Emma Dante e la tragica elegia delle sorelle Macaluso
di Alberto Pellegrino
14 Apr 2015 - Commenti teatro
Macerata (24.03.2015) – Nel buio del palcoscenico s’intravedono delle ombre che sembrano uscire dalla notte dei tempi, poi una di loro emerge nella luce e inizia a danzare sulla scena inseguendo una musica che sente solo lei; quindi altre nove figure inquadrate come soldati cominciano a marciare segnando ritmicamente il passo: sono Le sorelle Macaluso che emergono dal profondo della memoria, dalle inquietudini della coscienza. Si tratta dell’ultimo spettacolo di Emma Dante, andato in scena il 24/25 marzo al Teatro Lauro Rossi Macerata e il 26 al Ventidio Basso di Ascoli Piceno, una rappresentazione a cui sono stati assegnati i Premi Ubu 2014 per la migliore regia e per il migliore spettacolo dell’anno, prodotto dal Teatro Stabile di Napoli in collaborazione con Théatre National di Bruxelles, Festival d’Avignon e Folkteatern di Goteborg nell’ambito del Progetto europeo Città in Scena, finanziato dalla Commissione Europea. Le interpreti, tutte bravissime, sono Serena Barone, Elena Bogogni, Italia Carroccio, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Stephane Taillander; gli interpreti maschili Sandro Maria Campagna e Davide Celona: le luci sono di Cristina Zucaro e le armature di Gaetano Lo Monaco Celano.
Regista e drammaturga, la cui fama ha ormai superato i confini nazionali, la Dante predilige un teatro dalle tinte forti e sanguigne, impiegando una lingua siciliana a volte ostica da seguire per raccontare storie terribili di famiglie travolte da omicidi e incesti, passioni inconfessabili e violenze sconvolgenti. Dopo Mpalermu, Cani di bancata, La pulle, Vita mia, Medea, tutti spettacoli segnati dal tema della morte, la regista palermitana porta sulla scena la storia di una famiglia matriarcale percorsa da sentimenti ancestrali analizzati dalla scrittura immaginifica dell’autrice: “Un controluce impedisce ai nostri occhi di vedere in fondo: in fondo c’è l’oscurità. La scena è vuota. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo, dal cono di buio, viene lanciato verso di noi. Dal fondo, a poco a poco, appaiono delle facce, tre, cinque, sette, undici facce. Sono vivi e morti mescolati insieme. Ma non si capisce chi è vivo e non si capisce chi è morto. Tutti sono a lutto. A lutto eterno. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante si unisce al corteo. Le sorelle Macaluso sono un stormo di corvi neri che partecipano al proprio funerale e a quello degli altri. Sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte”.
Siamo di fronte a un dramma “per pupi” evocato da quattro scudi e quattro spade d’argento che a un certo punto le sorelle impugnano per un simbolico duello, scoprendo le foto e le croci sepolcrali di famiglia. Ma soprattutto si tratta di un dramma corale fatto di parole e di suoni, di una disperata e avvolgente gestualità, che vede come protagoniste assolute proprio loro, le sette sorelle Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella, impegnate a riportare in vita e a sognare, a ridere e a piangere, rievocando le invidie e i momenti felici, i giochi e i rimorsi, i piccoli soprusi e le gravi disgrazie che hanno segnato la loro esistenza. Il flusso dei ricordi inizia con la prima gita al mare con le sorelle che indossano colorati costumi da bagno e si abbandonano a giochi e scherzi in acqua, ma improvvisamente un’innocente gara d’apnea si trasforma in tragedia, quando una delle sorelle muore perché un’altra l’ha tenuta troppo tempo sott’acqua per essere lei la vincitrice.
È il primo lutto che segna il destino della famiglia e che provoca l’allontanamento della colpevole destinata a essere rinchiusa in un istituto correzionale. Da quel momento è tutto uno snodarsi di vicende familiari rievocate dai vivi e dai morti: l’apparizione del padre ancora giovane e vagamente erotomane che urla alle figlie ormai adulte la sua disperazione di uomo fallito per poi volteggiare avvinghiato alla moglie in una danza-amplesso che non avrà mai fine; poi è la volta di Davidù, l’unico fratello maschio, che nutre ambizioni di grande calciatore (il suo modello era Maradona), ma che per un vizio cardiaco muore sulla scena in divisa sportiva mimando, come un disarticolato burattino, una lunga e convulsa agonia. Il cerchio dello spettacolo, che era iniziato con una danza, si chiude con Maria, la sorella maggiore, che ha sempre coltivato la passione per il ballo classico (da piccola la chiamavano Passi s’Angelo) e fin da bambina sognava di prendere lezioni di ballo. La sua aspirazione artistica, rimasta irrealizzata, prende finalmente corpo quando la donna s’impegna in un’ultima disperata danza, con la quale vuole evocare il desiderio supremo di tutta la sua vita, danzando fino a crollare esangue sul pavimento. A questo punto l’intero gruppo familiare riprende la sua marcia funebre senza tempo e senza spazio, segnando la fine dello spettacolo.