Festival Pergolesi Spontini sempre più importante


Alberto Pellegrino

19 Set 2007 - Commenti classica

La VII edizione del Festival Pergolesi Spontini (7-16 settembre 2007) è stata dedicata al tema Immagine di Roma sul rapporto che il mondo del melodramma ha avuto per tutto il Settecento e il primo Ottocento con la storia e il mito di Roma antica, a cui hanno fatto riferimento musicisti e poeti, cercando di stabilire un rapporto tra i fasti della Roma repubblicana e imperiale con la più recente gloria dell'impero napoleonico: le figure storiche evocate nei libretti sono circondate da un alone mitologico, si presentano come il riflesso dei nuovi eroi che siedono sui trono di Francia, Austria e Germania, per cui le vicende degli antichi servono a esaltare le imprese dei contemporanei. Il tema del festival è stato analizzato in una tavola rotonda decicata agli Studi pergolesiani: nuove ricerche (Jesi, Sale Pergolesiane); in una mostra intitolata Da Parigi a Milano: l'avventura della Vestale, Maiolati Spontini; in un convegno internazionale di studi particolarmente importante sul tema Gaspare Spontini e La vestale. Dal mito romano alla Grandeur Imperiale, suddiviso in due sessione da tenersi la prima a Maiolati Spontini e la seconda a Parigi, organizzato dalla Fondazione Pergolesi Spontini in collaborazione con l'Università della Sorbona, l'Osservatorio Musicale Francese e l'Istituto Italiano di Cultura a Parigi.

LE INIZIATIVE CULTURALI E MUSICALI
Il festival ha avuto diverse sedi decentrate su tutto il territorio jesino con una serie di manifestazione di alto valore musicale: l'Accademia Bizantina ha tenuto un concerto di musiche di autori italiani del Settecento nel Teatro Ferrari di San Marcello; il Trio Voces Intimae ha proposto nel Teatro La Fortuna di Monte San Vito un concerto intitolato Da Vestale a Norma: reminiscenze dell'opera romantica con musiche di Spontini, Bellini, Donizetti, Mercadante Verdi; nella Chiesa degli Aroli di Monsano il clavicembalista Edward Smith ha eseguito un concerto intitolato Miti ed eroi della tastiera con musiche di Couperin, Duphy e Handel; nel Teatro Comunale di Montecarotto ha avuto luogo un concerto del duo pianistico Flavio Ponzi e Massimiliano Gènot intitolato Salotto con Vestale con musiche di Spontini, Bellini, Mercadante e Beethoven. Nella penultima giornata del festival, collocato nello splendido scenario neoclassico della Villa Salvati a Monteroberto, è stato eseguito il melologo Le grazie di Isabella, un testo Davide Daolmi, con le musiche di Michele dall'Ongaro (elaborate da Spontini) eseguite dall'Ensemble Canova, con la regia di Roberto Recchia, interpretato da Elisabetta Pozzi, dal soprano Francesca Mondanaro e dal tenero Marcello Nardis. Il melologo, composto da prose e poesie dedicate a Isabella Teodochi Albrizzi e da brani salienti della sua autobiografia, parla del rapporto tra due affascinanti figure del primo Ottocento: il grande scultore Antonio Canova (di cui ricorre il 250 anniversario della nascita) e la nobile intellettuale che ha segnato la vita artistica di Venezia, aprendo il suo salotto a figure di primo piano come Foscolo, Pindemonte, Byron, Walter Scott e Chateubrinad. A chiusura della manifestazione, Roberto Loreggian ha eseguito sull'organo Callido della Chiesa di Santo Stefano di Maiolati Spontini arie e ouverture d'opera di Handel, Pescetti, Veracini, Bellini e Verdi, trascritte per organo.

ADRIANO IN SIRIA DI GIAMBATTISTA PERSOLESI
Per l'apertura del festival, è stata proposta in forma scenica, per la prima volta a Jesi, l'opera Adriano in Siria di Giambattista Pergolesi, rappresentata a Napoli nel 1734 a due anni dalla prematura scomparsa del grande compositore marchigiano, avendo come interprete il grande sopranista Gaetano Majorano in arte Caffarelli (1710-1783). Si tratta della terza opera seria pergolesiana, preceduta da La Salustia e da Il prigionier superbo. Il libretto è stato scritto da Pietro Metastasio, ispirandosi ai drammaturghi Racine, Quinautl e Corneille, ma anche all'opera Alessandro Severo di Apostolo Zeno, il poeta che per primo ha sostituito i personaggi mitologici con quelli storici, portatori di uno umano scontro umano tra virtù e vizio. Metastasio, uomo di teatro di maggiore spessore poetico, introduce una ulteriore variante innovativa, coniugando la tragedia classica con la sensibilità settecentesca, unendo il linguaggio poetico a quello musicale e liberando lo spettatore settecentesco dal traumatico impatto del tragico esito finale, sostituito da un lieto fine che ristabilisce ordine e giustizia in quell'equilibrio momentaneamente messo in discussione dalla persecuzione degli innocenti e dalle minacce contro la virtù.
Adriano in Siria è un esempio mirabile di questo modo di concepire la tragedia lirica, grazie ai versi che si sposano magnificamente alla musica, ai recitativi che sopportano il peso dell'azione drammatica, alle arie che, annunciate sempre da un'introduzione orchestrale, hanno il compito di stemperare la furia delle passioni, esaltare le virtù minacciate, rappresentare i tormenti amorosi dei personaggi. La centralità del testo poetico riflette una visione illuminata e aristocratica del mondo, dove i sentimenti sono forti ma non devastanti e il lieto fine segna il ritorno ad un ordine turbato dalle umane passioni. Pergolesi interpreta in modo egregio lo spirito del testo, componendo questo melodramma che si presenta come un gioiello del teatro aristocratico di corte, ma che tiene anche presente l'anima popolare della opera precedente con il gusto per il belcanto e per gli arditi virtuosismi canori. Si apre in questo modo la strada al melodramma settecentesco della seconda generazione, dove lo sfarzo e la spettacolarità della corte si uniranno con il gusto popolare per il meraviglioso e il realismo della nuova borghesia emergente.
L'edizione jesina, diretta dal M Ottavio Dantone ed eseguita dall'Accademia Bizantina, ha avuto il merito di riproporre un'opera sconosciuta ai più e imperniata sulla figura dell'imperatore Adriano (il contralto Marina Comparato) impegnato in Siria nella campagna contro i Parti, mentre intorno a lui si muovono e agiscono la sua promessa sposa sposa Sabina (il soprano Nicole Heaston), la principessa Emirena (il mezzosoprano Lucia Cirillo) e il suo promesso sposo principe Farnaspe (il soprano Olga Pasichnyk), lo sconfitto re dei Parti Osroa (il tenore Carlo Alemano, unico interprete maschile in un cast dominato da ruoli en travesti). Particolarmente apprezzabili sono state le arie Chi soffre senza pianto (Sabina), Lieto così talvolta (Farnaspe) nel primo atto; Quell'amplesso e quel perdono (Emirena), Leon piagato a morte (Osroa), Torbido in volto e nero (Farnaspe) nel secondo atto; Fra poco assiso in trono (Adriano), L'estremo pegno almeno (duetto di Farnaspe e Emirena) ne terzo atto.
Il giovane regista spagnolo Ignacio Garcia ha collocato questo intreccio di passioni amorose, di odi e di congiure di palazzo, di tradimenti e di slanci di generosità in un campo di battaglia cosparso di rovine e di lugubri teschi per ricordare che il potere crede di poter dominare il mondo con la violenza e le distruzioni, il carcere e le catene, per poi scoprire che esiste una realtà fatta non solo di vincitori e vittime, ma segnata anche dal vento della passione, dal dolore del rifiuto, dall'angoscia dei sentimenti e dall'anelito alla libertà , per cui lo stesso Adriano, una volta dominate le passioni amorose e politiche, ritrova l'equilibrio e la magnanimità degne di un imperatore romano. Dice il regista: Questo Adriano in Siria è la storia di un uomo e di un impero che rendono nella guerra, nelle carceri e nella distruzione come mezzo per ottenere un mondo più giusto e in armonia con se stesso.. La rovina, la polvere, il dolore l'assurdo di un essere umano che uccide, imprigiona o vendica affiorano nei personaggi attraverso le musiche meravigliose, afflitte e psicologicamente profonde di Pergolesi, capaci di racchiudere la tristezza dei prigionieri, la falsa giustizia dei vincitori e la vendetta dei vinti. Attraverso il canto tutti urlano il proprio dolore, violento o compresso, aggressivo o sublimato. La scena è il campo di battaglia dei sentimenti, delle frustrazioni e delle aspirazioni. Tra il carcere e le gabbie, tra le catene e gli uccelli imprigionati, i personaggi si scoprono a se stessi, combattono, amano e arrivano tutti alla stessa conclusione di Erasmo da Rotterdam: la guerra può essere bella soltanto per coloro che non la vivono mai . Infatti, placati gli odi, ricondotti nel loro ordine i legami d'amore, ripristinata la giustizia, tutti insieme i personaggi cantano S'oda, Augusto, infin sull'etra/il tuo nome ognor così;/e da noi, con bianca pietra/sia segnato il fausto dì , tenendo tuttavia nella mano un teschio a ricordare che per il potere la pace è solo un piacevole intervallo fra due guerre.
La vicenda, tratta da alcune cronache di storici romani, è ambientata in Siria, dove l'imperatore Adriano ha sconfitto Osroa, re dei Parti che è riuscito a fuggire. Nel primo atto il principe Farnaspe, generale dei Pareti, chiede udienza all'imperatore per implorare la liberazione della principessa Emirena, sua promessa sposa e figlia di Osroe, che si aggira per la reggia travestito da romano. Adriano, che è segretamente innamorato della fanciulla, promette di liberarla se avrà conferma del matrimonio. Osroa intanto prepara il piano per consumare la sua vendetta. Il tribuno Aquilio, innamorato di Sabina promessa sposa dell'imperatore, vuole incoraggiale l'amore di Adriano per la principessa dei Parti e suggerisce alla fanciulla di nascondere il suo amore per Franaspe, per cui di fronte all'indifferenza della sua promessa questi rimane sconvolto e angosciato. Incoraggiato dal rifiuto di Emirena, l'imperatore le dichiara il suo amore, ma viene interrotto dall'annuncio dell'arrivo a corte di Sabina. Aquilio spiega alla fanciulla che la freddezza di Adriano è causata dal suo amore per Emirena, ma raccomanda alla giovane di essere calma, perchè troverà il modo di risolvere questa situazione. Nella Notte Osroa incendia la reggia e Farnaspe si getta tra le fiamme per salvare Emirena, mentre Osroa è lacerato tra l'amore per la figlia e il desiderio di vendetta. Il principe viene accusato dell'incendio ed è rinchiuso nello stesso carcere di Emirena. I due, dopo una spiegazione, si riconciliano, pronti a vivere o a morire insieme. Nel secondo atto Sabina si convince dell'amore di Emirena per Franaspe e si propone di far fuggire i due giovani. Aquilino rivela il piano all'imperatore che frena a stento il suo furore consigliato da Aquilino che si mostra felice per lo svolgimento dei fatti. Sabina indica ai due innamorato una via di fuga, sulla quale incontrano uno straniero con una spada insanguinata, si tratta di Osroa che dichiara di aver ucciso Adriano, compare l'imperatore e spiega che un servo è stato ucciso al suo posto, accusando Farnaspe dell'attentato, ma Emirena dichiara l'innocenza del giovane e indica come colpevole il padre. Adriano fa rinchiudere i tre in un carcere dove Emirena chiede perdono al padre, Farnaspe si dispera per poter salvare il re e la sua amata, Farnaspe grida il suo odio come un leone ferito. Nel terzo atto Aquilio comunica a Sabina l'ordine dell'imperatore di ritornare a Roma, anche se il tribuno è triste per la partenza dell'amata. Sempre Aquilio comunica ad Adriano la partenza di Sabina per Roma e suggerisce di raggiungere un accordo con Osroa: gli restituirà il trono in cambio della mano della figlia. Il re dei Parti fa chiamare Emirena e invece di ordinarle di sposare il nemico, gli ordina di odiare per sempre l'imperatore che si sente tradito e giura di vendicarsi, mentre Emirena piange sul proprio triste destino. Farnaspe si reca da Emirena supplicandola di accettare la mano di Adriano per salvare il padre dalla vendetta romana, accettando con coraggio il loro reciproco sacrificio. Ma Sabina porta allo scoperto i piani di Aquilio che confessa le sue responsabilità e viene arrestato. Emirina e Farnaspe chiedono pietà per Osroa e la giovane offre la propria mano all'imperatore, mentre Sabina dichiara di non opporsi a queste nozze. Di fronte alla virtù e alla generosità mostrata da tutti, Adriano dichiara di voler rendere questo giorno felice: Osra riavrà il suo regno, Emirena e Franaspe saranno liberi di sposarsi, Aquilio viene assolto delle sue colpe, mentre lui si unirà in matrimonio con Sabina, per cui tutti lodalo la saggezza e la magnanimità dell'imperatore.

LA VESTALE DI GASPARE SPONTINI
Il secondo avvenimento di particolare rilievo culturale ha avuto luogo il 12 settembre con la rappresentazione nel Teatro Comunale di Maiolati Spontini dell'opera La Vestale di Gaspare Spontini, messa in scena con un allestimento appositamente studiato e realizzato dalla Compagnia Marionettistica Carlo Colla e figli, che ha voluto inserire questo melodramma nel proprio repertorio operistico per contribuire alla conoscenza di questo capolavoro in Italia e nel mondo. Infatti la Compagnia dei Colla è una delle maggiori istituzioni culturali italiane, perchè continua a tenere viva ad alti livelli artistici la tradizione marionettistica italiana con tournèe effettuate nel nostro Paese e in tutti i continenti, dove porta non solo spettacoli di prosa tratti dalla letteratura e dalla cultura popolare, ma anche l'opera italiana del Settecento e Ottocento, con allestimenti che sanno coniugare grande qualità tecnica, senso interpretativo ed eleganza artistica, gusto di suscitare stupore e entusiasmo nel pubblico. Anche nel caso de La Vestale la Compagnia Colla si è mostrata all'altezza della sua grande tradizione per la raffinatezza delle scene, la rapidità dei cambi d'ambiente, il numero incredibile di marionette messe in scena con eleganti costumi: particolare efficacia ha avuto la scena del trionfo del vincitore Licinio con un interminabile corteo formato da cavalieri, il carro del trionfo, i littori con le Tavole della legge, suonatori di tromba, schiere di soldati, prigionieri di guerra incatenati, il bue sacrificale, danzatori e giocolieri, bambini e gladiatori, una schiera di senatori, nobildonne e vestali. Perfetta è stata anche la sincronia fra i personaggi manovrati dai sapienti fili dei marionettisti e la parte musicale dell'opera: per l'occasione i Colla hanno scelto l'edizione del 1951, diretta dal M Fernando Previstali con l'Orchestra Sinfonica e il Coro di Roma della Rai, interpreti d'eccezione il soprano Maria Vitali, il tenore Renato Gavarini, il mezzo soprano Elena Nicolai e il tenore Alfredo Fineschi.
La Vestale è l'opera di maggiore respiro composta da Gaspare Spontini su libretto Etienne de Jouy e rappresentata a Parigi nel 1807. Accolta con grande entusiasmo fin dal suo apparire sulle scene, l'opera, oltre ad essere la massima espressione della grandeur napoleonica, apre la strada al grand opera francese, inaugura una straordinaria stagione dell'opera italiana, precorrendo atmosfere e stilemi propri del Rossini drammatico, di Bellini, Donizetti e del giovane Verdi. Sulla scia della Medea di Cherubini, si afferma sulla scena una grande eroina tragica, mentre il personaggio di Licinio precorre i fasti tenorili del Romanticismo. L'opera s'impone per la complessità dell'orchestrazione, la rilevanza dei cori (delle vestali, del popolo, dei sacerdoti, dei guerrieri, delle vestali), per il gusto della grandiosità scenica, per la dignità e la nobiltà della vestale Giulia, il carattere eroico e appassionato di Licinio, per la capacità di creare un climax particolare (si pensi all'inno mattutino e all'inno alla sera che aprono il primo e il secondo atto), per la solennità di certi passaggi (come il trionfo) lontani dalla sensibilità moderna, ma pienamente consoni al contesto storico del momento. La forza di Spontini sta nel modo di trattare le grandi scene, nell'impiego dell'orchestra e del coro, quando i concertati riescono a trasmettere un senso di monumentale grandiosità , nella capacità di conferire al carattere dei personaggi una dimensione psicologica, una dimensione oratoria che sfocia nelle grandi scene ad effetto, una dimensione sentimentale ed eroica spesso confluiscono in un insieme di grande efficacia come nei tre pezzi concertati del trionfo di Licinio, della condanna di Giulia e della scena del fulmine che incenerisce il velo di Giulia.
La trama. Primo atto. Licinio, dopo aver combattuto cinque anni lontano da Roma, ritorna per godere gli onori del trionfo, ma non è felice perchè Giulia, la donna amata, è stata costretta dal padre a consacrarsi a Vesta; egli tuttavia non vuole rinunciare a lei e, in occasione del trionfo, dato che proprio Giulia è stata incaricata di incoronare l'eroe, trova il modo per dirle che ha organizzato tutto per rapirla quella stessa notte.
Secondo atto. Giulia è incaricata dalla Gran Vestale di custodire il fuoco sacro del tempio. L'arrivo di Licinio colma la giovane di felicità , ma le fa anche dimenticare i suoi doveri, per cui il fuoco sacro si spegne. L'amico Cinna esorta il Licinio a fuggire e di fronte al suo rifiuto è la stessa Giulia a convincerlo ad abbandonare il tempio. Sopraggiunge il Gran Sacerdote che cerca di sapere dalla vestale il nome del suo amante; di fronte al suo silenzio, ordina che la giovane sia consegnata ai littori.
Terzo atto. Secondo la legge, Giulia è condannata a essere sepolta viva e a nulla servono le minacce e implorazioni di Licinio. Unica possibilità di salvezza è quella di sospendere il velo della vestale sopra il braciere: se sarà incenerito dal fuoco sacro, la peccatrice verrà perdonata. Giulia sta per essere rinchiusa nella tomba, quando arriva Licinio con alcuni uomini armati per liberarla, ma in quel momento un fulmine piomba sull'altare incenerendo il velo. à il segnale che Vesta ha perdonato Giulia che viene liberata dei suoi voti dal Gran Sacerdote, per cui potrà sposare Licinio.
(Alberto Pellegrino)


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