Esce “Il grande temporale”, disco di Stefano Barotti


a cura della Redazione

6 Ott 2020 - Dischi

In uscita il 10 ottobre “Il grande temporale”, il disco di Stefano Barotti, per La Stanza Nascosta Records, registrato tra l’Italia e gli Stati Uniti con un cast musicale d’eccezione. Tra gli ospiti speciali Joe e Marc Pisapia, Jono Manson, Mark Clark e John Egenes.

In uscita il 10 ottobre su tutte le piattaforme digitali “Il grande temporale”, quarto disco ufficiale del cantautore Stefano Barotti. L’album, distribuito da “La Stanza Nascosta Records” di Salvatore Papotto, è disponibile anche in formato fisico, sia nella versione CD che in vinile.

Registrato tra l’Italia e gli Stati Uniti, “Il grande temporale” è estremamente ricco dal punto di vista della produzione e delle sonorità e annovera un cast musicale d’eccezione.

“Tra gli ospiti speciali (dagli Stati Uniti e non solo) – racconta il cantautore – Joe e Marc Pisapia, Jono Manson, Mark Clark e John Egenes. Alla produzione artistica hanno partecipato Fabrizio Sisti (prezioso il suo contributo alle tastiere, al piano, ai sintetizzatori e all’organo Hammond), Alessio Bertelli, ingegnere del suono, e il batterista Vladimiro Carboni. Mi piace ricordare anche Marco Giongrandi (chitarra elettrica e banjo), Max De Bernardi (chitarre) e Paolo Ercoli (dobro e mandolino). Due le voci femminili, la bravissima Veronica Sbergia e l’esordiente Laura Bassani. Gli arrangiamenti e la direzione degli archi sono stati curati da Roberto Martinelli. Hanno preso parte al lavoro anche Roberto Ortolan (recentemente scomparso, N.d. R.), alla voce e alle chitarre, Nico Pistolesi (piano), Davide L’Abbate (chitarre) e Vittorio Alinari (sax soprano e clarinetto basso.) Le linee di basso sono di James Haggerty e Luca Silvestri; al contrabbasso Pietro Martinelli e l’amico Matteo Giannetti”.

Il grande temporale, dalleatmosfere marcatamente Seventies, consacra Stefano Barotti come musicista a tutto tondo, lontano dai rigidi schemi del cantautorato tradizionale.

Tipicamente barottiano nelle tematiche e nella narrazione testuale,innova fortemente nelle architetture sonore e negli arrangiamenti, con l’introduzione di accenti progressive rock.

“Le canzoni – racconta Barotti – respirano in modo diverso, come se la mia musica fosse stata investita da un autentico “cambiamento climatico”. Quasi un rito di passaggio, come il grande carnevale citato nella title track. La mia intenzione nella “canzone” – prosegue – non è cambiata molto, sono sempre io. Ma ho decisamente rinnovato il mio “guardaroba musicale”, cucendo addosso ai brani vestiti inediti”.

Circonfuso da un’aura deliziosamente vintage, Il grande temporaletrascende la folk songabbinando l’impiego di sintetizzatori e chitarre elettricheà la Wilco (si ascolti la title-track) a felici divagazioni jazzy (Enzo, Tutto nuovo),tentazioni reggae (Painter Loser) e riusciti echi blues.

Celebrazione crepuscolare del quotidiano e sguardo visionario si intrecciano in un album sorprendente e percussivo come un temporale.

Un viaggio di scoperta, di disobbedienza e libertà (con uno slancio rivoluzionario affine a quello diJannacci, non a caso omaggiato in Enzo), in bilico tra retrospettiva nostalgica e vertiginosa proiezione, divertissement (Mi ha telefonato Tom Waits) e topical songwriting (Marta, Aleppo).

“IL GRANDE TEMPORALE” raccontato, traccia per traccia, dall’autore

Il grande temporale

Storia di un amore elettrico, di quelli impossibili, misteriosi e irrazionali, che ci spingono a disobbedire al come ci hanno insegnato i sentimenti. Lei gli alzò il volume del cuore, e lui la fece ballare tutta la notte in un dopocena estivo, dopo il morire delle ombre. Entrambi si tuffarono senza paracadute dalle cime dei sentimenti, dove gli occhi, il cuore, le mani e la bocca vinsero sul cervello e la razionalità nel sentire qualcuno accanto. La canzone si divide in tre tempi, diversificati dall’arrangiamento, la melodia, e l’intenzione vocale. Il primo è più intimo, “il seme” di un qualcosa che sta nascendo, il secondo invece rispecchia l’incontro e il mescolarsi l’uno con l’altra. Nel terzo tempo – il più esplosivo – è come se i due amanti si trovassero dentro un grande temporale. E senza ombrello, né impermeabile e neppure un riparo. Si lasciano bagnare, si lasciano andare a quel grande temporale, a quel grande carnevale che chiamano amore.

Painter Loser

Guadagnarsi il pane, “when the music don’t pay”. Questo è uno dei grandi problemi di chi in Italia fa musica. Ma non solo, penso anche agli attori, i ballerini, i pittori, a tutto il mondo dell’arte in genere. Spesso chi si occupa di questo è costretto nel tempo ad abbandonare la propria passione per passare ad altro o ad escogitare una serie di modi per mettere qualcosa in frigo. L’Italia non è decisamente un paese per creativi. Per lunghi periodi ho fatto solo il musicista, in altri mi sono adeguato ad altro. (anche perché un po’ mi piace). Imbiancavo case; entrare nelle stanze, nelle vite delle persone è una cosa che mi affascina. E ho anche un discreto amore per questo lavoro, che aldilà di tutto mi rende libero artisticamente.

Spatola e spugna

Parliamo di calcio, quello vero. Uno sport che abbiamo perduto e che probabilmente non tornerà più con la poesia di un tempo. Paolo è un operaio, precario. Tifoso dell’Inter e fidanzato con Silvia. Sogna un biglietto per una finale di Coppa Campioni, ma soprattutto sogna un lavoro sicuro. La canzone racconta del calcio a cavallo tra il 1978 e il 1988. Dieci anni in cui le squadre italiane erano ricche di campioni ma soprattutto di giocatori che rispecchiavano il tifoso. Ci innamoravamo tutti del calcio in quei tempi. Oggi lo amiamo ancora ma non è più la stessa cosa. Nella canzone parlo di un giocatore che adoravo, Evaristo Beccalossi. Nel ritornello vengono citati Altobelli, l’avvocato Prisco-grande tifoso interista- e Bersellini, l’allenatore sergente di ferro che portò l’Inter alla conquista dello scudetto nel 1980. Paolo ricorda i racconti del padre, anche lui di fede interista. Le domeniche insieme a seguire i colori nero-azzurri, gli aneddoti domenicali di quando salvò un giovane Ivano Bordon dalla pioggia mentre si recava agli allenamenti o di quando, in treno, strinse la mano al sergente di ferro. Come nelle squadre di quei tempi – dove erano consentiti solo due/tre stranieri nella rosa – anch’io in questa canzone ho messo in campo John Egenes alla pedal steel, Jono Manson alla chitarra elettrica e tenore e Mark Clark alle percussioni. 

Tra il cielo e il prato

Se dovessimo incontrare il bambino che siamo stati gran parte di noi dovrebbe chiedergli scusa per come sono andate le cose. Ci dimentichiamo l’innocenza, la generosità, la voglia di vivere, e i sentimenti liberi, diventando, negli anni, qualcosa di diverso da quello che siamo o potremmo essere. Ogni tanto dovremmo fare come per il cambio degli armadi e rinnovarci. Cambiare pelle come fa il serpente. Essere curiosi e vivi. Ma dovremmo anche ricordarci di lui, del bimbo che eravamo. Non tradirlo. Accoglierlo, e essergli grati per tutta quella voglia di correre incontro al mondo. Nel suono dei tasti affiora il mio amore per i Beatles. Tornano le accordature aperte nelle mie chitarre, e due ospiti speciali: James Haggerty al basso, e la chitarra elettrica di Joe Pisapia a chiudere il cerchio.

Aleppo

Una donna, suo figlio di pochi anni. Una casa in preda ai bombardamenti. La percezione di lei che non potrà proteggere il suo piccolo ancora per molto. Da angelo custode sta diventando solo il suo scudo, a proteggerlo da un soffitto che sta tremando e promette di cadere ad ogni passaggio di aereo. Solo polvere e tuoni di bombe, solo la luna nella finestra più lontana della casa a ricordargli che fuori c’è ancora un mondo, un cielo, la vita. Sarebbe bello domani poter uscire senza paura e quella luna poterla guardare. E che venga il giorno in cui parlare di guerra sarà come si fa per i dinosauri. Un qualcosa di estinto, e che non tornerà.

Stanotte ho fatto un sogno

“…Chi non c’è, chi mi manca occupa casa e letto…” come cantava Piero Ciampi “la tua assenza è un assedio”. Un tuffo nostalgico di tre minuti a raccontare l’assenza di qualcuno. È uno dei momenti del disco a cui sono più affezionato. Impreziosita dalla direzione d’archi di Roberto Martinelli, Stanotte ho fatto un sogno rispecchia perfettamente il mio scrivere canzoni. Alle chitarre il mio amico Roberto Ortolan, scomparso ad aprile 2020. Una coincidenza particolare, che sia stata proprio questa l’ultima canzone nella quale ha registrato.

Mi ha telefonato Tom Waits

Altro omaggio presente nel disco è questo brano dove cito Tom Waits, ma soprattutto la sua prima opera “Closing time”, disco che mi ha profondamente influenzato ed emozionato. La canzone è un thriller dove immagino una telefonata con Waits, che mi suggerisce di far fuori il dj che importuna e corteggia la mia fidanzata. Un vecchio musicista mi raccontava che secondo lui ogni volta che un DJ usa la frase “ieri sera ho suonato” a qualche musicista nel mondo succede qualcosa di spiacevole. Da questo ho preso spunto per raccontare il rapporto tra chi suona e chi invece mette dischi. Ma è solo uno scherzo. A me i Dj stanno simpatici, e il loro è un lavoro vero come quello dei musicisti. Per l’occasione ho scomodato due amici, grandi musicisti nonché grandi anime: Max De Bernardi e Veronica Sbergia. Fondamentale nel brano l’intervento, ai sintetizzatori, di Fabrizio Sisti, che ha dato un supporto importante all’arrangiamento.

Quando racconterò

Canzone nata a Berlino, durante un viaggio senza data di ritorno. La partenza, il viaggio, una nuova pagina bianca dove scrivere giorni nuovi. Sentirsi cambiati spolverandosi gli occhi con nuove realtà visive. E poi la sensazione delle ali, del non tornare. Prendere le distanze dalle proprie impronte guardandole dall’alto, sentendosi quasi un alieno nella propria astronave. Mettere insieme i propri errori e farne un materasso per le notti a venire. L’idea che qualcuno ci stia aspettando, ma non è chiaro se quel qualcuno lo ritroveremo nel passato o nel futuro. Nella canzone accordature aperte delle chitarre resofonica e acustica richiamano la nostalgia Drakiana; il sax soprano e il clarinetto basso di Vittorio Alinari sottolineano l’atmosfera crepuscolare.

Enzo

Enzo Jannacci è stato un rivoluzionario della musica italiana. Ha preso la forma della canzone e l’ha scardinata, creando un qualcosa di eccezionale e spingendola oltre i confini. Tra i tanti che sono partiti è quello che ha lasciato il vuoto più grande a mio giudizio. Capitava, dopo un mio concerto a Milano, di dormire a casa di un amico che viveva nello stesso palazzo di Enzo Jannacci. Rientrati a casa a tarda notte cercavamo la macchina di Enzo (una 127 rossa) e, una volta trovata, ci fumavamo l’ultima sigaretta accanto a questa. Gli arrangiamenti e le sonorità della canzone sono un tentativo di richiamo al suo fare musica. Semplicità e intenzione. Protesta e ironia nel testo.

Marta

La violenza sulle donne è una delle cose più infami di cui l’uomo, “il maschio”, è capace. Un mistero come riesca a scendere così in basso, più in basso della bestia; uccidendo perché convinto che una donna sia di sua proprietà. Marta è una donna coraggiosa, ha un lavoro, dei figli, le piace cantare. La sua storia è quella di molte altre donne vittime di femminicidio. È decisamente una canzone di denuncia. Un momento del disco di profonda riflessione.

Tutto nuovo

La Lullaby del disco. Scritta appena appresa la notizia dell’arrivo di Arturo. Mio figlio. Tutto nuovo è arrivata di getto, immaginando come sarebbe cambiata da lì a poco la mia vita. Anche nelle piccole cose quotidiane. Cerco di descrivere come mi sono sentito. La sensazione è stata quella di essere finito dentro una specie di bolla, dove tutto si dilata e rallenta e perdi definitivamente il diritto al suicidio. La spesa, la scelta di un nome, un vecchio film e un nuovo quadro all’ingresso di casa. Aspettando Arturo, che oggi ha 5 anni e questa canzone già la canta.

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