“Don Juan” affascinante allo Sferisterio
di Alberto Pellegrino ed Elena Bartolucci
1 Ago 2023 - Commenti danza
Un Don Giovanni affascinante e innovatore presentato al Macerata Opera Festival dal coreografo svedese Johan Inger. Grande prova dell’Aterballetto che fa il pieno di applausi. Uno spettacolo che merita la doppia recensioni di Alberto Pellegrino ed Elena Bartolucci presenti per Musiculturaonline.
(Le foto di scena sono di Marilena Imbrescia)
RECENSIONE di Alberto Pellegrino
Angelo o demonio? Da anni si cerca di dare una risposta a questa domanda nell’affrontare il mito di Don Giovanni Tenorio da quando Tirso de Molina ha portato sulla scena il personaggio dell’Ingannatore di Siviglia. Il coreografo svedese Johan Inger e il drammaturgo Gregor Acuna-Phol hanno risolto questa dicotomia con il loro Don Juan, andato in scena il 27 luglio sul palcoscenico dello Sferisterio di Macerata, facendo ricorso a una lettura psicanalitica che diventa la chiave interpretativa di questo spettacolo prodotto dalla Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, dal quale è stata “tagliata” la tradizionale figura del Commendatore e sostituita dalla figura materna; inoltre, non sono stati posti limiti temporali per dare a questa storia contenuti più introspettivi.
Si parte quindi dal classico complesso di Edipo rivisitato attraverso l’analisi psicanalitica di Jung, il quale considera il dongiovannismo come uno dei possibili effetti del complesso materno: il figlio che cerca inconsciamente la madre in ogni donna senza riuscire a trovarla poiché nessuna risulta alla sua altezza. All’inizio si assiste al mimarsi di un ventre materno ingravidato, a una madre che partorisce, nutre, calza e veste il piccolo Juan per poi abbandonarlo e generare in lui una perenne ferita.
Don Giovanni rimane pertanto vittima di una sindrome da abbandono: per difendersi cerca rifugio fra le braccia di altre donne con l’intento di provare a se stesso che la madre, suo unico oggetto d’amore, può essere sostituita da altre figure femminili che gli consentono di salvarsi da un amore pericoloso, perché percepito come avido e distruttivo.
Questa sua condizione psicologica e sentimentale comporta che la donna non è vista come una persona ma come un semplice strumento usato per rafforzare il proprio ego e per passare alla prossima conquista, per cui Don Giovanni è vittima di una “bulimia erotica”, la quale lo porta ad esercitare l’arte della seduzione senza mai abbandonarsi all’amore. Infatti, nella commedia di Molière egli sostiene che “nulla può arrestare l’impeto dei miei desideri: mi sento un cuore capace d’amare il mondo intero e vorrei, come Alessandro, che ci fossero altri mondi ancora per potervi estendere le mie conquiste amorose”. Dietro questo “superomismo” si nasconde però la debolezza di un bambino abbandonato dalla madre che egli continua a cercare in altre donne per colmare un vuoto interiore e una immaturità della sfera sentimentale.
Malgrado appaia intrigante e violento, appassionato e ingannatore, Don Giovanni finisce per essere la “vittima” delle donne che incontra: Elvira che gli prospetta di realizzare con lei il sogno di una vita familiare; Zerlina che vive con lui l’ultima avventura sessuale prima del matrimonio; Donna Anna che cerca nel seduttore quella passionalità che il marito Don Ottavia non sa darle; Tisbea (personaggio presente in Tirso de Molina) che s’illude di poter condurre il gioco sessuale per essere infine respinta; l’adolescente Ines che, mentre si sta per consumare lo stupro, gli viene sottratta dalla Madre, la quale si sostituisce alla giovinetta nell’amplesso, realizzando così il sogno edipico del protagonista.
Alla fine, Don Juan, dopo essere diventato un assassino, appare come un “angelo caduto” che sembra risplendere di luce propria e troneggia dall’alto di una colonna sotto una pioggia di cenere destinata a rimarcare la sua fragilità umana, mentre è circondato da una torma di demoni. A sottolineare la sua ambiguità, gli autori lasciano decidere allo spettatore se questo “eroe” si salverà o finirà dannato.
Il direttore artistico dell’Aterballetto Gigi Cristoforetti ha tenuto a precisare che “la chiave d’accesso di questo spettacolo è la sua contemporaneità. Come ancorare alla nostra realtà la coazione a ripetere che sta alla base della seduzione di Don Juan? Da questa domanda, il coreografo Johan Inger è andato a scavare nella storia personale di questo personaggio, risalendo alla sua infanzia e all’abbandono da parte della madre: un evento che genera una reazione malata verso l’universo femminile. Già nella prima scena lo spettatore scopre questa chiave psicanalitica legata al trauma dell’abbandono: scopriamo un Don Juan vittima di se stesso”.
Johan Inger e Gregor Acuna-Pohl hanno curato in modo particolare la figura di Don Giovanni e hanno dichiarato che, per studiare il personaggio, si sono dedicati alla consultazione di venticinque testi diversi, tra cui quelli di Tirso de Molina, Molière, Bertolt Brecht e Suzanne Lilar, autrice di Le Burlador, una rivisitazione del mito dongiovanneo attraverso un’analisi psicologica in chiave femminista.
La coreografia, dove sono presenti tutti i personaggi della storia, ha la capacità di sottolineare sfumature ed emozioni, per cui la danza diviene la lente d’ingrandimento che permette di svelare i singoli caratteri e il mondo interiore degli uomini e delle donne in scena. I 16 danzatori interpretano in modo eccellente tutti i personaggi a cominciare da Saul Daniele Ardillo, un Don Juan dalla prorompente fisicità che domina la scena per tutto lo spettacolo. Particolarmente efficaci le musiche di Marc Alvarez, autore di una partitura originale e innovativa che tuttavia non tralascia alcuni riferimenti melodici. La scenografia è formata da pareti nere e mobili che riflettono il tormentato e cupo mondo interiore del personaggio: diventano i letti dei suoi misfatti sessuali, i luoghi delle sue lotte, le barriere che lo separano dagli altri togliendogli la possibilità di autentiche relazioni. Attorno e dietro ad esse i personaggi ruotano, danzano, scompaiono; le stesse barriere diventano a volte luminose come specchi per riflettere il progressivo degrado del protagonista. Le luci e le ombre che segnano l’intera vicenda sono momentaneamente vivacizzate dalla scena corale di danza per la festa di nozze di Masetto e Zerbina; dallo scontro fisico tra Don Giovanni, il marito tradito e i suoi amici; dalle atmosfere fantasmagoriche e colorate del Carnevale mascherato. Tutti i vari passaggi della vicenda sono dominati dalla dualità di Don Juan, un angelo caduto dal cielo e una figura demoniaca con le ali, fronteggiato dal suo servitore Leo (Leporello) che funge da coscienza del suo padrone, di fronte al quale contrappone invano la sua capacità riflessiva, la sua genuina moralità popolare.
RECENSIONE di Elena Bartolucci
Con grande successo di pubblico, lo scorso 27 luglio ha debuttato allo Sferisterio lo spettacolo “Don Juan”, una creazione per sedici danzatori firmata da Johan Inger per la Fondazione Nazionale della Danza Aterballetto. Per la prima volta la coreografia è stata portata in scena con la musica eseguita dal vivo dalla FORM (Orchestra Filarmonica Marchigiana) diretta dal Maestro Manuel Coves.
Vincitore del Premio Danza&Danza come “Miglior produzione” del 2020, questo Don Juan è una rilettura personale sulla storia legata al famoso personaggio di Don Giovanni, mito paradigmatico antico e ancora contemporaneo.
“Il mio Don Juan – scrive il coreografo Inger – porta con sé un trauma, che lo ha plasmato nel suo discutibile comportamento. Non è in grado di impegnarsi e può trovare soddisfazione solo nel qui e ora. Ha una personalità tendente alla dipendenza. Don Juan riflette sulle sue azioni? È qui che Leo entra in gioco nel nostro concept, si contrappone a Don Juan e attraverso di lui abbiamo cercato di creare uno specchio. Il nostro protagonista cerca la madre in ogni incontro con l’altro perché lei lo ha lasciato da piccolo. Non sappiamo per quale motivo e in che modo ma siamo certi che l’abbandono abbia determinato nel piccolo Don Juan un grande vuoto interiore e un’immaturità nella sfera emotiva, sentimentale. Per colmare questo vuoto, per far fronte alla separazione dal ventre materno Don Juan ha bisogno di collezionare grembi femminili”.
Inger e il drammaturgo Gregor Acuña-Pohl hanno potuto consultare venticinque diversi testi ispirati al personaggio, che per secoli ha saputo regalare un’infinità di storie. Nella coreografia si ritrovano infatti tutti i personaggi, da Donna Elvira a Donna Anna a Zerlina e Masetto. “Il Don Juan può essere considerato un Kammerspiel, con sua capacità di sottolineare sfumature ed emozioni: e nel caso di questa creazione la danza diviene lente d’ingrandimento dei singoli caratteri, e svela in modo sottile ma evidente il mondo interiore degli uomini e delle donne in scena”.
Proprio all’inizio dello spettacolo, infatti, Don Juan prende vita dal grembo materno e muove i suoi primi passi prima di iniziare a camminare, viene accudito e vestito per poi iniziare a correre con le proprie gambe. Dal primo innamoramento alla possibilità sfumata di mettere radici e creare una famiglia, Don Juan cambia evolvendo in una figura più oscura, sciupafemmine che non ha pietà e tanto meno rispetto per il mondo femminile in generale, che tornerà a chiedergli il conto alla fine.
Un elevato livello di espressività nelle movenze più delicate viene messo in risalto nei momenti di maggiore intimità, si registra invece un grande pathos nelle scene dal taglio più erotico. Ottima sincronia nei balli di gruppo, mentre gli inizi del racconto prevedono un maggior numero di movimenti a scatti, quasi slegati dal resto del contesto.
Davvero interessante la scelta scenografica di giocare con grossi monoliti posizionati quasi come tessere del domino che si muovono, prendono vita con uso molto abile dell’impianto luci e cadono (più o meno volontariamente) in base alla storia narrata sul palco.
La coreografia è firmata da Johan Inger.
La FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana è stata diretta dal vivo da Manuel Coves, eseguendo la musica originale di Marc Álvarez.
Le scene sono state realizzate da Curt Allen Wilmer (AAPEE) con EstudiodeDos, mentre le luci sono di Fabiana Piccioli e i costumi portano la firma di Bregje van Balen. Lo spettacolo è una produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto con coproduzione Ravenna Festival, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia/ Festival Aperto, Fondazione Teatro Regio di Parma, Associazione Arena Sferisterio Macerata, Festspielhaus St. Poelten, Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Metastasio di Prato, Centro Teatrale Bresciano, Fondazione Cariverona – Circuito VivoTeatro (Teatro Ristori di Verona, Teatro Comunale di Belluno, Teatro Salieri di Legnago, Teatro Comunale di Vicenza, Teatro delle Muse di Ancona).