Film “L’abbaglio” di Roberto Andò
di Alberto Pellegrino
31 Gen 2025 - Commenti cinema
Pubblichiamo la recensione de “L’abbaglio”, l’ottimo film di Roberto Andò che interpreta in modo originale il nostro Risorgimento.
(Foto di Lia Pasqualino)
Dopo il successo ottenuto con La stranezza, uno dei migliori film prodotti nel 2022, Roberto Andò ritorna sugli schermi con L’abbaglio, un’opera completamente diversa come ambientazione e impegno, ma ugualmente caratterizzata dall’eleganza stilistica dell’autore. Si tratta di un film epico e picaresco, drammatico e comico in un sapiente mixage che riprende e interpreta un episodio fondante della storia nazionale come la “Spedizione dei Mille”, che viene tuttavia lasciato a fare da cornice a momenti e episodi di quella vicenda tralasciati o addirittura ignorati dalla storia “ufficiale”, che sono visti nel film con grande umanità, ironia e una buona dosa di pessimismo.
Andò mostra tutte le sue qualità di autore cinematografico usando al meglio una efficace sceneggiatura scritta da lui, da Massimo Gaudino e da Ugo Chiti commediografo e sceneggiatore tra i migliori del nostro tempo, per realizzare un film che ha richiesto un grande sforzo produttivo per i costumi, le armi, le scene di massa dirette con grande maestria dalla regia: si pensi alla suggestiva partenza da Quarto con citazioni dalla pittura risorgimentale, allo spettacolare sbarco a Marsala sotto il cannoneggiamento della navi borboniche, alla battaglia di Calatafimi.
Da rilevare l’uso sapiente dei piani sequenza in campo medio, l’impiego dei dettagli di corpi e di oggetti, le grandi inquadrature dall’alto e dal basso, l’uso parsimonioso dello “sfocato” e quello molto efficace dei primi e primissimi piani che sfociano nel dettaglio dello sguardo.
Il film si arricchisce di citazioni intelligenti dalla Grande Guerra di Monticelli, dai film di John Ford per le scene di massa e l’impiego delle folk songs tratte dalla tradizione siciliana, dal riferimento alle fonti letterarie come la novella La libertà di Verga o il racconto Il silenzio di Leonardo Sciascia, il cui spirito aleggia su tutta l’opera. C’è persino una citazione da questa novella, quando il colonnello Orsini, stupito e commosso dalle condizioni di vita del villaggio di Sambuca che ha accolto con generosità la sua compagnia, rileva come “in queste condizioni di vita non diverse da quelle della capra, dell’asino, la gente conservasse intatti ed alti i sentimenti umani: la pietà, la gentilezza, il coraggio”.
Roberto Andò, nel ricordare l’episodio “minore” della piccola colonna di volontari usata per attirare i borbonici e permettere a Garibaldi di entrare a Palermo, ci tiene a precisare che questo film non è “solo la riesumazione di un episodio meno noto della storia di Garibaldi in Sicilia, ma un racconto che svela le contraddizioni di quel momento: compromessi, patti anche scellerati, ciò che rese quella rivoluzione incompiuta, con ripercussioni sul presente…Quella di cui parla Orsini è la patria vera: un luogo in cui coltivi una unità d’intenti dedicata a migliorare la condizione umana, abbattendo le distanze tra Nord e Sud, tra ricchi e poveri”.
Andò ha voluto rappresentare un Risorgimento diverso da quello insegnato a scuola per ricordare ai giovani il valore di quell’impegno che hanno avuto allora i loro coetanei al seguito di Garibaldi: “Troppo spesso la storia rimane astratta: Mazzini, Garibaldi: grandi nomi, ma lontani. Ho restituito dimensione umana a quelle vicende, perché le nuove generazioni possano ritrovarvi un riflesso del loro presente…Spero che il film trasmetta questa febbre di azione, di contribuire, di spendersi per qualcosa di comune”. Dice ancora Andò; “Il 1860 è l’anno del Gattopardo, lo sguardo è quello del principe di Lampedusa. Ordini è un anti-Gattopardo: un aristocratico che crede nella democrazia e vuole la giustizia sociale. E’ un uomo del dubbio, che osserva tutto con il disincanto di chi s’accorge che a soffrire sono sempre gli ultimi”. I due picari sono personaggi di finzione che il regista ha introdotto per portare “uno spessore umano autentico, quello della gente comune che non vuole essere eroica”.
Il film è quindi incentrato sulla figura poco nota del colonnello Vincenzo Giordano Orsini (un sempre incisivo Toni Servillo), un fervente mazziniano e un aristocratico che ha lasciato di proposito il suo mondo (“la nobiltà più corrotta e ignorante d’Europa”). Gli fanno da contraltare i personaggi picareschi di due siciliani “imbroglioni e imbonitori” (i bravissimi Ficarra e Picone), disertori ed egoisti, vili ed eroici, a cui è affidata la parte comica della storia (gustosa ed esilarante la sequenza del convento di suore dove i due hanno trovato rifugio), ma anche alcuni passaggi personali e sentimentali: per loro non c’è però nessuna possibilità di riscatto perché, ritornata la “normalità”, riprenderanno le loro consuete attività truffaldine di fronte alle quali Orsini concluderà il film dicendo “Povera Italia, che abbaglio”.
Il titolo del film lascia spazio a molte chiavi di lettera (illusione, inganno, errata valutazione degli eventi), ma riflette un pessimismo di fondo in parte temperato dalla componente comica; dalla rigorosa ambientazione con la riscoperta di paesaggi e centri urbani siciliani abbastanza inediti e al di fuori dai circuiti turistici; dall’ottima interpretazione di tutti gli attori, a cominciare da Tommaso Ragno che tratteggia un Garibaldi tra i più incisivi della storia del cinema, a Giulia Andò che, nelle visti di Assuntina, disegna il personaggio femminile di maggiore rilievo di tutta la vicenda.
Scheda del film
L’Abbaglio (2025)
- Uscita al cinema: 16.01.25
- Regia: Roberto Andò
- Cast: Toni Servillo, Salvo Ficarra, Valentino Picone, Tommaso Ragno, Giulia Andò
- Fotografia: Maurizio Calvesi
- Montaggio: Esmeralda Calabria
- Musiche: Emanuele Bossi, Michele Braga
- Scenografia: Giada Calabria
- Costumi: Maria Rita Barbera
Sinossi
1860. Giuseppe Garibaldi inizia da Quarto l’avventura dei Mille circondato dall’entusiasmo dei giovani idealisti giunti da tutte le regioni d’Italia, e con il suo fedele gruppo di ufficiali, tra i quali si nota un profilo nuovo, quello del colonnello palermitano Vincenzo Giordano Orsini. Tra i tanti militi reclutati ci sono due siciliani, Domenico Tricò, un contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale, un illusionista. Sbarcati in Sicilia, a Marsala, i Mille iniziano a battersi con l’esercito borbonico, di cui è subito evidente la preponderanza numerica. In queste condizioni, per il generale appare pressoché impossibile far breccia nella difesa nemica e penetrare a Palermo. Ma quando è quasi costretto ad arretrare, Garibaldi escogita un piano ingegnoso. Affida una manovra diversiva al colonnello Orsini, che mette in piedi una colonna di feriti con uno sparuto gruppetto di militi, cui viene affidato il delicatissimo compito di far credere a Jean-Luc Von Mechel, comandante svizzero dell’esercito regio, che il generale stia battendo in ritirata all’interno dell’isola. Inizia così una partita a scacchi giocata sul filo dell’imponderabile, il cui esito finale sarà paradossale e sorprendente.