Francesco Hayez dal quadro alla scena
di Alberto Pellegrino
19 Feb 2016 - Arti Visive
La Città di Milano ha reso omaggio a Francesco Hayez (Venezia 1791-Milano 1882) con una grande mostra allestita dal 7 novembre 2015 al 21 febbraio 2016 nelle Gallerie d’Italia in Piazza della Scala, accompagnata da un bellissimo catalogo a cura di Fernando Mazzocca. La mostra ha rivalutato i quadri a soggetto storico di questo grande artista romantico che nel 1841 Giuseppe Mazzini ha definito il pittore della Nazione, per la sua capacità di rappresentare le congiure del potere, il desiderio di libertà e d’indipendenza, le sofferenze dei perseguitati, degli esuli, dei ribelli contro la tirannia, anonimi eroi di cui spesso s’ignora il nome, ma che fanno parte della nostra memoria collettiva. Hayez ha spesso tratto ispirazione dalla letteratura romantica, come si può vedere nelle due opere l’Accusa segreta (1847/48) e il Consiglio alla vendetta (1851), ispirate da sentimenti di rivalsa di donne bellissime tradite dal proprio amante dietro le quali s’intravedono storie di segrete trame amorose, di cupe gelosie, di terribili vendette che si svolgono sul palcoscenico tenebroso e misterioso di una Venezia percorsa da violente passioni che spesso fa da sfondo al teatro romantico di Byron e Hugo. Atmosfere erotico-sentimentali (oltre a sottointesi patriottici che secondo alcuni celebrano l’abbraccio tra Italia e Francia) sono presenti nel celebre quadro Il bacio (1859/1861/1867), dove appaiono due innamorati medioevali avvolti in un casto eppure sensuale abbraccio che ritroviamo nel racconto Senso (1883) di Camillo Boito e, più tardi, nell’omonimo film di Luchino Visconti (1954) o in quel Bacio di Robert Doisneau assurto a immagine cult della Parigi anni Cinquanta.
Il legame di Hayez con il teatro
La mostra milanese è stata anche l’occasione per riservare una maggiore attenzione critica ai rapporti che hanno legato per tutta la vita Hayez legati al teatro in generale e al melodramma che è spesso entrato con grande forza rappresentativa nelle sue opere che con questi temi abbandonano gli ultimi legami con il classicismo per cercare un nuovo linguaggio pittorico. Le opere più significative sono legate alle vicende di Giulietta e Romeo, tenendo presente che agli inizi dell’Ottocento la storia dei giovani amanti gode di grande popolarità dopo la ristampa nel 1819 della novella di Luigi Da Porto (1485-1529) Storia di due nobili amanti colla loro pietosa morte. Si deve anche ricordare che, a partire dal 1819, è possibile leggere in italiano tutte le opere di Shakespeare grazie alle traduzioni di Michele Leoni. Queste tragedie e commedie sono immediatamente valorizzate dai nostri scrittori romantici, che comprendono la straordinaria potenza poetica e innovativa del genio inglese, destinata a incidere sul teatro drammatico italiano e sul melodramma, visto che Nicola Vaccai compone la Giulietta e Romeo (1825) e Vincenzo Bellini I Capuleti e Montecchi (1830), entrambe le opere su libretto di felice Romani. Hayez è coinvolto da questo rinnovato clima culturale e crea quattro quadri di altissimo livello tutti dedicati ai giovani amanti veronesi. Il primo s’intitola Gli sponsali di Giulietta e Romeo procurati da fra Lorenzo (1823), nel quale la fedeltà storica dell’ambientazione e dei costumi si unisce a un intimo pathos che scaturisce dai due amanti raffigurati mentre si guardano intensamente negli occhi e si scambiano gli anelli alla presenza di Fra Lorenzo. Hayez riprende questo soggetto nel 1830 con un altro quadro intitolato Giulietta e Romeo che entrati nella cella del frate stanno per inginocchiarsi onde ricevere dallo stesso la benedizione e l’anello nuziale, dove il perno della composizione è costituito da una grande croce in pietra con ai lati Fra Lorenzo benedicente e i due sposi inginocchiati in un’atmosfera più spirituale rispetto all’opera precedente. Hayez completa il ciclo scespiriano con L’ultimo bacio dato da Giulietta a Romeo che obbligato a fuggire sta per iscendere dalla finestra; il fondo rappresenta l’alba nascente; la fante trasporta altrove la lucerna; l’architettura ricorda i tempi in cui vissero questi due sventurati sposi (1823). Questa lunga didascalia sta a dimostrare come l’autore sia un attento lettore del dramma di Shakespeare. L’opera, che ebbe allora un forte impatto sul pubblico, mantiene ancora intatto tutto il suo fascino determinato dalla fusione di sentimento e sensualità che si sprigiona da una Giulietta che indossa ancora la veste notturna e da un Romeo completamente vestito che si appresta alla fuga: giorno e notte, unione e distacco, amore e morte trovano la loro perfetta sintesi in questo bacio appena sfiorato e in questo abbraccio di Giulietta in una mirabile visione che fa dei due amanti un’icona della mitologia romantica. Nel 1833 l’artista riprende lo stesso tema in L’ultimo addio di Romeo e Giulietta, un’opera che presenta delle notevoli varianti rispetto alla prima, soprattutto perché i volti dei due innamorati sono vicini, ma non sono uniti nel bacio e questo particolare finisce per abbassare il livello di passionalità dell’insieme, perché l’azione manca della potente effusione amorosa presente nel primo lavoro.
Hayez subisce anche il fascino del grande drammaturgo Friedrich Schiller e sceglie come soggetto di due suoi dipinti la Maria Stuarda (1801), una tragedia tradotta in Italia nel 1819 e incentrata sullo scontro tra due regine: la passionale Maria di Scozia e la fredda Elisabetta d’Inghilterra, fedele seguace della ragion di Stato. Il primo quadro, intitolato L’incontro di Maria Stuarda con Elisabetta nel parco di Fotheringhay (1827), esprime tutte le capacità narrative dell’autore che sa cogliere il momento conclusivo del fallito incontro di rappacificazione tra le due regine: Elisabetta sta per andarsene dopo aver rifiutato un atto di pietà (“Chi è stato ad annunciarmi una donna prostrata? Io vedo un’orgogliosa niente affatto piegata dalla sfortuna”); Maria Stuarda, da parte sua, appare in atteggiamento orgoglioso in mezzo a due cavalieri (“Moderazione! Vattene mansuetudine d’agnello, vola in cielo sofferente pazienza”). Nel secondo quadro, intitolato Maria Stuarda nel momento che sale al patibolo (1827), confluiscono in un crescendo narrativo e drammatico, che porta all’epilogo finale, tutte le suggestioni storiche, letterarie e teatrali dell’autore, Il quale crea un autentico capolavoro dove la regina, circondata dalle sue dame piangenti, si avvia con grande dignità verso la morte impugnando la croce: Maria, ormai priva di ogni speranza, appare serena e sale verso il patibolo consapevole di liberarsi da una condizione umiliante e di subire una necessaria espiazione. Certamente questo lavoro, così carico di forti suggestioni, anticipa e preannuncia il melodramma Maria Stuarda di Gaetano Donizetti (1834), una delle opere di maggiore impatto drammatico del compositore lombardo.
Hayez e il melodramma
Da quel momento l’attenzione dell’artista è sempre più rivolta verso l’opera lirica e questa nuova fase inizia con il melodramma Marin Faliero di Donizetti (1835), composto su libretto di Giovanni Emanuele Bidera tratto dal dramma Marino Faliero di Casimir Delavigne. Nel primo quadro Marin Faliero rimprovera il giovane Steno (1844) Hayez si riferisce al momento in cui il doge ordina al giovane di non molestare più la moglie Elena, calunniata da Steno perché è stato da lei respinto: nel dipinto si vede il doge, con accanto la giovane consorte, che punta il dito accusatore contro il calunniatore. Nel secondo quadro Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del piombo (1867) l’autore coglie gli ultimi momenti del doge che sulla scala del palazzo Ducale si prepara a salire sul patibolo: il doge ha ordito una congiura contro il Consiglio dei Dieci e nello stesso tempo ha scoperto che suo nipote Fernando è innamorato di Elena; Fernando viene ucciso, la congiura fallisce e il doge è condannato a morte, ma trova prima la forza di perdonare la moglie Elena.
Hayez, preso dalla sua passione per il melodramma, non può certo ignorare Giuseppe Verdi, genio musicale emergente nella Milano di quel tempo. La sua prima opera La sete patita dai primi Crociati sotto Gerusalemme (1833) trae ispirazione dal poema I Lombardi alla prima Crociata di Tommaso Grossi (1826), che aveva avuto una grande risonanza nazionale. Nel 1843 Verdi compone l’omonima opera, sempre ispirata al poema di Grossi, che conquista un‘immediata popolarità, grazie anche al celebre coro O Signore dal tetto natio, e apre la fase risorgimentale delle opere verdiane. Sull’onda di questo successo l’artista ritorna sullo stesso tema nel 1855 con una grande composizione che vede al centro la figura di Pietro l’Eremita impegnato a infondere coraggio ai Crociati tormentati dalla sete, mentre alcuni cavalieri cercano di frenare quanti vogliono impossessarsi della poca acqua a disposizione.
Un evento storico minore come la rivolta popolare dei palermitani contro i dominatori Angioini, iniziata il lunedì di Pasqua del 30 marzo 1282, nel clima risorgimentale degli anni Quaranta assume un particolare valore simbolico come ribellione degli Italiani contro la dominazione straniera. Hayez, sempre sensibile alle tematiche patriottiche, dedica a questo avvenimento un celebre quadro (rielaborato in tre diversi momenti: 1822, 1826-27, 1846), in cui rappresenta il fatto che dà l’avvio alla rivolta, quando il soldato francese Drouet arreca offesa a una nobildonna all’uscita dalla chiesa e il marito di lei uccide l’aggressore con la sua spada. Le figure sono disposte in pose statiche come in una rappresentazione teatrale, anche se nel suo complesso la scena non risulta priva di movimento, perché dà, al contrario, l’idea della concitazione del momento. Il quadro, accolto subito con favore, raggiunge il culmine della popolarità nel 1855, quando Giuseppe Verdi compone il melodramma I vespri siciliani su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, al quale anche in questo caso il compositore conferisce una forte connotazione patriottica.
Sempre in stretto contatto con il teatro drammatico, Hayez cerca l’ispirazione nel dramma in versi I due Foscari di George Byron (1821), una storia ambientata a Venezia nel 1457 quando Jacopo Foscari, figlio del doge Francesco e condannato all’esilio per l’omicidio di un membro del Consiglio dei Dieci, rientra a Venezia per rispondere all’accusa di tradimento e quindi essere di nuovo condannato all’esilio, per cui la sentenza dovrà essere resa esecutiva dal padre che in seguito sarà costretto a dimettersi dalla carica. Nel 1838 l’imperatore d’Austria Ferdinando I arriva a Milano per farsi incoronare re del Lombardo Veneto e commissiona al pittore un’opera ispirata alla vicenda della famiglia Foscari. Hayez dipinge il quadro L’ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia (1838-1940), che presenta una forte carica emotiva, perché riprende l’atto del doge Francesco mentre annuncia al figlio, inginocchiato sulla sinistra, la condanna all’esilio perpetuo; al fianco del doge ci sono Lucrezia Contarini, moglie di Jacopo, con i loro figli; sulla destra si scorge Loredano nemico giurato dei Foscari. il quale indica alle sue spalle quel mare che sembra attendere l’esiliato. Jacopo mostra tutto il suo dolore al pari del padre diviso tra “ragione di Stato” e amore paterno. Hayez riprende questa vicenda nel quadro Francesco Foscari destituito (1842-1844), in cui sono sintetizzate le sciagure che si sono abbattute sulla famiglia Foscari: Jacopo, l’ultimo dei figli di Francesco, è morto in carcere stroncato dal dolore per il mancato riconoscimento della sua innocenza; il Consiglio dei Dieci ha imposto al doge le dimissioni e Francesco siede prostrato sul trono circondato dalla bellissima nuora e dai nipoti, mentre sulla destra è ancora presente Loredano con aria trionfante con al fianco un messo che legge al doge l’ordine del Consiglio di rassegnare le dimissioni. Tutti i simboli presenti nel dipinto stanno a indicare il prevalere del potere politico sui sentimenti familiari e sulla pietà religiosa. Questi due dipinti devono avere esercitato una certa influenza su Giuseppe Verdi che, proprio nel 1844, compone l’opera I due Foscari su libretto di Francesco Maria Piave; inoltre il compositore nel 1858 chiede ad Hayez di disegnare i costumi per la rappresentazione del melodramma nel Teatro alla Scala. Hayez, dopo il successo dell’opera verdiana, ritorna a riproporre questa storia con il quadro I due Foscari (1852/1854), nel quale la scena è dominata dal vecchio Doge, mentre sulla sinistra sta Jacopo incatenato e inginocchiato nell’atto di invocare pietà e sulla destra c’è Lucrezia Contarini circondata dai suoi quattro figli in un insieme che esprime una sensazione di grande sofferenza, alla quale fa da contraltare la fredda indifferenza dei dignitari del doge.