Dove voleva andare Simone?
Athos Tromboni
11 Feb 2001 - Commenti classica
FERRARA Dove voleva andare Simone Ferraresi con il proprio concerto nel Ridotto, ultimo appuntamento dell'anno 2000 per l'importante rassegna cameristica del Teatro Comunale di Ferrara? Sarebbe stato bello scoprire le tracce motivazionali di una scelta che metteva assieme, in un unico recital pianistico, tre brani del grande repertorio virtuosistico, tutti improntati al modo minore: Schubert, Sonata in do minore D958; Rachmaninov, Sonata in sibemolle minore op.36 n.2; Liszt, Rapsodia ungherese in do diesis minore n.12.
Se il suo intento era quello di esplorare le inquietudini espressive di queste pagine, dobbiamo allora dire che lo ha fatto con un distacco analitico che ha posto l'interprete non dentro la musica, ma al di sopra di essa. Ci spieghiamo con un esempio: chi conosce le interpretazioni della Maria Joao Pires nelle sonate di modo minore (e soprattutto chi ha visto la pianista eseguire dal vivo) può avere chiaro il concetto di cosa significhi stare dentro la musica: ogni nota, ogni passaggio, ogni impennata espressiva crea una simbiosi fra il suono prodotto e la mimica del corpo. Elegia qui sulla pagina, elegia là nel corpo, tormento qui, tormento là , dubbio qui, dubbio là . L'esecutrice entra in una sorta di intercessione medianica che deborda oltre il suono e soggioga la sensibilità di chi ascolta. Chi ha visto il pianista Andras Schiff può capire cosa significhi, invece, stare al di sopra della musica: qui l'elegia della pagina, là un'assoluta padronanza del corpo che non sconfina oltre il controllo di se stesso, non si abbandona, partecipa alle emozioni con la testa e non con le vene ribollenti dell'estasi. Pires viscerale, Schiff analitico.
Abbiamo citato questi due artisti perchè, dal punto di vista della ricerca sulla qualità del suono pianistico, ci sembrano punti di riferimento e confronto con la ricerca che sta effettuando Simone Ferraresi. Un'associazione critica che ci è venuta ascoltando, nel Ridotto, proprio la Sonata D958 di Schubert eseguita da Ferraresi: se c'è una pagina in cui il compositore abbia rinunciato (più che in altre sue musiche) al pathos e alla magniloquenza, questa è nella D958. Eppure quella sua semplicità , la mancanza di forti contrasti tematici, una sorta di apnea espressiva dentro inquiete divagazioni fantastiche (soprattutto nel primo movimento), ben si prestano a trascinare l'esecutore dentro la musica. Ma se esso riesce a mantenersi al di sopra, come ha fatto Ferraresi sabato scorso, allora il suono che si diffonde nell'aria diventa partecipazione diretta degli ascoltatori alla musica, senza intercessioni medianiche.
Lo stesso dicasi per l'esecuzione della Sonata in sibemolle minore di Rachmaninov: ha prevalso l'interpretazione virtuosistica, una seduzione dell'attenzione che Simone Ferraresi ha esercitato sull'intera platea, dove il silenzio degli spettatori era tale che, nei momenti di pausa del suono, ciò che s'udiva non era il respiro dei presenti, ma il rombo soffocato degli autobus che transitavano fuori, davanti al Castello, remoti, al di là della finestra.
Tellurica, infine, la Rapsodia ungherese di Liszt, che ha concluso il concerto. Tanti applausi, al punto che Ferraresi ha dovuto concedere un bis. Non ha offerto una cosa semplice, ma la tronfia Marcia militare di Schubert elaborata da Carl Tausig: un gingillo che pochi pianisti osano proporre, per le difficoltà esecutive e l'impegno che richiede.
(Athos Tromboni )