Editoriale Natale 2023
di Alberto Pellegrino
23 Dic 2023 - Letteratura, Varie
Pubblichiamo l’editoriale natalizio e di fine anno del nostro direttore Alberto Pellegrino. Una riflessione quanto mai necessaria in un momento così travagliato della nostra storia.
Ancora una volta ci troviamo costretti a celebrare un Natale di guerra in mezzo alle sfavillanti luminarie dell’Occidente, senza pensare troppo alle innocenti vittime civili, a quei tanti bambini a cui è stato tolto il diritto di vivere e di avere un futuro, ai tanti poveri condannati al freddo e alla fame. Certo la guerra non è una novità nella storia dell’uomo, il quale ha sempre ceduto alla tentazione di risolvere con la forza bruta una questione che avrebbe potuto risolvere con l’uso della ragione.
Giustamente Bertolt Brecht dice: “La guerra che verrà/non è la prima. Prima/ci sono state altre guerre. /Alla fine dell’ultima/c’erano vincitori e vinti. /Fra i vinti la povera gente/faceva la fame! Fra i vincitori/faceva la fame la povera gente ugualmente”. Nell’era della comunicazione esiste il pericolo che guerra venga scambiata per un grande e terribile show presto visto e presto dimenticato per passare ad altro spettacolo.
A sua volta il drammaturgo Stefano Massini scrive: “Carri armati contro tagliagole. Esercito contro terroristi. Chi vincerà? Per chi fati il tifo sugli spalti? Di chi indossi la maglietta? Sembra Risiko, con la differenza che i morti sono veri, e non si rialzano […] Presupposto essenziale dell’egemonia umana sul pianeta è d’altronde la concezione del presente come un grande parco divertimenti in cui scegliamo se metterci alla prova […] Siamo noi e sempre solo noi, a decidere. Stabiliamo se siamo predisposti ora a tremare, ora a gareggiare, ora per commuoverci o perfino per odiare […] Sostenuti dalla fiducia incrollabile in una tecnologia onnipotente che nutre il nostro senso di supremazia, non riusciamo però ad accettare l’idea che la morte sia rimasta l’unica avversaria insormontabile, decide per noi senza interpellarci” (La Repubblica, 29 ottobre 2023).
Dopo l’immane tragedia della seconda guerra mondiale sembrava che il mondo occidentale si fosse convertito al primato della politica sulla guerra, che essa rappresentasse il trionfo apocalittico e senza freni del male: Si è pensato che gli Stati fossero ormai in grado di esercitare il loro potere per frenare l’uso della violenza come forza necessaria per risolvere i problemi fra le nazioni. In realtà il mondo non ha mai smesso di fare uso della violenza; si sono combattute guerre ideologiche e guerre per procura, guerre “umanitarie” e guerre di “civilizzazione”, persino guerre fatte in nome di un Dio. Qualora si fosse tutti convinti che la guerra sia uno strumento necessario per fare politica, allora ha ancora ragione Simone Weil che nel 1939 scriveva: “Non dobbiamo credere che, poiché siamo meno brutali, meno violenti, meno disumani di colore che abbiamo di fronte, vinceremo. La brutalità, la violenza, la disumanità hanno un prestigio immenso, che i libri di scuola nascondono ai bambini, che gli adulti non si confessano, che tutti subiscono”.
Nonostante questa visione pessimistica, noi di MusiCulturA on line continuiamo a rimanere fedeli al nostro ottimismo della volontà, nella convinzione che alla fine l’umanità saprà ritrovare la luce della pietà e della ragione. Per questo proponiamo ai nostri lettori di riflettere sui versi di due poeti provenienti da mondi lontani e diversi, ma uniti dalla stessa speranza nell’uomo.
Kenneth Patchen, poeta statunitense (1911-1972)
Forse le forme si apriranno. Chi vola volerà? Chi canta avrà una canzone? Cadranno le forme del male? Diventeranno pulite le vite degli uomini? Tenderà al bene il potere? Troverà il suo sole il potere dell’uomo? Fiammeggerà il potere dell’uomo come il sole? Si svolgerà il potere dell’uomo contro la morte? Chi ha ragione? Forse la guerra? Una stretta linea. Camminando sul suolo meraviglioso. Una barriera di fuoco. Ci vorrebbe poco per essere liberi. Che nessun uomo odiasse un altro uomo, perché è nero, perché è giallo, perché è bianco, o perché è inglese, o tedesco, o ricco, o povero; perché noi siamo ognuno.
Richard Rive, poeta sudafricano (nato nel 1931- assassinato nel 1989)
Dove termina l’arcobaleno Deve esserci un luogo, fratello, Dove si potrà cantare ogni genere di canzoni, E noi canteremo insieme, fratello, Tu ed io, anche se tu sei bianco e io non lo sono, Sarà una canzone triste, fratello, Perché non sappiamo come fa, Ed è difficile da imparare, Ma possiamo riuscirci, fratello, tu e io. Non esiste una canzone nera. Non esiste una canzone bianca. Esiste solo musica, fratello, Ed è musica quella che canteremo Dove termina l’arcobaleno.