Salisburgo e Jesi: due “Don Giovanni” a confronto
di Alberto Pellegrino
6 Nov 2014 - Commenti classica, Musica classica
Il Don Giovanni di Salisburgo
Salisburgo. Il Don Giovanni di Mozart ritorna per l’ennesima volta al Festival di Salisburgo quest’anno con un cast di ottimo livello nel quale spiccano per qualità canore e intensità interpretativa tre cantanti italiani: Ildebrando D’Arcangelo che sta interpretando il personaggio di Don Giovanni in tutto il mondo perché è considerato il numero uno nella resa di questo personaggio; il baritono Luca Pisaroni che è stato un brillante Leporello assolutamente credibile sia nella parte tragica sia comica, particolarmente efficace nel celebre Madamina il catalogo è questo, quando sfoglia sotto gli occhi della esterrefatta Donna Elvira la voluminosa raccolta fotografica delle numerose amanti del padrone; Il giovane Alessio Arduini che è stato un appassionato e vibrante Masetto. Parimenti credibile è stato il Commendatore del roccioso Tomasz Konieczny, mentre di livello inferiore Andrew Stapies che nei panni di Don Ottavio non ha saputo dare spessore al personaggio che è apparso sbiadito e alquanto asessuato, senza riuscire a risollevarsi nemmeno nelle sue due arie-cardine Dalla sua pace e Il mio tesoro. Più diversificato è il discorso sulle tre interpreti femminili. Anneth Fritsch è stata una bella e un’intensa Donna Elvira nel ruolo di una specie di nemesi che stronca sul nascere tutte le trame di Don Giovanni: appare all’inizio in abito da sposa (è stata abbandonata tre giorni dopo le nozze da Don Giovanni); poi circola con una succinta sottoveste ed esibisce una notevole carica erotica soprattutto in una specie di rapporto a tre con Don Giovanni e con Leporello (scambiato per il suo padrone); infine conclude la vicenda con indosso un candito abito da suora, quando supplica Don Giovanni di ravvedersi delle sue colpe. La moldava Valentina Nafornita è stata una credibile Zerlina, cavandosela bene sia nel duetto La ci darem la mano e nell’aria Batti batti, dando poi il meglio di sé in Vedrai carino, dove è stata molto seduttiva anche per il parziale strip-tease impostole dalla regia, nel quale ha messo in mostra un fisico da mannequin. Lenneke Ruiten è apparsa una Donna Anna abbastanza scolorita, probabilmente disorientata dal pesante carico interpretativo impostogli dalla regia nel doppio ruolo della casta giovane perseguitata dal suo aggressore, ma anche presa da un inconfessato ardore sessuale per Don Giovanni e da un complesso di Elettra nei confronti del padre che emerge nel finale, quando la regia le suggerisce di baciare sulla bocca la statua del Commendatore.
Come sempre eccezionale l’esecuzione dei Wiener Philarmoniker, un’orchestra che sa esprimere una qualità strumentale e uno spessore sonoro di altissimo livello soprattutto quando si trova alle prese con uno spartito mozartiano, nonostante la direzione di Christopher Escenbach che ha alternato momenti di grande vivacità ad altri di pura routine. La regia di Sven-Erich Bechtoff è apparsa alquanto ibrida e alquanto “fredda”, in parte irrisolta perché sempre a metà strada fra tradizione e innovazione. L’idea di partenza poteva anche risultare interessante, sorretta da splendidi costumi, ottimo disegno luci e una scenografia molto funzionale, che favorisce azioni sceniche dai ritmi molto sostenuti. La vicenda è collocato intorno agli anni Trenta (l’età delle dittature europee) e si conferisce grande spessore all’inno Viva la Libertà, intonato da Don Giovanni con Anna, Ottavio ed Elvira presenti alla sua festa in maschera. Siamo un elegante Grande Hotel dove Don Giovanni è un ospite che corre dietro a tutte le donne, avvolto nel suo cappotto di pelle di pitone e invano inseguito dal Leporello, Masetto fa il barista e Zerlina la cameriera; il Commendatore indossa la divisa di generale, mentre Don Ottavio (quasi un prolungamento della figura del Commendatore) è un ufficiale alla testa di un drappello di militari incaricati di mantenere l’ordine e di scacciare dalle camere ogni coppia peccaminosa. Si assiste inoltre a gran via via di valigie, a un continuo e forse eccessivo andirivieni di camerieri e cameriere, clienti e facchini. Il regista non si dimentica di avere fra le mani un “dramma giocoso” per cui, oltre alla chiave della libertà soprattutto sessuale, sottolinea la componente dionisiaca del mito giovanneo, preannunciato all’inizio dal demonio che serve al bar e dalla diavolessa nuda che compare nella camera centrale dell’hotel. Una nota positiva è data dal mettere in evidenza la serialità dell’ossessivo desiderio per la donna in Don Giovanni che finisce per mettere in disparte ogni riflessione morale sul personaggio. Il mito di Don Giovanni è indistruttibile, per cui mentre il sestetto finale celebra la sua morte, egli risuscita, sfiora con una invisibile carezza i volti di Anna ed Elvira e si dilegua inseguendo la giovane cameriera che non era riuscito a conquistare.
Il Don Giovanni del Teatro Pergolesi
Jesi (AN). È arrivato al Teatro Comunale Pergolesi di Jesi un Don Giovanni di Mozart prodotto a Como dal Circuito Lirico Lombardo Dalla Fondazione Pergolesi Spontini, dal Teatro dell’Aquila di Fermo, Dal Teatro Comunale di Bolzano, dalla Fondazione i Teatri di Reggio Emilia. L’interpretazione delle due rappresentazioni (4/5 ottobre) è stata affidata a un cast di giovani cantanti in gran parte vincitori del 65° Concorso As.Li.Co. per Giovani Cantanti Lirici d’Europa, fra i quali spiccava il nome di Andrea Concetti (uno dei maggiori interpreti di Leporello), che sembrava capitato per caso e per una sola serata in mezzo a tanti giovani talenti in via di formazione, che hanno dato vita a uno spettacolo dignitoso dal punto di vista musicale ben sorretti dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretta con vivacità dal M° José Luis Gomez-Rios.
Lo spettacolo, preceduto da un’intensa campagna stampa, era molto atteso per la regia affidata all’inglese Graham Vick che passa per un autore che vuole aprire nuove strade per l’opera lirica, direttore artistico della Birmingham Opera Company, con all’attivo diversi allestimenti in alcuni importanti teatri lirici del mondo, già conosciuto in Italia per avere ricevuto sei “Premi Abbiati” e per essere stato due volte presente al Rossini Opera Festival di Pesaro con un Mosè in Egitto (2011) nel quale avvicinava l’eroe biblico a Bin Laden, con un Guglielmo Tell (2013), nel quale l’eroe medioevale dell’indipendenza svizzera era visto come capo dei primi movimento socialisti. Si prometteva l’arrivo di un Don Giovanni a “luci rosee” e rivoluzionario, che il regista definiva “un capolavoro in cui grottesco, volgarità e ossessione per il sesso sono temi dominanti”. Questa affermazione lasciava presagire una messa in scena “sulfurea”, perché “Giovanni getta via tutte le leggi, i vincoli e tabù”, perché “il nostro mondo precipita verso l’autodistruzione…attraverso droghe, iniezioni, il bisturi del chirurgo, la sexualization dei bambini trasformati in icone”. Secondo il regista “Don Giovanni si diffonde come un virus, trascinando tutti nella sua tela universale…l’incarnazione di una società in cui la trasgressione è glamour, è vendibile, provoca dipendenza e in cui la corruzione è norma condivisa”.
Entro in teatro pronto a lasciarmi “scandalizzare” con la speranza che queste intenzioni della regia, le quali lasciano presupporre un teatro dal forte impegno civili, si riesca a tradurle sulla scena, usando naturalmente il libretto di Da Ponte e la musica di Mozart. Si comincia con un simbolico ricordo di un padre-padrone che peserà su tutto lo spettacolo, ci si ritrova dentro le atmosfere di una degradata periferia industriale con un container pieno di donne-manichino rottamate e di ragazze-bambole ormai in disuso, con una land rover da cui fuoriesce un Don Giovanni infoiato seguito da una Donna Anna con le mutandine calate e poi tolte per simulare un coito con penetrazione, mutandine che, fatte annusare al Commendatore, provocano un infarto. Don Giovanni fugge, la polizia indaga, Donna Elvira vestita da suora inizia a marcare da vicino il suo seduttore. Don Giovanni corteggia Zerlina e vorrebbe portarla nella sua auto-alcova, ma l’arrivo di Elvira glielo impedisce. Egli si fa un’iniezione di eroina per essere in forma alla sua festa, cui partecipano Anna ed Elvira vestite da battone e Ottavio in abiti da trans, la festa si trasforma in orgia con strisce di cocaina sniffate direttamente dal pavimento mentre Don Giovanni canta “Viva la libertà” (questo accostamento cocaina-libertà non mi sembra il massimo dell’impegno civile). Il primo atto funziona anche se non “scandalizza” come da intenzioni, pigia sul pedale della comicità volutamente volgare che non graffia, i tempi teatrali sono molto precisi e i ritmi serrati. Nel secondo atto la situazione precipita: confusa la scena dello scambio di persona tra padrone e servo; orribile la scena del sestetto all’interno di un container; privo di spessore drammatico il primo incontro con il Commendatore; figurativamente trasandata la scena della trasgressioni tra sadismo e pedofilia con Don Giovanni trasformato in guardone dietro una talecamera amatoriale e un set pecoreccio (Don Giovanni nella sua perversione agisce e non si limita a guardare) assolutamente priva di spessore la cena con il Commendatore e la stessa morte del protagonista perde ogni connotazione tragica. Siamo pronti ad accogliere qualsiasi attualizzazione e modernizzazione dell’opera ma bisognerà pur tenere conto del libretto di Da Ponte (grande macchina teatrale) e della musica di Mozart che pure l’ha composta. Esco dal teatro né scandalizzato, né divertito; lo spettacolo non mi ha segnato, non mi ha “emozionato”; esso smarrisce il senso di questo dramma giocoso non riuscendo a conciliare la parte tragica e la parte satirica, riducendo “l’opera buffa” a una farsa nemmeno divertente. Fra i tanti Don Giovanni che ho visto e ascoltato direi che questo mi ha annoiato, manca l’eleganza del Don Giovanni di Strehler, il raffinato ma potente erotismo del Don Giovanni di Pierluigi Pizzi, per citare quelli che amo di più. Graham Vick sarà pure un grande regista, ma probabilmente il gigantesco personaggio di Don Giovanni non appartiene alle sue corde interpretative.