Franz Kafka a cento anni dalla scomparsa


di Alberto Pellegrino

22 Lug 2024 - Approfondimenti teatro, Letteratura

A cento anni dalla scomparsa Kafka rimane uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. In questo articolo Pellegrino prende in esame tre dei massimi capolavori.

Franz Kafka

Sono passati cento anni dalla morte di Franz Kafka (1883–1924), il grande scrittore boemo di lingua tedesca rimane una delle maggiori personalità della letteratura del Novecento. Sarebbe quasi impossibile condensare nello spazio di un articolo un’analisi completa dell’opera di questo straordinario autore, per cui ci limiteremo a prendere in esame tre capolavori scelti tra quelli che più amiamo e sentiamo vicini alla nostra sensibilità: “La metamorfosi”, “Nella colonia penale” e “Il processo”.

Kafka ha rappresentato in queste tre opere alcuni aspetti di vita apparentemente “normali” ma che affrontano invece tematiche di enorme importanza come l’alienazione, la brutalità fisica e psicologica, la conflittualità sociale, l’angoscia di personaggi smarriti dentro labirinti burocratici e giuridici, esseri prigionieri della solitudine, del senso di colpa e dell’impotenza di fronte al mondo contemporaneo caratterizzato da una soffocante organizzazione burocratica, argomenti di sconcertante attualità tanto che il termine “kafkiano” è ancora usato per descrivere complesse situazioni esistenziali.

L’autore boemo fa uso di una scrittura precisa e realistica per rappresentare un mondo allegorico e surreale, tragico e angosciante, riuscendo con esemplare lucidità a risalire da una situazione apparentemente banale a una situazione carica di significati che riflettono il conflitto dell’individuo rinchiuso in una dimensione universale. La sua narrazione per parabole, metafore, rappresentazioni paradossali e grottesche nasconde dietro un’apparente semplicità qualcosa di particolarmente complesso e spesso difficile da decifrare per una misteriosa tensione che si avverte al suo interno. Per questo tutta l’opera di Kafka è stata sottoposta a una serie d’interpretazioni che vanno dall’analisi psicanalitica a quella esistenzialistica che vede l’uomo sospeso sull’abisso del nulla e dell’angoscia, per finire con una interpretazione di tipo teologico che ravvisa in questo autore la più alta visione poetica dell’infinita distanza fra l’uomo e Dio.

Soprattutto nelle tre opere sopra indicate, Kafka diventa il testimone di incubi che lasciano un segno profondo nel lettore, perché descrivono la presenza del male nel mondo e l’impossibilità di sottrarsi alle sue ferree leggi. Diventano il documento di un’epoca che ha perso la fiducia nel futuro, nella religione e nella tradizione, per cui la vita diventa una specie di maledizione, una prigione che condanna gli esseri umani a vivere rinchiusi in se stessi e quindi esclusi dal resto della società.

Un aspetto fondamentale di queste opere è il rapporto dell’individuo con la legge che raramente viene rappresentata da una particolare persona giuridica o politica, ma spesso è descritta come una forza anonima e incomprensibile che controlla la vita delle persone, che diventano vittime innocenti di sistemi sui quali non possono esercitare nessun controllo. Tuttavia molti procedimenti giudiziari (in particolare nel Processo), anche se possono apparire assurdi, metafisici, sconcertanti come un incubo, si basano su descrizioni accurate e informate di quanto avveniva nei tribunali tedeschi e boemi del tempo, dove spesso si praticavano metodi inquisitori. Kafka, avendo conseguito una laurea in giurisprudenza, era consapevole del funzionamento di quei sistemi giudiziari e applicava ad essi la così detta “inversione kafkiana” secondo la quale la legge va considerata una pura forza di dominazione e le pene vengono inflitte a prescindere dalla colpevolezza, perché è la società con le sue regole, ingiustizie e diseguaglianze a incombere sugli individui. Per questo i protagonisti di Kafka, quando si trovano in situazioni assurde e angoscianti, accettano con un atto di sottomissione qualsiasi tipo di condanna senza manifestare un segno di opposizione, di dolore o di rabbia. Di fronte all’irruzione del male nella vita della vittima, questa non mostra alcuna resistenza, ribellione o rifiuto, si adegua a una condizione nella quale è precipitata in modo grottesco e disumano come se avesse perso ogni di tipo di razionalità, di senso civico e politico, a volte addirittura collaborando con i propri carnefici, accettando l’emarginazione, la reclusione, la tortura e persino la morte.

La metamorfosi

Kafka scrive nel 1912 la storia di Gregor Samsa, un commesso viaggiatore che una mattina si sveglia e si vede trasformato in un enorme scarafaggio, in un parassita mostruoso e impuro. Questo racconto è destinato ad essere una delle opere che hanno maggiormente influenzato la narrativa del XX secolo, perché in esso confluiscono temi come l’alienazione e la depersonalizzazione dell’individuo che si vede imporre un ruolo non suo, un rapporto problematico con la famiglia, un senso di angoscia, di egoismo e d’ingratitudine che diventano aspetti fondamentali della sua vita. Kafka non rivela mai la causa di questa improvvisa e misteriosa mutazione e tutta la storia è incentrata sui tentativi di questo giovane uomo per cercar di rendere accettabile a se stesso, alla propria famiglia e al suo datore di lavoro questa nuova e particolare condizione animale.

Gregor perde l’uso della parola e non può più comunicare con l’esterno, ma continua a pensare come un essere umano e questo rende la situazione sempre più insostenibile. Quando riesce ad uscire dalla sua stanza, egli provoca un moto di orrore in tutta la famiglia, per cui si nasconde sotto un divano e l’unica disposta ad assisterlo è la sorella Greta, che gli passa gli avanzi avariati del cibo. Un giorno Gregor si avventura in cucina, ma il padre gli scaglia contro una mela che buca la sua corazza, ferendolo gravemente. Ben presto, mentre la ferita s’infetta, Gregor cade in uno stato di depressione, rifiuta il cibo e si avvia lentamente verso la morte che rappresenta una liberazione per tutta la famiglia.

Ne La metamorfosi emerge prepotentemente l’idea che esiste nell’uomo un innato senso di colpa, che non ha alcuna spiegazione razionale, ma che si manifesta attraverso la diversità. Secondo Kafka ogni gruppo sociale necessita di una minoranza per riconoscere la propria identità, di un capro espiatorio che permetta alla maggioranza di compattarsi attraverso l’esclusione del diverso. Infatti, dopo la morte di Gregor, la famiglia sente di poter liberare la propria coscienza da ogni responsabilità: “Abbiamo fatto – afferma la sorella – tutto quanto umanamente possibile per prenderci cura di lui […], non credo che nessuno possa biasimarci minimamente”.

Nella colonia penale

Robert Crumb, Kafka “Nella colonia penale”

In questo racconto del 1914 Kafka si rivela un profeta dei processi-incubo che sarebbero diventati una triste realtà con l’avvento dei regimi totalitari del Novecento. Infatti egli descrive con orrenda e affascinante meticolosità quella “civiltà” della tortura, della degradazione e dell’annullamento dell’individuo che avrebbe toccato il culmine nella terribile realtà dei campi di sterminio nazisti.

La storia ha inizio con l’esecuzione della condanna a morte di un soldato che si è addormentato durante il turno notturno di guardia dinanzi alla casa di un capitano, che lo ha denunciato per non aver eseguito ogni ora il saluto militare dinanzi alla porta chiusa del suo alloggio. Per assistere alla “cerimonia”, oltre al condannato, sono presenti un soldato di guardia, l’ufficiale che deve eseguire la sentenza e un famoso esploratore straniero che è stato invitato dal nuovo comandante della colonia penale, il quale non sembra condividere le modalità con cui si procede all’esecuzione. Infatti la condanna a morte, oltre a essere stata comminata per futili motivi, non viene eseguita con i tradizionali metodi dell’impiccagione, della fucilazione o della decapitazione.

Nella colonia penale si usa un infernale macchinario inventato dal defunto comandante che era evidentemente afflitto da una grave forma di sadismo, tanto che alla sua morte gli era stata negata una sepoltura in chiesa o nel camposanto, ma la sua tomba era stata posta sotto il pavimento di una sala da tè e sulla lapide erano state incise queste parole: “Qui riposa il vecchio comandante. I suoi seguaci, che ora non possono portare nessun nome, gli hanno scavato questa tomba e posto la pietra. Esiste una profezia secondo la quale il comandante dopo un determinato numero di anni risorgerà e da questa casa condurrà i suoi seguaci alla riconquista della colonia”. Finora la profezia non si è avverata e i suoi seguaci sono spariti o si tengono nascosti.

Solo il giovane ufficiale è rimasto fedele alla memoria del vecchio comandante e rimpiange il tempo in cui c’era una folla ad assistere alle esecuzioni. Egli spiega all’esploratore con evidente orgoglio la struttura e il funzionamento della macchina. Nella parte inferiore è collocato il letto rivestito da uno strato di bambagia accuratamente trattato per assorbire il sangue, sul quale il condannato viene sdraiato bocconi e legato con le cinghie ed è costretto a mordere un tampone di feltro per impedirgli di urlare. Nella parte superiore si trova il disegnatore», che “legge” i disegni realizzati dal defunto comandante e utilizzati come modello per disporre una serie di aghi fissati alla parte intermedia, detta erpice che è modellata secondo la forma del corpo umano. L’erpice, vibrando insieme al letto, incide sul corpo del condannato la frase della regola disciplinare che non ha rispettato (in questo caso “Onora il tuo superiore!”). Le parole inserite nel disegnatore sono anche “adornate” da una serie di ghirigori e decorazioni per coprire il corpo del condannato e dare più tempo alla macchina per lavorare, perché essa è programmata per uccidere il soggetto nell’arco di dodici ore.

Inizialmente l’erpice incide il corpo con leggerezza, perché gli aghi più lunghi scrivono, mentre quelli più corti rilasciano un getto d’acqua per pulire il sangue e rendere nitido il disegno. Successivamente la macchina ripassa sulle ferite con sempre maggiore profondità fino ad uccidere il condannato, che non conosce la natura e la gravità della sua colpa; non è stato nemmeno informato della sua condanna a morte e quindi non ha avuto modo di discolparsi (sono i temi che ritorneranno ne Il processo). Questa singolare procedura è resa dal fatto che l’ufficiale è stato nominato giudice unico della colonia penale dal precedente comandante e applica il principio che “la colpevolezza è sempre fuori discussione”, per cui ogni giudizio si conclude con una condanna senza che il colpevole possa discolparsi.   

L’esploratore è stato invitato dal nuovo comandante per formulare un giudizio sulla legittimità di una pratica disumana e sanguinaria, perché pensa di abolire quella macchina infernale. L’ufficiale è naturalmente contrario alla distruzione dello strumento che è diventato per lui una ragione di vita e l’affermazione del suo potere. L’ufficiale ha sperato, con la sua dettagliata spiegazione e con il privilegio di farlo assistere all’esecuzione, di ottenere i favori dell’esploratore, che invece si mostra contrariato: “Sono contrario a questa procedura; già prima che lei mi scegliesse a confidente (e stia certo che non abuserò della sua fiducia) mi ero chiesto se mi sarebbe stato lecito oppormi ad essa, e se tale mia opposizione avrebbe avuto un sia pur minima speranza di successo. Fin da allora era chiaro per me che la prima persona che avrei dovuto avvicinare a questo scopo era il comandante; lei non ha fatto che confermarmelo. Non che ciò abbia contribuito a rafforzare la mia decisione; al contrario, la sua sincera convinzione mi commuove, anche se non mi può indurre in errore”.

Ormai convinto che il comandante, dopo la relazione dell’esploratore, deciderà di distruggere la macchina, l’ufficiale libera il condannato a morte e si mette al suo posto dopo avere apportato delle modifiche alla macchina che, mentre volge la sua funzione, comincia ad autodistruggersi, uccidendo l’ufficiale che rimane infilzato dall’erpice. L’esploratore ordina all’ex-condannato e al soldato di recuperare il corpo dell’ufficiale per dargli una degna sepoltura. I due personaggi (che non parlano mai) sono ora uniti da una improvvisa amicizia e scherzano tra loro, incuranti della drammatica situazione che hanno vissuto. Al contrario, l’esploratore mantiene la propria impassibilità dietro la quale si nasconde un misto di orrore, meraviglia e incomprensione per tanta crudeltà e indifferenza. Il soldato e l’ex-condannato vorrebbero fuggire dalla colonia, ma l’esploratore impedisce loro di salire sulla nave, condannandoli a rimanere in quel luogo maledetto.

Il processo

Robert Crumb, Kafka “Il processo”

Scritto tra il 1914 e il 1915, questo romanzo è stato pubblicato nel 1925 da Max Brod, l’esecutore testamentario che ha trasgredito la volontà dell’amico, il quale gli aveva dato l’incarico di distruggere tutte le sue opere. Il romanzo, considerato uno dei capolavori di Kafka, si compone di dieci capitoli in parte frammentari, ma il loro ordine rispecchia le intenzioni dell’autore che ha completato il capitolo iniziale e finale. L’intero racconto presenta una forma disadorna, immediata, terribile ed è segnato dalla passiva accettazione di un evento di fronte al quale il protagonista Josef K. appare disarmato e impotente, perseguitato da una giustizia che funziona secondo logiche autoreferenziali e insondabili, contro la quale non servono né la razionalità né la lucida passività di K. che accetta di essere processato per motivi che resteranno per lui sempre un mistero. Kafka rende la narrazione spersonalizzante e angosciosa, a volte contraddittoria; indica i personaggi in modo indefinito per togliere ogni punto di riferimento al lettore, immergendolo in un’atmosfera spettrale e inquietante. L’intera storia diventa così la parabola dell’insondabile peso della legge, per cui la stessa condanna del protagonista appare la logica conseguenza di un crimine misterioso che rappresenta la condizione esistenziale di ogni essere umano oppresso dalla maledizione di un dio crudele e da un destino che provoca una inevitabile infelicità.

Le vicende dell’impiegato Joseph K. sono raccontate in modo angosciante e onirico, perché il giovane trentenne è inaspettatamente e inspiegabilmente accusato e perseguitato da una magistratura burocratica e impenetrabile per un crimine che non conosce, dal quale non potrà difendersi, nonostante ne avverta il peso connesso a un innato e misterioso senso di colpa. Kafka riesce a mescolare scene di quotidianità e momenti d’impressionante drammaticità, che iniziano quando due sconosciuti si presentano alla porta dell’appartamento di K per comunicargli che si trova in stato di arresto. “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato” secondo il celebre incipit del romanzo. In attesa del giudizio, il protagonista continua a condurre una vita normale: va al lavoro; incontra parenti, avvocati, giudici e usceri; ha rapporti sessuali con alcune donne; comincia a frequentare gli ambienti squallidi e angoscianti del tribunale senza sapere le ragioni per cui sta per essere giudicato.  Abbandonato da tutti a cominciare dal suo avvocato, costretto a pronunciare un’arringa difensiva che non sarà tenuta in nessuna considerazione, K perde progressivamente la voglia di opporsi a una sentenza di cui ignora il contenuto; si rende conto che la sua situazione diventa sempre più disastrosa e insostenibile. Dopo un anno di tormenti, due signori sconosciuti si presentano nella sua casa, lo prelevano senza dare alcuna spiegazione e K. comprende che sono gli esecutori della sentenza emessa dal tribunale. Li segue senza opporre resistenza e i due lo portano in una cava di pietra, lo adagiano in una buca e uno di loro estrae un coltello da macellaio con il quale lo colpisce due volte, mentre Josef K. pronuncia le sue ultime parole: “Come un cane!” disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere”.

L’omaggio del teatro

Il maggiore omaggio reso al capolavoro di Kafka è del commediografo Peter Weiss che nel 1974 ha trasformato il romanzo in una dramma di grande efficacia e spessore per pagare un debito di riconoscenza che risale alla sua fuga dalla Germania nazista e alla presa di coscienza dei rapporti di classe che determinano le relazioni tra gli uomini: “Improvvisamente le parole d’avvio del Processo svegliarono la mia attenzione…Tutto quello che avevo letto sino ad allora passò in secondo piano…Fu così, nel leggere Il processo, che cominciai a rendermi conto del processo che imprigionava me stesso” (P. Weiss, Punto di fuga).  Il commediografo scrive un dramma non solo esistenziale ma anche in chiave storico-politica, perché secondo lui il romanzo rappresenta il mondo borghese alla vigilia della Grande Guerra e la colpa di K consiste nel sottomettersi alle strutture oppressive, disumane e spersonalizzanti di quel mondo. Nell’opera si avverte il presentimento dell’imminente crollo dell’ordine rappresentato dagli imperi centrali e la conseguente crisi della borghesia che inizia nell’epoca di Kafka, si sviluppa negli anni del giovane Weiss e sussiste ancora oggi senza che sia stata trovata una soluzione. L’autore colloca il dramma tra il 3 luglio 1913 e il 2 luglio 1914, porta sulla scena ben 31 personaggi e uno stuolo di comparse che si muovono in una precisa cornice storico-temporale, perché “il palcoscenico impone una logica” – dice Weiss – Persino nella situazione più assurda ogni passo compiuto dipende da un passo che lo precede. Quando si legge, la pretesa di questa continuità viene meno…Nella rappresentazione del contenuto si produce invece un distacco. Qualcosa si svolge dinanzi a noi, qualcosa d’importante: qualcosa che è stato una volta vissuto e che è ora rieseguito. Qualcosa di passato è rivissuto e dimostrato nel suo svolgimento”. K non sa liberarsi dai suoi legami di classe, dagli intrighi di una società che si manifesta in tutta la sua miseria e falsità; si ostina a rimanere all’interno di un ordine sociale che ritiene immutabile: “K vede tutto con chiarezza. – dive Weiss – Eppure è sempre di nuovo attratto verso gli assertori della falsificazione, verso i giudici e le corti che sono al servizio dell’oppressione. Il tormento del suo proposito è nell’autoinganno al quale soggiace. Gli si palesano sempre i più piccoli funzionari, gli esecutori, gli sbirri; implora di poter avere contatti con istanze superiori; spera di ottenere da loro aiuto, giustizia, mentre è proprio lassù che sono i veri amministratori della menzogna e della coazione…I mercanti e i filistei, i corrotti arrivisti coi quali ha a che fare, non hanno interesse alcuno per la sua persona: sono soltanto gli strumenti di un sistema”.

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