Dare a “Rigoletto” quel che è di Verdi
di Andrea Zepponi
4 Mar 2014 - Commenti classica, Musica classica
Fano (PU) – Una scena livida e grigia: nude ed essenziali strutture portanti non riescono a ricreare vere pareti, ma solo a delimitare i luoghi della vicenda; invano un padre vorrebbe sottrarre la figlia ancora inesperta ai pericoli di un mondo che invade crudelmente i sentimenti, li travisa e li calpesta. Nella discoteca equivoca dove lui lavora la parola d’ordine è “godere e consumare”; tutto ciò che il povero padre può è erigere fragili e illusori diaframmi. Tutto poi finirà accanto al carrozzone spettrale adibito a chiosco piadinaro; a nascondere i misfatti di un sicario senza scrupoli e di un’avida prostituta basta una tela cerata nera come un temporale nella notte; sullo sfondo un mucchio di immondizia variopinta ricorda il destino inevitabile di ciò che è stato consumato e gettato via. Chi ha assistito all’esecuzione di Rigoletto venerdì 21 febbraio ore 20.30 al Teatro della Fortuna di Fano si sarà forse sorpreso nel vedere la festa del prim’atto ambientata in una discoteca dei nostri giorni, succinte cubiste che si dimenano, un Duca guappo e contornato da una masnada di bulli cortigiani esponenti di una mala locale, Rigoletto disc-jockey che si destreggia tra banco dei liquori e consolle degli stereo, la Contessa di Ceprano entraîneuse per una sera e un Monterone giovanile e non meno compromesso nell’ambiente di chi gli ha violato la figlia; alla caduta delle illusioni di una Gilda sempre in sottoveste e oggetto di desiderio per Duca e cortigiani sbruffoni e sicuri di farla franca nella notte che la rapiscono indossando maschere da maiali, contribuisce Rigoletto stesso che bazzica gente come Giovanna, ex figlia dei fiori strafatta, che vende Gilda al Duca, e la coppia di delinquenti Sparafucile – Maddalena gestori di un chiosco per copertura, ma assassino lui e bagascia complice lei. Questo tipo di attualizzazione poteva sorprendere, forse scandalizzare, ma gli ingredienti dell’opera verdiana c’erano tutti, la visione del mondo di Verdi era centrata in pieno dalla scenografia-regia di Alessandro Talevi, coadiuvata dalle luci di Giuseppe Calabrò, coerente e ben spesa nel descrivere plausibilmente la vicenda di Rigoletto. Anche l’uso dei tubi Innocenti in scena per ogni tipo di struttura (perfino il bancone del bar nella discoteca del primo atto e il ricovero notturno del duca assonnato nel terzo) traduceva quel senso di nudità, freddezza e precarietà che Verdi doveva sottendere alla concezione del mondo dei suoi personaggi: un bieco milieu fatto di bassi interessi e di violenza in cui l’unico calore è quello del sesso o del sangue che scorre; chi come Rigoletto cerca di riscaldare la propria vita con innocenti affetti familiari è destinato a soccombere perché nel contesto in cui vive conta solo il potere del danaro, della forza bruta e del sesso. Evitando inoltre le grazie rinascimentali dell’ambientazione tradizionale il regista ha avuto buon gioco nel rendere evidente l’intento verista che serpeggiava in Verdi sul crinale della sua maturità artistica. Gli interpreti hanno realizzato l’intento attualizzante della regia con presenze sceniche convincenti e ben condotte, valorizzate dai pregnanti costumi di Manuel Pedretti; vocalmente si è apprezzato lo spessore drammatico del tenore Gianluca Terranova nella parte del Duca di Mantova, il cui squillo ha furoreggiato nel Questa o quella e nella Donna è mobile dove l’artista ha completato anche scenicamente il quadro del duca spaccone e spavaldo che siede al bar di Sparafucile, snocciola un gran si naturale e ingoia al volo noccioline atteggiandosi a Fonzie; dotato di un colore scuro che ha ben reso il fondo noir del duca bullo, Terranova ha esercitato una certa sprezzatura (leggi: gruppetti e cadenze non proprio a fuoco) nelle parti di belcantismo convenzionale voluto da Verdi: duetto con Gilda e aria del secondo atto con tanto di cabaletta Possente amor; la sua vocalità è stata comunque efficace e generosa. Applauditissimo. Complice l’ottima acustica della sala del teatro fanese, anche la Gilda del soprano Laura Giordano è stata interpretata con pertinente spessore delineando il lato innocente e tenero della parte: voce di soprano coloratura, la Giordano ha un bel colore vocale, picchia bene negli acuti e scandisce l’agilità; di lei si sono apprezzati molto i fiati e la loro tenuta nel Caro nome e nella scena finale dove viene resa al padre da Sparafucile dentro un sacco e su un carrello basso da carico. Anche i momenti drammatici di Tutte le feste e i duetti con Rigoletto l’hanno fatta emergere in modo convincente con un meritato riscontro di applausi da parte del pubblico. Il Rigoletto di Mauro Bonfanti aveva la sua plausibilità soprattutto negli accenti e nella resa drammatica del personaggio: voce di baritono chiaro, Bonfanti ha seguito la versione filologica del personaggio, quella senza acuti di tradizione, puntando molto sulla dizione e sull’intensità del fraseggio melodico e nei recitativi; sebbene poco ampio nelle incursioni della zona acuta residua nello spartito, è risultato comunque efficace con una presenza scenica imponente – un Rigoletto più alto e prestante del Duca- e nel duetto della vendetta un bel gesto vocale (con un tradizionale la bemolle acuto nella puntatura finale) ed una buona tenuta; anche per lui non sono mancati applausi sentiti e meritati. Punti di forza del cast erano anche lo Sparafucile di Carlo Malinverno dalla vera vocalità di basso con le risonanze giuste per essere credibile in un ruolo così scoperto e fugace e la Maddalena di Mariana Pentcheva, eclatante voce di mezzosoprano-contralto che ha restituito molto bene la vistosa ed ingannevole procacità del personaggio con una presenza vocale sensibile ed emergente anche nel celebre quartetto Bella figlia. I concitati interventi dei due delinquenti nella scena del temporale avevano il giusto risalto, grazie alle rispettive vocalità, ed hanno reso bene il senso di orrore e di suspense della partitura. Meno a fuoco vocalmente, ma tutte convincenti dal punto di vista scenico le figure di fianco, a cominciare dal Conte di Monterone (dovrebbe essere un basso) interpretato da Giampiero Cicino con una vocalità indistinta, il cui colore tenorile poteva ben alludere, in un’ottica di verismo vocale, ad un’età non tanto lontana da quella di duca e company, quindi il Conte di Ceprano di Roberto Gattei, con la sua vocalità di basse-baritone leggero e la Contessa di Ceprano di Olga Maria Salati ben timbrata e con una mise che la rendeva complementare a Maddalena, escort di basso bordo questa, di alto quella; a seguire il paggio della Duchessa di Valentina Chiari nelle vesti di curiosa segretaria con tanto di tablet e notebook; infine il Marullo di Giacomo Medici e il Matteo Borsa di Gilberto Mulargia e l’usciere di corte di Gianni Paci dagli eleganti costumi hanno trovato il loro giusto risalto. Eloquente e ridondante di colori e di effetti era la F.O.R.M., Orchestra Filarmonica Marchigiana in collaborazione con l’Orchestra Sinfonica G. Rossini alla cui testa era il direttore Francesco Ivan Ciampa, il quale ha seguito una parziale lettura filologica nel riservare ai cantanti qualche acuto di tradizione e solo in alcuni momenti. Come per la compagine orchestrale la commistione di elementi, quelli del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” con quelli del Coro del Teatro della Fortuna “M. Agostini” ha ottimizzato la resa complessiva anche grazie alla puntuale direzione del maestro del coro Carlo Morganti.