Ferrara: ovazioni per Vladimir Ashkenazy
Michele Borsatti
20 Lug 2002 - Commenti classica
FERRARA – Salutato da vere ovazioni e visibilmente soddisfatto del lavoro con la Mahler Chamber Orchestra, Vladimir Ashkenazy ha salutato il pubblico del Teatro comunale di Ferrara dopo avergli fatto ascoltare tutte le sfumature del classicismo. Sempre più spesso, il grande pianista russo si presenta ai concerti nella doppia veste di direttore e solista; a Ferrara era fra gli ospiti di riguardo del ciclo primaverile dell'orchestra residente. In quell'occasione (la sera del 19 aprile 2002), ha offerto dei due concerti per pianoforte e orchestra mozartiani in programma e della Grosse Fuge opera 133 di Ludwig van Beethoven interpretazioni molto differenti. Il Concerto in La maggiore K 414 sembrava la bandiera della leggerezza: dinamica ridotta al minimo, l'orchestra stessa che sembrava contagiata dal lievissimo tocco di Ashkenazy. Poteva sembrare un brano di elegante intrattenimento, come una serenata. Ascoltando, nella seconda parte della serata, il Concerto in re minore K 466, il contrasto con la precedente esecuzione di Mozart era molto evidente: l'impostazione drammatica del concerto più tardo è stata confermata da un'interpretazione ben più movimentata, specie nel primo tempo. Ashkenazy ha quindi voluto sottolineare la maturazione che, pur in pochi anni, ha caratterizzato il grande compositore salisburghese, nel genere del concerto per strumento solista e orchestra. In ogni caso, forse, di alleggerire il Concerto in La maggiore K 414 non c'era poi tanto bisogno. Per la Grosse Fuge di Beethoven, invece, il direttore ha scelto di non scavare nella complessità della scrittura, come spesso si sente dalle esecuzioni quartettistiche (la Fuga, in origine, concludeva il Quartetto opera 130). La nitidezza degli archi della Mahler Chamber Orchestra e l'equilibrio delle loro sezioni, hanno permesso comunque di avvertire le dissonanze e gli scarti ritmici: eppure la Fuga appariva insolitamente gioiosa, snella e fluida. Naturalmente, a fine serata, il pubblico ha richiamato più e più volte Ashkenazy nella speranza di un fuori-programma; con una mimica e un sorriso sorprendentemente simili a Charlie Chaplin, il maestro ha fatto spiritosamente capire di essere stanco di suonare il pianoforte e di non essere in grado di usare altri strumenti, come ad esempio il violino.
(fonte: Gli Amici della Musica)
(Michele Borsatti)