta di farsi ammazzare per scontare i suoi peccati di gioventù, mentre l’intera cittadinanza innalza inni di lode alla vendicativa benefattrice.
La dilazione (1975) è una delle più geniali commedie di Durrenmatt per la sua forza satirica, per il suo spessore umano e politico, perché l’autore ritorna alle atmosfere sadico-religiose (in qualche caso blasfeme) delle origini; riesce a coniugare tragedia, commedia e farsa in un mix di furore biblico e di crudeltà gotiche. L’azione inizia con la morte del dittatore Francisco Franco che viene tenuto artificialmente in vita dalla scienza medica per dare ai politici il tempo di preparare la successione del dopo-Franco. La “Grande Partita” si gioca in una feroce atmosfera visiva, narrativa e spirituale di grande spessore teatrale e poetico. Tra i vari personaggi spicca Sua Eccellenza, il capo del governo che ha la forza dei grandi “cattivi” scespiriani (Iago, Riccardo III) capace di passare di vittoria in vittoria per poi finire anche lui al cimitero. Una presenza poetica e metafisica è rappresentata dal coro delle Immortali, un gruppo di vecchie laide, velenose e assassine (che fanno pensare alle streghe del Macbeth), massima espressione del pessimismo religioso ed esistenziale dell’autore, perché esse sono animate dall’odio per il maschio e dal desiderio di vedere il mondo annegato nel Nulla cosmico.
La commedia Il complice (1976) riprende il tema della pericolosità della scienza, già presente nei Fisici dove tre scienziati si fingono pazzi per non condividere il segreto dell’energia atomica. La vicenda si svolge nel sottosuolo di una caotica metropoli, dove uno scienziato fallito ed emarginato (Doc) ha inventato un’infernale macchina per distruggere i cadaveri (il necrodializzatore) e si è messo al servizio di un’anonima assassini guidata dal Boss, un criminale deciso a eliminare con la complicità delle istituzioni (deputati, senatori governanti) chi si oppone alla sua marcia di affarista. Sul fronte opposto si batte Bill (il figlio di Doc), un giovane rivoluzionario idealista che vorrebbe raggiungere la purezza universale attraverso una violenza apocalittica, ma sarà spazzato via dal sistema. Lo stesso capo della polizia Cop vuole impossessarsi della macchina infernale per opporre alla violenza “negativa” una violenza “positiva”, ma finisce per rimanere schiacciato dal potere mentre la macchina diventerà uno strumento di controllo nella mani delle istituzioni, provocando un groviglio di delitti, tragedie e responsabilità tali da non poter più distinguere chi sono i colpevoli e gli innocenti.
Ottima descrizione delle opere di Durrenmatt.