“Dal Futurismo all’Informale. Capolavori della Collezione del Mart” ad Ancona
di Flavia Orsati
2 Apr 2024 - Arti Visive
Abbiamo visitato, ad Ancona, presso la Mole Vanvitelliana, la mostra di capolavori “Dal Futurismo all’Informale”, dalla collezione del Mart, da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Alessandra Tiddia.
[...] Che regna nella stanza è il silenzio del testimone muto della neve, della pioggia, del fumo, dell’immobilità del mutamento. Mario Luzi
Presso la Sala delle Polveri della Mole Vanvitelliana di Ancona abbiamo visitato la mostra “Dal Futurismo all’Informale. Capolavori della Collezione del Mart”, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Alessandra Tiddia. Contemporaneamente, nella adiacente Sala Vanvitelli, è esposta una selezione di opere emblematiche del clima culturale cittadino, provenienti dalla Pinacoteca Civica di Ancona “Francesco Podesti”, momentaneamente chiusa per lavori.
La mostra si presenta come un excursus dal primo decennio del Novecento fino agli anni Sessanta, con capolavori selezionati provenienti dal Mart di Rovereto, che condensano e riassumono le più importanti correnti artistiche novecentesche, iniziando con il Futurismo e terminando con l’Informale, ma attraversando i decenni con Metafisica, Realismo Magico, Astrazione, Spazialismo.
Il viaggio tra le opere nella Sala delle Polveri è denso, come dense e vivaci sono state le temperie culturali dello scorso secolo, ricche di provocazioni e “ritorni all’ordine”, di spazio e di materia, di realismo e di astrattismo. Uno Zeitgeist, insomma, che si è declinato in modi sempre differenti e contraddittori: dalle vertigini aeree del Futurismo alla calma inquietante e senza tempo delle piazze metafisiche, dal realismo del dopoguerra alla gestualità astratta fino ad altre visioni, stavolta non più aeree ma letteralmente cosmiche e spaziali. Un secolo, insomma, che parte dalla tecnica per approdare alla conquista della quarta dimensione.
Esplorare le sale significa assistere ad un crescendo e ad un alternarsi di visioni e stili: la visita inizia al cospetto di opere di Fortunato Depero, Giacomo Balla, Gino Severini e degli aeropittori Tullio Crali e Mino delle Site. Solo pochi anni dopo, ci si accorge che la “bellezza della velocità” e l’esaltazione della tecnica non sono bastate ad “uccidere il chiaro di luna”: si ritorna così alla figuratività e all’ordine, al dialogo con l’arte classica, con Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Giorgio Morandi; artisti diversi tra loro, ma accomunati da un senso di inquietante sospensione, dall’atemporalità del mito calato tra le ciminiere delle moderne città. Tuttavia, come si è già detto, il XX secolo è un secolo veloce, ed ecco quindi che si cambia di nuovo concezione, scivolando nel secondo dopoguerra. Si assiste, quindi, all’incontro/scontro di artisti come Renato Guttuso ed Emilio Vedova, ideologicamente vicini ma artisticamente distanti più che mai.
Arrivati nell’ultima sala, ci si trova al cospetto dei veri e proprio capolavori della mostra: lo stupendo e lucreziano “Ciclo 62-B.B.9” di Emilio Vedova, in cui campiture di colore emergono con potenza drammatica da un universo conflittuale e in costante divenire, confrontandosi, poco più in là, con il dolore, fisico ed esistenziale, del cauterio delle ferite di Alberto Burri e dei suoi sacchi, fino ad approdare ad un oltre, con i tagli nelle tele di Lucio Fontana e con il suo immaginario proteso vero lo spazio cosmico ed infinito.